Roberto Segatori
La scomparsa di Alfred Hohenegger

Il Maestro dei segni

Grafico, pittore, musicista, tipografo. Ricordo di un artista “medioevale” che, approdato in Italia nel 1954, s’impose per il talento innovativo e insieme tradizionale. Suo il fondamentale “Graphic design”, primo manuale di grafica pubblicato in Italia

Si è spento il 29 gennaio 2022 nella sua casa di Treggio (Foligno), Alfred Hohenegger, tra i più importanti grafici della scena internazionale. Nato a Dachau nel 1928, si stabilì in Italia nel 1954 imprimendo subito il suo talento artistico, tecnico e innovativo. Musicista, pittore e scrittore di saggi e racconti, ha insegnato per molti anni comunicazione visiva all’ISIA di Urbino.

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Per chi lo ha conosciuto, Alfred Hohenegger ha sempre dato l’impressione di essere simile al protagonista del romanzo di Ken Follett I pilastri della terra: un costruttore di cattedrali, che, nel caso di Hohenegger, assumeva la veste di un uomo di genio, un artista quasi medievale dalle numerose vite e dalle multiformi passioni. Era stato appena lambito, da bambino e da ragazzo, dalla tragedia del nazismo, ma in compenso il padre lo aveva avviato con rigore all’apprendistato del disegno e della musica, consegnandogli per empatia l’eredità pittorica del post-impressionismo tedesco. La madre, pur gelosa della propria autonomia, l’avrebbe seguito più a lungo – visse fino a 104 anni – con un legame non disgiunto da una certa severità teutonica.

Alfred Hohenegger ritratto in un cromoportrait di Alberto Hohenegger

L’Italia, scoperta nel dopoguerra con una prima discesa in bicicletta in compagnia di un amico, sarebbe diventata la sua patria di adozione. Ed è qui che comincia la sua seconda vita, cui ne seguiranno una terza e una quarta. La tempra di Hohenegger si forgia in un curioso impasto di innovazione e tradizione. Innovazione nella grafica, che diventa la sua professione principale, sia per soddisfare committenti prestigiosi (Iri, Eni, Alitalia, Tg3-Rai, Autostrada del Sole), sia per mettere a punto un metodo che viene razionalizzato nel fondamentale manuale Graphic design (Romana Libri Alfabeto, 1974), che nel 2013 conterà 13 edizioni e 55 mila copie vendute. La ricerca di “segni” sempre più incisivi di comunicazione visiva lo condurrà ben presto a muoversi, in chiave teorico-pratica, in tre direzioni. La prima riguarda l’essenza della struttura formale del mondo che lui riconduce a diagonali e ad angoli (da qui i suoi libri Diagonale del 1986 e Il lato complice. Implicazioni angolari del 1998). In proposito era solito rintuzzare l’obiezione di chi scrive, più orientato verso una visione “curvilinea” della realtà, con la battuta tranchant: «Tu dimentichi che una circonferenza non è altro che un poligono di infiniti angoli». 

La seconda direzione gli serve a soddisfare la sua mania (quasi un’ossessione) per la grafia delle lettere degli alfabeti, da lui continuamente riproposta in schizzi (l’alfa come testa di bue capovolta), sfide su lavagna (una memorabile, narrata nel libro Duetto per la cura di Paolo Belardi, avvenne il 15 aprile 2005 nella Rocca Paolina di Perugia con il maestro di disegno Gaspare De Fiore), saggi (Forma e segno del 1977 e Cosa è la scrittura del 1990) e perfino un romanzo (Lo scriba re del 2006). Come in parte ricorda in Memorie vagamente professionali del 2001 (che rappresenta una sintesi incredibile di alcuni passi della sua biografia), il suo amore per l’aspetto pratico della scrittura e della stampa lo porta a pignoleggiare con i tipografi (a partire da quell’Aldo Angelucci direttore negli anni cinquanta di una vecchia tipografia in Vicolo dell’Aquila a Roma) e con gli editori (da Petruzzi alle donne pazienti delle minute Edizioni Corsare). 

Alfred Hohenegger, “Passio secundum Mattheum”

La terza direzione si traduce nell’esplosione e nella consacrazione esterna della sua vocazione di disegnatore e di pittore. Ne saranno testimonianza la trentina di mostre in Italia e in Germania, di cui restano ricchi cataloghi (Hohenegger. Esploratore del possibile per l’importante mostra a Palazzo Braschi a Roma nel 1979, con il catalogo introdotto da Gustav Renè Hocke, Rosario Assunto e Elio Mercuri, che ne mise in luce la forte e autonoma vena espressiva, e Alfred Hohenegger. Ein Dachauer in Italiem per quella di Dachau del 1988). Con questo investimento culturale e professionale alle spalle, Alfred Hohenegger entra acclamato in una terza vita, quella dell’insegnamento. Lo chiamano a tenere un corso di “Immagini coordinate e simbologia” all’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Urbino, dove lo potranno seguire 25 studenti l’anno (un numero chiuso che ogni volta lasciava fuori altri 4-500 aspiranti allievi). A Urbino sarà docente fino al 1994, ma ex-studenti (e spesso ex-studentesse) lo cercheranno ancora nelle sue diverse dimore. Aprirà perfino una scuola-laboratorio (alla maniera delle vecchie botteghe rinascimentali) in un casale di Orvieto, che si preoccuperà personalmente di risistemare (non si chiamava forse Alfred il figlio di Tom, il capomastro dei Pilastri della terra?). Naturalmente nella seconda e nella terza vita continua a praticare le passioni di sempre: dipingere, suonare il violino, andare in barca a vela (con gli amici barcaioli che lo provocano – “dai tedesco” – a saper frenare la barca negli approdi con mare mosso nei porticcioli del Tirreno). Alfred si cimenta in tutto con entusiasmo e, quando è costretto a riconoscere una competenza da amateur (in realtà lui non l’avrebbe mai ammesso e chi scrive spera che egli – ovunque sia adesso – non legga questa nota) trova rifugio nella scrittura di racconti e memorie. Così affida a due intriganti romanzi il suo rapporto con il violino (Il violino inquisito del 2002 e Concerto in maschera del 2008), mentre narra le sue avventure in barca a vela in Promesse da marinaio del 2007. 

Ma è già tempo per lui di iniziare una quarta vita. Nei tragitti sempre più frequenti da Roma a Urbino, e spesso da Urbino a Fiumicino, egli viene catturato da un dirigente della provincia di Perugia che lo invita a produrre alcuni lavori grafici per l’Umbria (continuerà fino alla fine a regalare i suoi “segni” a Foligno e a Perugia). Lo unirà a quel dirigente, Aldo Piccioni, una totale complicità nella navigazione a vela. Ma, paradossalmente, saranno le colline umbre, l’eremo-castello (con torre) di Treggio (quattro case abbarbicate su una scomoda salita tra Spello e Foligno) a conquistarlo definitivamente. Così lascerà (molto lentamente) l’amato mare e l’insegnamento, riprenderà a suonare il violino e a scrivere memorie ironiche e autoironiche letterariamente gradevolissime: Ritratti, autoritratti, ritratti di gruppo, dal vero, ma non troppo e Massime e/o minime, entrambe del 2007. Quando nel marzo del 2013 Claudio Sampaolo, un giornalista del Giornale dell’Umbria, salirà a Treggio per intervistarlo, Alfred Hohenegger si dipingerà così: «Chi sono? Un pittore, un grafico, un designer, un musicista, uno scrittore, uno scultore, ma anche velista e persino tipografo, se parliamo della tipografia di una volta, quando non c’erano i computer e una riga era la somma di 12 punti da 0,37 millimetri l’uno». E, quanto all’ultima stagione: «Resto qui, nella campagna umbra, e tengo stretto quello che per me conta veramente nella vita: le donne, la scrittura, la vela, la musica…».

Era la stagione di riposo di un autentico “guerriero teutonico”. Di uno che scendeva nella Piazza della Repubblica di Foligno a bere un cappuccino e a leggere il Corriere della Sera, e – a chi lo andava a incontrare con allegria come lo scrivente – non dimenticava mai di dire (con malizioso ammiccamento): «ah, voi italiani!». Lo diceva lui, Alfred Hohenegger, il più italiano dei tedeschi di Dachau.

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