Diario di una spettatrice
Lo stupore di Scianna
Roberto Andò ha dedicato un bel film-documentario al grande fotografo Ferdinando Scianna: il racconto di un'amicizia all'ombra di un maestro, Leonardo Sciascia
“Se rinascessi, e non me lo auguro proprio, vorrei fare lo scrittore. La cosa più grande che ha inventato l’uomo è la letteratura perché ciò che abbiamo di più grande è la parola. Io in fondo cosa ho fatto per tutta la vita? Ho guardato quello che c’era intorno e ho schiacciato un bottone”. Chi si racconta così, con l’umiltà dei grandi, è uno dei maggiori fotografi del mondo, Ferdinando Scianna, 82 anni, cui il regista palermitano e amico Roberto Andò dedica un imperdibile ritratto in bianco e nero partecipato e toccante, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia e nelle sale dal 6 all’8 ottobre: Ferdinando Scianna. Il fotografo dell’ombra.
Come aveva fatto Wim Wenders nel magnifico Anselm dedicato allo scultore tedesco Anselm Kiefer, più che un documentario Andò costruisce un film corale di 86 minuti in cui c’è una voce narrante – quella di Scianna che si racconta e dialoga con il regista – e ci sono le voci dei personaggi amici che hanno attraversato la sua vita. Tanto che questo film si potrebbe definire una riflessione sul mistero dell’amicizia, perché, come in amore, anche per gli amici scatta, come dice il fotografo, il colpo di fulmine. E un colpo di fulmine fu per lui l’incontro col padre che avrebbe voluto, il maestro che gli cambiò la vita dicendogli semplicemente “vuoi fare il fotografo? E allora fallo”: Leonardo Sciascia. Fu Sciascia a individuare ciò che sarebbe stata per lui la fotografia: non una tecnica, ma un racconto, la possibilità di vedere e narrare il mondo attraverso le immagini.
Il film ripercorre la vita del ragazzo nato a Bagheria (Palermo) nel 1943, “il figlio dei limoni” perché la sua famiglia possedeva una limonaia e furono i limoni a permettergli di studiare. Ferdinando, che tutti chiamavano Fernando (il suo nome tornò solo quando andò a vivere a Milano), guardava con stupore tutto ciò che avveniva intorno a lui, a cominciare dalla strada in cui era nato, con le storie dei vicini di casa che erano un mondo a parte dentro il grande mondo del dopoguerra: la famiglia dell’usuraio, chi vendeva il vino, la donna cui sua madre chiese aiuto perché il picciriddu aveva l’otite e quella gli spruzzò dentro l’orecchio il latte da una tetta e Scianna non l’ha mai dimenticato. Il padre gli regala a quindici anni una piccola macchina fotografica e lui fotografa tutti, le compagne di scuola diventano le sue star, il prete del paese, il portatore di corone ai funerali che zoppicava perché si era volontariamente fratturato un piede pur di non partire per la guerra, il venditore di pane e panelle che lui mangiava tutti i giorni correndo a scuola.
Ferdinando vuole studiare e diventare un fotografo. Lo annuncia al padre che gli chiede sghignazzando: “davvero vuoi fare il mestiere di chi uccide i vivi e resuscita i morti?”. Perché a Bagheria c’era un solo fotografo che aveva l’incarico di fare la foto ritoccata ai defunti in modo da farli sembrare ancora vivi e faceva le foto di circostanza ai vivi così irrigiditi davanti all’obiettivo da sembrare morti.
L’incontro con Sciascia è la svolta della vita. Lascia la Sicilia per Milano dove giovanissimo viene assunto dal settimanale “l’Europeo” e spedito in giro per il mondo a illustrare i reportage sui maggiori eventi degli anni Sessanta e Settanta, dalle guerre alle carestie in Africa. Le sue foto in bianco e nero con quei tagli di luce e ombra che diventano la sua firma, lo faranno conoscere dal maestro di tutti i fotografi Henri Cartier Bresson che lo porterà, primo italiano, dentro la mitica agenzia fotografica Magnum. E così incontrerà uno dei suoi amici più cari, suo “fratello” Gianni Berengo Gardin, che nel film fa la sua ultima apparizione prima della recente scomparsa.
Il film si potrebbe definire una riflessione sulla morte, “che è solo la morte degli altri, è quella che ti fa soffrire e ti interroga, la nostra non esiste”, come dice lucidamente Scianna. La morte delle persone amate, la morte degli amici, innanzitutto la morte di Sciascia, “l’assenza più acuta presenza” con cui Scianna non ha ancora fatto i conti, come confessa ad Andò che lo accompagna a visitare la casa palermitana dello scrittore dove tutto è rimasto come lui l’ha lasciato e dove fotografo e regista, che condividono lo stesso legame profondissimo col maestro, si guardano smarriti e decidono di uscire non potendo sostenere i ricordi dei tanti incontri passati fatti di parole, riflessioni e allegria seduti a tavola mentre Sciascia cucinava, perché era sempre lui a cucinare. E proprio a tavola avviene una delle scene cruciali del film, quando Dacia Maraini, Mimmo Paladino, Giuseppe Tornatore, Renata Colorni, Marco Belpoliti, Vincenzo Campo, Carlo Ottaviano, raccontano la loro amicizia con Scianna e cosa ha significato l’incontro con lui.
Il film di Andò è dunque anche un viaggio verso la morte né potrebbe essere diversamente, per l’età del protagonista e perché tutto avviene nella Sicilia di Sciascia e Pirandello – che inventò l’uomo che fa e mentre fa si chiede cosa sta facendo – la Sicilia dove “più il sole è forte più l’ombra è nera”. E Scianna sottolinea “amo il sole perché fa ombra e l’ombra ti definisce”.
“Sono nella fase della vita in cui voglio trattenere le cose belle che mi sono successe”, ha detto il regista presentando la pellicola al cinema Modernissimo di Bologna. “Tra queste c’è il rapporto con Scianna, cui sono grato perché mi ha suggerito la chiave fondamentale per dare forma al caos che era fuori di me, il caos che è la Sicilia.”
“Questo film è il mio ritratto riuscito, perché questo faccio, rido parlando della morte”, ha aggiunto Scianna. “Cos’altro puoi fare? È un gesto filosofico. Ed è il ritmo che ha la vita alla fine, quando sei vecchio e gli amici muoiono e pensi a loro con gratitudine. Perché quando una persona cara muore ti rendi conto di quanto quella persona è dentro di te, cioè quanto tu sei lei e tutto quello che c’era in te di lei non c’è più. Noi siamo gli altri”.
Il film di Andò è in conclusione una pellicola sull’amicizia, sulla gratitudine e inevitabilmente sulla morte, attraverso il viaggio di due amici in Sicilia che si raccontano e riflettono con la leggerezza che hanno le cose profonde. La leggerezza del sorriso di Scianna che nell’ultima inquadratura sbuccia un limone facendo attenzione che la buccia sia una spirale tutta intera e intanto spiega perché lo fa, in Sicilia lo fanno tutti, si pensa che così muore un prete, ma questa cosa la fanno credenti e non, e intanto Scianna ride come si ride alla morte. E mangiando il limone aggiunge: “dicono che è aspro ma non è vero, è dolcissimo”.