Diario di una spettatrice
Le famiglie condominiali
Il nuovo film di Carine Tardieu, "L’attachement" con Valeria Bruni Tedeschi, è un apologo sulla purezza degli affetti. Al di là di qualunque tradizionale concezione della famiglia
Tutto inizia con una scampanellata che rivela un’urgenza. Ad aprire la porta è Sandra, parigina cinquantenne di professione libraia, bella e colta, ironica e nevrotica quanto basta a renderla irresistibile, femminista dichiarata che non ha mai pensato di farsi una famiglia e tanto meno di avere figli, esibisce la sua età con seducente nonchalance, sempre spettinata e con le mani in tasca, fuma molto, regge bene l’alcol, non cucina, ha compagni occasionali che non fa mai entrare in camera da letto. Insomma la quintessenza di Valeria Bruni Tedeschi che la interpreta.
A suonare alla porta è Cécile, la sua vicina di casa molto incinta che sta correndo in ospedale e le affida Eliot, il suo bambino di cinque anni. Sandra è spiazzata, imbarazzata, ma non può rifiutarsi, anzi è intenerita da quella dimostrazione di fiducia. Come non potrà tirarsi indietro quando Alex, il marito di Cécile, torna a casa con la piccola Lucille ma senza la moglie, morta in sala operatoria.
Inizia così la storia raccontata da L’attachement (al titolo francese si affianca il titolo italiano La tenerezza), quinto film della regista e scrittrice parigina Carine Tardieu ispirato al romanzo L’intimità di Alice Ferney e passato l’anno scorso alla Mostra di Venezia.
Si può dire che sia un film sulla meraviglia della vita, intesa come sorpresa, su come un dramma assoluto – la morte inattesa di una giovane donna che lascia al marito un bambino e una neonata – possa nascondere la leggerezza di una svolta, un altro modo di considerare la famiglia basata su relazioni amichevoli e amorose che nessuno poteva prevedere. Del resto è questa la cifra della regista già espressa nei suoi film precedenti e più in generale di quel cinema francese, nuovo per le storie che racconta ma non per il modo in cui le racconta, che ancora oggi segue le orme della migliore cinematografia d’oltralpe.
Protagonista della storia è dunque una donna matura, single per scelta ma pronta ad accogliere ciò che la vita le riserva, la donna della porta accanto che a poco a poco si trova dentro un dramma non suo e che scopre grazie a esso la sua insospettata riserva di amore e la sua capacità di accogliere le fragilità di un bambino e di un uomo. Il dialogo iniziale tra Sandra ed Eliot è commovente: è il bambino che sceglie Sandra perché intuisce che sarà lei a riempire il vuoto lasciato dalla madre.
Merita sottolineare che “attachment” non ha in francese la stessa valenza possessiva della parola italiana “attaccamento”: il film è un esempio efficace di come il cinema francese sappia raccontare, senza concedere nulla al melodramma, una storia fatta di dolore e di perdita, ma anche di incontri e di complicità che vanno al di là della famiglia tradizionale. Come ha sottolineato la regista presentando la pellicola, la gente ha bisogno di immaginare famiglie allargate, famiglie “condominiali” che non sono imprigionate all’interno dei legami di sangue.
Ecco allora incrociarsi le vite dei due compagni di Cécile e padri dei suoi due figli: il padre biologico di Eliot che viene da una famiglia di allevatori di ostriche e il vedovo Alex papà di Lucille che ne è l’opposto. E con loro interagire Sandra amata da entrambi, la madre di Cécile che riflette amaramente sulla vita, i genitori del primo marito, Eliot che si fa adottare da Sandra, la piccola Lucille che fornisce al film il fil rouge narrativo (la pellicola è costruita sui mesi della sua crescita), la sua pediatra che diventa la seconda moglie di Alex anche se Alex è sempre innamorato della sua seducente vicina. Tutto scorre e si intreccia come avviene nelle vite reali, in un mondo in cui è possibile accettarsi per come si è, guarire la solitudine dell’assenza ed elaborare i lutti, anche i più tragici, a patto di essere insieme.
Non c’è la teorizzazione della famiglia queer. Il film racconta piuttosto come persone non legate da rapporti di sangue possano creare una rete di complicità capace di sostenerli nelle vicissitudini della vita. Rivelando infine il comune denominatore che li lega: la tenerezza che tutti abbiamo dentro e di cui tutti abbiamo bisogno.
Come afferma Bruni Tedeschi nell’intervista concessa a Comingsoon, «è proprio la tenerezza il fluido che circola tra tutti i personaggi del film ed è la legge morale essenziale. Finché c’è la tenerezza c’è tutto. Ci sono persone che si attaccano l’una all’altra, tuttavia non si attaccano sentendosi in una trappola, ma restando libere. Eppure si legano. Ecco, direi che si legano».
L’attachement è dunque una pellicola sui legami che ci creiamo, sulle famiglie che ci creiamo. Legami e famiglie che talvolta sanno consolarci meglio delle nostre famiglie biologiche.