Andrea Carraro

Così un bel giorno

Illustrazione di Stefania Fabrizi

° ° °

E così un bel giorno

Ti si fece sotto il capo

Dico il capo

Del tuo servizio distaccato

Che aveva due o tre nomi

Fra cui  Back Office

Quello che è restato

Un funzionario di

Livello alto sapete

Quasi un dirigente

Un sessantenne

Più sale che pepe

Tutto palestra e tennis

E abbronzatura

Color rosso mattone

Anche a gennaio

Sulla faccia magra una barba

Cortissima canuta

Ma fitta e brillante

A contrasto della pelle

Uno che vantava scopate

Un giorno sì e l’altro no

Con la moglie però

Solo con la moglie

Ci teneva a precisare

Ammiccante paraculo

Davanti alla tua collega di stanza

Una 46eienne ancora vispa

Che glielo tirava abbastanza

Lettrice di Cipria e Gioia

Lei – come lui palestrata

Come lui sempre in foia

Insomma si misurava il girovita

Costui il capo del servizio

Con una cinghia vecchia di serranda

Che srotolava un po’ per volta

Voleva misurarla anche a te

Un attimo dopo

Per canzonarti per sfregio

Visti i vostri rapporti

E la tua panza

Insomma costui gravitando

Nell’ufficio vostro a curiosare

A spettegolare a ciarlare

Perfino a lavorare

Con mossa repentina

Da quel figlio di troia che era

Acchiappa al volo

Sulla tua scrivania il mouse

Roba di un istante massimo due

Prima che realizzi

E lui già manovra sulla mappa

Insomma ti becca in flagrante

Vede che scrivi cristo santo

I tuoi cazzi invece di lavorare

Indugia anche a decifrare

Il titolo del documento aperto

Che scandisce con voluttà

Perché tutti sentano

Anche in corridoio

E nella stanza affianco

Era il tuo primo libro sulla banca

Quello con lui dentro e altri colleghi

Resi  per ciò che erano

I nomi appena camuffati

Precise al millesimo le fisionomie

Quasi a sfidar la sorte

Secondo il tuo costume

Ti aspetti fuoco e fiamme

E invece indugia irresoluto

Al centro della stanza

Poi accenna a rispondere

Ma subito smette sbuffa

Quindi si toglie di torno

Così com’era venuto

Ma l’indomani eccolo ancora lì

A fissare gli oleandri fioriti

Oltre il vetro della finestra

E dandoti le spalle dice

A quella filigrana rosa

Che quasi lo inghiotte

Fra una questione e l’altra

Scambiata con gli altri della stanza

Che premi insieme troppi tasti

Per uno che lavora

E tu penosamente rallenti

La digitazione

Eri arrivato a tanto cristo santo!

Un ladro patentato un io a brandelli!

 

 

 

Per consolarti ti spedivi mail

All’indirizzo di casa

Dove ti annunciavi lo sballo serale

In modi estrosi e ingenuamente criptici

Oggi te la sei meritata baby

Today yes today yes today yes

Ti inviavi anche due o tre mail

Durante il tuo orario part-time

In cui parlavi al te stesso “sano”

Quello che sarebbe venuto

Quello che se ne stava al sicuro a casa

Nel suo guscio di libri musica fumo

I vetri spalancati sul balcone fiorito

Di ciclamini viola sul cotto

Del palazzetto di fronte

Quel rosso mattone segmentato

In rettangolini minuti che il sole declinante

A stento riusciva a dettagliare

Oggi te la sei meritata vecchio mio

Today yes today yes – and Tomorrow?

Maybe my dearest but not sure

Ecco cosa ti scrivevi

Nella tua posta privata

Ove solo tu potevi accedere

E tutto il giorno accarezzavi

Quell’idea che sola poteva consolarti

Sparartela in serata o meglio

Nel tardo pomeriggio sul balcone fiorito

Anche lì in segreto a qualcuno

Anche lì mentendo anche lì fingendo

Anche lì rubando lo stipendio

Quello della vita salvo ognuno

Stefania Fabrizi

Ma per tornare al punto

Da quel momento

Per non farti più scrivere

Quello ti spedisce di qua e di là

In giro per l’istituto

Roba contabile che non sapevi fare

E tu a elemosinare

Consulti a destra e a manca

Con la lingua di fuori

E ogni volta fallisci perdio

E torni da lui cincischiando

Qualcosa chiedendo scusa

Pure lì a scusarti a scusarti e a scusarti

Ma di che cosa perdio?

Quasi di esistere diresti

Lui comunque di fronte

Alle tue scuse ogni volta

Sbuffa e severo ammonisce

Anche in presenza d’altri

Ma come non sei capace neppure

Di fare una fotocopia formato A3?

Ma ci sarà una cosa che sai fare

A parte quello che sappiamo?

E così per mesi su quella china

Della colpa dell’umiliazione

Ogni volta un nuovo morso

Sul vivo della carne

Finché non ne puoi più

Stai raggiungendo il fondo

Quasi ti pare di toccarlo

Qualcosa di sordido lutulento

Che rimonta alla colpa primordiale

La colpa di tutte le colpe

Quella sul padre – naturale

Che così bene conosci

La notte non dormi e scalci

Le sagome di nemici sempre pronti

A coglierti in fallo a svergognarti

La luce ti ferisce

E così il buio

Non ridi più non sorridi

Patisci – sicché quel mattino

Arrivi presto per trovarlo solo

Nel suo singolo prestigioso

Di funzionario e capo

Chiedi permesso entri

Umile riverente ossequioso

Chiudi pure la porta

Per isolar l’ambiente

Ti sistemi imposti la voce

Dichiari la tua fatica la tua ansia

La tua inquietudine malata

Con la faccia dolente

Se non proprio disperata

Anche stavolta

Ti aspetti una sfuriata

Una lavata di testa

Una denuncia al Personale

Perfino un trasferimento

Chissà dove a Savona a Bari

In qualche sperduta filiale

In culo al Paese

O licenziamento per giusta causa

Roba così vatti a sapere

Qualcosa insomma di pesante

Sei già pronto alla mazzata

In un lampo pure rifletti

Che tanto peggio di così

Non può andare

E invece lui ti spiazza

Ti compatisce e dichiara

Di aver subito un brutto trattamento

Pure lui in passato nella sede catanese

Con un capo disgraziato

A cui stava sul naso

Eh no al lavoro non

Si può mica soffrire d’ansia!

Conclude solenne

Ma non sono resipiscenze

Beninteso gli è che teme

Rappresaglie sindacali

Comunque promette

Assicura che finalmente

La smette – accenna solo nel finale

Al tuo vizietto

E tu fingi di niente

Cos’ altro potevi fare?

Ammettere che scrivevi

E scrivevi e scrivevi

E perdio avresti continuato a farlo

Pure al suo funerale!?

 

Non manchi di stringergli la mano

Alla sua festa di congedo

Prima della pensione

Quei penosi party aziendali

Dove recitavi il tuo copione

Di schiavo appagato e sorridente

E gli fai nel mentre della stretta

Beh, non sei contento?

E lui, certo che no

Perché dovrei?

Con dispetto nella voce

Muovendo il mento

Da una parte all’altra

Come un uccello acquatico

Una risposta che diceva tutto

Di quanto fossimo diversi

Lo ricordi sempre

Con pesantezza di cuore

Quel tipo ordinario

Che fuori dalle mura sudate

Della banca non avresti

Nemmeno degnato

Di uno sguardo

Uno dei tanti

Manco il peggiore

Che funestano i tuoi sogni

Ancora e ancora come se il tempo

Non fosse mai passato

Con te in eterno inchiavardato

Alla tua scrivania di impiegato

Vicino alla finestra

 

 

Chissà perché lo cerchi

A distanza di tanti anni

Sul web sui social

Che frequenti

Senza motivo anzi

Per dire il vero

Con la vaga idea

Di fargli un torto

Ma non lo trovi

Per fortuna

Di certo non pregheresti per lui

Se fosse morto

* * *

andrea carraroAndrea Carraro, narratore di normali orrori quotidiani, è romano e alle contraddizioni della sua città ha dedicato molti dei suoi romanzi. Fin dall’esordio con Branco, 1994, storia di uno stupro di gruppo che divenne un film diretto da Marco Risi.  Poi sono venuti: L’erba cattiva, 1996, con Giunti, La ragione del più forte, 1999, Feltrinelli, i racconti de La lucertola, 2000, Rizzoli, il romanzo Non c’è più tempo, 2002, sempre Rizzoli e ancora Il sorcio, 2007, Gaffi, i racconti de Il gioco della verità(2009), Hacca, e la raccolta di reportageDa Roma a Roma (Ediesse, 2010), poi Come fratelli, Barbera, 2013 e la raccolta di poesie Questioni private, Marco Saya 2013. Autore di racconti e reportage, è stato direttore editoriale di Gaffi e per Succedeoggi, ha curato le due edizioni della rassegna di racconti Testo a fronte oltre a quella dei «Racconti del peccato».

FabriziStefania Fabrizi è nata nel 1958 a Roma, dove vive e lavora. Tipici della sua ricerca artistica sono personaggi ambivalenti e spaventosi, replicanti, alieni, eroi e criminali, atleti e lottatori. Con salde pennellate l’artista crea mosaici simultanei di personaggi presi sia dai fumetti sia dalla storia dell’arte, dal cinema di fantascienza come dalla cronaca, dando vita a un sistema iconico complesso e stratificato dove ogni tassello ha un valore allusivo. Ha esposto in numerosissime personali e collettive, in Italia e all’estero.