I deliri del bibliofilo
Le inquietudini di Pennadoro
La breve parabola esistenziale e letteraria dello scrittore triestino, celebre per la raccolta di prose intitolata “Il mio Carso”. E proprio sul Carso “profetizzò” la sua morte, che effettivamente trovò sul Monte Podgora nel 1915, per mano di un soldato bosniaco
Homo unius libri, Scipio Slataper è conosciuto soprattutto per la raccolta di prose intitolata Il mio Carso, pubblicata nel 1912 nei «Quaderni della Voce», dopo una lunga e complessa gestazione. Si tratta di una serie di intense reminiscenze sui vagabondaggi effettuati dall’autore sull’amatissimo Carso, con descrizioni paesaggistiche che nulla hanno da invidiare a certe prose coeve e allucinate di Dino Campana.
La vicenda biografica e intellettuale di Slataper si configura tra le più paradigmatiche del primo Novecento, in virtù soprattutto di quel formidabile connubio tra valenza etica, tipica della cultura vociana di cui faceva parte, e la forte componente lirica che caratterizza tante sue pagine. Nato a Trieste il 15 luglio 1888, dopo un’infanzia serena in cui ha occasione di misurarsi con l’ambiente del Carso per riprendersi da una grave forma di anemia, si stabilisce a Firenze nel 1908 per completare gli studi. Qui conosce e frequenta Prezzolini, Soffici, Papini, Jahier e comincia a collaborare a «La Voce», pubblicando le Lettere triestine, una serie di interventi incentrati sul tema dell’irredentismo, destinati a procurargli parecchi oppositori nella sua città natale. Stabilisce un intenso rapporto di amicizia con Prezzolini, con il quale intrattiene un fondamentale carteggio. Diviene segretario di redazione della rivista sino alla rottura, dovuta a un alterco con Papini. Collaborò a varie riviste, tra cui «La Riviera Ligure», «Cronache Letterarie» e «Il Giornalino della Domenica», dove dirama alcune novelle per ragazzi.
Nel 1910 la fidanzata Gioietta, soprannominata Anna, si suicida a Trieste. Ci sono pervenute le lettere a lei inviate dallo scrittore, oltre che alle amiche Elody Oblath, futura moglie di Giani Stuparich, e Gigetta Carniel, che Scipio sposerà nel 1913. Alle tre amiche, com’è intitolato il libro che uscì per Mondadori nel 1958 (una precedente edizione vide la luce nel 1931, in tre volumi, per i tipi dei Fratelli Buratti, con il titolo Lettere), doveva costituire, secondo le intenzioni dell’autore, una sorta di «romanzo di formazione», ideale prosecuzione di Il mio Carso. Quest’ultimo titolo apparve nei «Quaderni della Voce» in 2000 copie non numerate. Nel frontespizio della collana, diretta da Giuseppe Prezzolini, è presente il logo disegnato da Ardengo Soffici, raffigurante un contadino che zappa la terra. Il titolo originario dell’opera era Il mio Carso e la mia città, modificato su suggerimento dello stesso Soffici. Si tratta di una brochure di 124 pagine, con il titolo che campeggia in caratteri rossi in copertina; sulla quarta si legge: «I Quaderni della Voce si propongono di intensificare e allargare l’azione del giornale La Voce di Firenze». Si tratta di un’edizione poverissima, quasi francescana, che non presenta nessun tipo di abbellimento grafico. Oggigiorno si può trovare il volumetto, spesso in non ottime condizioni a causa del tipo di carta adoperato, a un prezzo che si aggira intorno ai 150 euro.
Slataper, il cui nome in ceco significa Pennadoro («Tu sai che io sono slavo, tedesco e italiano», scriveva a Gigetta nel 1912), compose buona parte del libro in una grotta di Ocisla, sul Carso, che lui stesso aveva predisposto per questa funzione. Lo scrittore, partito volontario in guerra, troverà la morte sul Monte Podgora, il 3 dicembre 1915, ucciso da un soldato bosniaco sotto i reticolati austriaci. In una lettera indirizzata qualche anno prima a Elody aveva scritto: «E un giorno, ancora giovane, camminando nel Carso, quando i sassi e i fiori mi diranno le cose che io ho già dette, allora uno slavo mi scaglierà addosso un sasso corroso e forte e pieno di spigoli. E io cadrò giù, sul Carso. […] Voglio morire alla sommità della mia vita, non giù. Sarà l’ultima Calata, portato a spalla».
Oltre a Il mio Carso, alcune pubblicazioni sono piuttosto appetibili per bibliofili e appassionati, a cominciare dai fascicoletti intitolati I confini necessari all’Italia, edito nel 1915 dall’Ora presente di Torino, e Le strade d’invasione dall’Italia in Austria. Fella, Isonzo, Vipacco, Carso, pubblicato da Bemporad nello stesso anno, facente parte della collana “Bibliotechina illustrata per la gioventù, per i soldati, per il popolo” che raccoglie alcuni articoli apparsi sul Resto del Carlino. Ma non si possono passare sotto silenzio i titoli postumi, dagli studi su Ibsen, raccolti nel 1916 per i Fratelli Bocca da Arturo Farinelli alle succitate Lettere in tre volumi, curate per i Fratelli Buratti da Giani Stuparich. Quest’ultimo si interessò a più riprese alla figura dell’amico scomparso, stampando gli Scritti letterari e critici per la Società Anonima Editrice La Voce nel 1920 e gli Scritti politici per Alberto Stock Editore nel 1925. Basilare il corpus delle opere pubblicate nei «Quaderni dello Specchio» mondadoriani, curati sempre da Slataper, con la seguente ripatizione: Epistolario (1950), Appunti e note di diario (1953), Scritti politici(1954), Scritti letterari e critici (1956), Alle tre amiche (1958), Il mio Carso (1958), corredati dalla biografia intellettuale Scipio Slatapercomposta dallo stesso curatore (1950).