Giuseppe Grattacaso
A proposito di “E intanto la vita?”

In parole semplici

Esce nello Specchio una vasta antologia poetica di Vivian Lamarque. Un'occasione per riflettere su una autrice che racconta la complessità con la semplicità delle parole (e delle emozioni)

La lingua poetica di Vivian Lamarque, costruita su un lessico semplice o semplicissimo, in certi momenti addirittura dichiaratamente infantile, poggiata su una sintassi piana o elementare, all’apparenza solidamente ancorata alla concretezza delle cose, è capace sempre di mantenersi in bilico sulla linea di discrimine tra realtà e sogno, tra razionalità e emozione, tra quotidianità e evento straordinario, senza per questo essere evocativa. Avviene che esistenza e immaginazione, presenza e assenza siano ogni volta coesistenti, intimamente connesse, nemmeno due facce della stessa medaglia, ma l’unica faccia, come se fosse possibile, dell’unica medaglia che abbiamo a disposizione. Allo stesso modo nelle sue poesie, un elemento proveniente dal passato può ripresentarsi nel presente della narrazione, anche attraverso una sola parola, a proporci, al pari di quanto accade in una favola, un’altra visione delle cose, un’inquadratura insolita e, proprio per questo, preziosamente significativa.

La lingua semplice di Lamarque quindi, invece che puntare verso una semplicità di concetti e di materia, devia continuamente sul terreno delle domande e delle trasposizioni lessicali. Si tratta di muoversi su una terra senz’altro più malagevole, ma nel caso della sua poesia ci arriviamo con andatura leggera, senza dover affrontare ingombri e ostruzioni che impediscono il passo. Le domande, che siano o no evidenti, potrebbero anch’esse essere pronunciate da un bambino (o da un terapeuta, visto l’argomento della raccolta di cui si parla): sono secche e non danno scampo (perché, dove, con chi, ecc.). Le risposte, quando una risposta appare necessaria e possibile, risultano immediate e altrettanto asciutte,  ci portano spesso in un altro luogo, in un’altra sensazione, in un tempo diverso. Le trasposizioni o le sostituzioni mettono a confronto stati e mondi che hanno sotterranee, rilevanti parentele. Solitamente da questo tenue squilibrio, dall’imprevista delicata oscillazione, nasce, nel lettore e probabilmente anche nella poeta, un sorriso sorpreso, un cauto desiderio di divagante scoperta, la sensazione di essere approdati in un pensiero inaspettato.

Il volume E intanto la vita?, edito nello Specchio mondadoriano, raccoglie poesie scritte dal 1984 al 2025, in buona parte già pubblicate in precedenti raccolte, suddivise nelle sezioni Il signore d’oro, Il signore degli spaventati, Poesie dando del lei, Poesie dando del lei (altre), Quelle volte che. Sono liriche, quasi sempre brevi, che raccontano la terapia psicoanalitica, fronte junghiano, seguita per quasi un quarantennio, anzi, ancora più che la terapia, il rapporto di transfert che in essa viene a determinarsi tra il soggetto analizzato e l’analista. Lo fanno alla maniera che s’è detta, quasi seguendo un percorso marginale, eppure risultando sempre capaci di centrare l’obiettivo, che è quello poi di portarci dentro la relazione psicoanalitica. I protagonisti delle liriche sono due: il Dottore o Signore e la Signora, lui e lei. A esemplificare come la lingua e il procedere discorsivo di queste poesie conducano il lettore in quel punto di equilibrio di cui si diceva, vale leggere i versi (anche questi pronunciati su una linea di confine, in questo caso con la prosa poetica) di La signora come: “Gli voleva bene senza speranza. / Senza speranza come? / Come un affezionato moscerino al cielo, come un pesciolino a una bianca nave. / Altri esempi. / Come una foglia a un signore lì passante, come un sassolino a una montagna. / Ancora. / Come un filo d’erba a un grande prato, come un bambino a una non sua mamma”.

La realtà, con le sue incombenze quotidiane, gli affanni, i momenti pigri, gli affari e le presenze familiari, sembra partecipare e contribuire al rapporto terapeutico, sia pure da un esterno che solo si intravede nella scena occupata dall’analisi. Si anima e si colora di nuovi colori, si intestardisce, la realtà, ad apparire come la Signora la vede, a mettersi a disposizione perché la distanza tra lei e il Dottore non sia quella che in effetti è, e che la terapia vuole. “Quella volta che già sulla soglia / prima di uscire sulle sue mani aperte / costruii in un baleno un nido: dalla tasca /  prelevai fili d’erba, un trifoglio e un uovo / più piccolo di un chicco d’uva”, recita una delle poesie inedite della sezione Quelle volte che. Oppure in Il signore e la bambina: “Chinatosi, qualcosa da terra raccoglieva. / Che cosa? / Credo una foglia, oh no era una microscopica bambina. / Bambina? / Sì, lunga come i millimetri e tutta avvolta in una colorata vestina. / E dopo averla raccolta? / Dopo la cullò, come il vento una fogliolina”.

E intanto la vita? è dunque un libro che segue un percorso d’analisi, anzi, come nella Postfazione scrive Vittorio Lingiardi, psicoanalista e saggista, autore, tra gli altri, di Corpo, umano,  “è un’opera in versi sul tranfert. Da portare all’esame, da tenere nella biblioteca di una scuola di specializzazione in psicoterapia”. Le poesie di Vivian Lamarque sono insomma “brevi lezioni di psicoanalisi”, compongono, nel suo modo deliziosamente lieve e vaporoso, una sorta di saggio in versi.

Non sfugga infine il punto interrogativo che accompagna il titolo e che ci induce a pensare, e c’è da chiedersi come potrebbe essere diversamente, che la vita è d’altronde sempre fuori dal dialogo terapeutico, pur essendone così fittamente all’interno, sempre la vita prende altre vie da quelle volute o forse sempre sfugge a ogni ipotesi di definitiva sistemazione, a qualsivoglia ordinato catalogo.

Per cui, come recita una delle Poesie dando del lei:
La Sua porta sprangata
era spalancata,
il sole entrato
si guardava attorno:
piantine una
(l’altra trasferita)
finestre tre
(su una una formica)
coccodrilli e draghi
(forse riprodotti)
simboli alchemici, Jung
forme di vita
il sole entrato
si guardava attorno:
piccoli Dei, Mozart
mobili di navi
onde dolori amori
quasi la vita.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

 

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