Monica Marchionni
Un racconto "casalingo"

Ironing

«La Stirella era quasi salva. Rimaneva solo da pulire la piastra del ferro con acqua e bicarbonato. Passo una volta la spugna e viene ancora fuori del residuo scuro. Esasperata, ripasso la spugna imbevuta di acqua. Grande errore...»

Monica Marchionni, l’autrice di questo racconto, frequenta la scuola di scrittura di Andrea Carraro, Filippo La Porta e Sebastiano Nata. Vive e lavora a Roma. È laureata in Fisica e in Psicologia. È psicoterapeuta, psicoanalista membro della Società di Psicoanalisi Italiana e dell’International Psychoanalytical Association.

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È arrivato il pacco Amazon. Dopo lunghe ricerche ho acquistato il ferro da stiro con caldaia, Perfect Steam Pro, di Rowenta, una marca francese, affidabile. Trecento euro con un supersconto, che poi a navigare in rete non era così super.

Il primo modello che conobbi era la mitica Stirella che mia madre, pioniera della modernità, usava dagli inizi degli anni ’80. Io ho perpetuato quella tradizione, continuando a chiamare Stirella tutti i ferri successivi.  I modelli si sono evoluti, più leggeri, efficienti e la sicurezza è garantita.

Il mese scorso chiedo alla signora delle pulizie se funziona ancora bene la Stirella, in realtà sempre della Rowenta. Mi risponde che da mesi la usa senza vapore perché con quello lascia tracce marroni. Magari farmelo sapere prima…

Mi adopero per due giorni a fare decine di cicli purificanti dal calcare con una soluzione di acqua e acido citrico. Il vapore finalmente iniziava a uscire pulito. La Stirella era quasi salva. Rimaneva solo da pulire la piastra del ferro con acqua e bicarbonato. Passo una volta la spugna e viene ancora fuori del residuo scuro. Esasperata, ripasso la spugna imbevuta di acqua. Grande errore. L’acqua entra nei fori della piastra e penetra nel circuito elettrico. Appena attaccata alla presa la Stirella fa saltare la corrente.

Accidenti alla mia furia domestica! Sarebbe stato meglio portarla ad un centro autorizzato. Che peccato, era di qualità. Però aveva forse quasi dieci anni … la cambiamo. Qualche giorno a consultare confronti tra marchi e modelli e finalmente parte l’ordine.

Arriva dopo solo due giorni. Adesso voglio proprio leggere bene le istruzioni, per non fare altri errori.

Manuale d’uso: è un dépliant illustrato a colori, alto venti centimetri e che si apre a fisarmonica, come le mappe stradali. Le uniche scritte sono nella copertina, in diverse lingue. Devo usare la lente di ingrandimento: IT leggere con attenzione il libretto “Norme di sicurezza e di uso” al primo utilizzo.

Bene, passiamo a quello. Prima riga: leggere attentamente il manuale di istruzioni prima dell’utilizzo. È proprio quello che vorrei fare, ma è impossibile perché non contiene alcuna frase, ci sono solo immagini. Le uniche parole che compaiono sono OFF vicino a un dito di una mano femminile con smalto sulle unghie che schiaccia un pulsante e NO in altre figure. Alcune immagini sono davvero chiare, del tipo che non devi passare il ferro su una camicia indossata da un uomo con tanto di cravatta: c’è scritto NO su un box rosso e anche una X sopra.  Il maschilismo fluisce nel vapore.

 

Si potrebbe pensare che sia tutto semplice. Invece, il guaio che io ho appena combinato, uccidendo la mia Stirella, lo rifarei ancora se seguissi il manuale. Infatti, c’è un box con l’immagine della solita mano con una spugna che pulisce la piastra e, accanto, la spugna è sovrastata da una enorme goccia azzurra. Tu dovresti osservare che c’è una goccia, non due gocce, e quindi potresti dedurre che la spugna deve essere solo leggermente inumidita? Io non lo capirei. Forse è come nelle emoticon di whatsapp in cui c’è una faccia con una lacrima solo a sinistra, o due fiumi di lacrime a destra e sinistra, o una faccia inclinata che ride con due lacrime? O anche senza faccia, tre gocce inclinate, non so bene che significano. Forse piangere molto? Per me potrebbe essere anche pipì o sudore. Boh. Ammetto che gli emoticon mi creano perplessità, adotto quelli che trovo simpatici per uso decorativo più che simbolico. E poi non ho mai capito la ridondanza. Perché se mandi qualcosa di divertente rispondono con cinque facce che lacrimano dalle risate? Per me una è fin troppo. Continuo a preferire un mi manchi o ti penso alla faccia con uno, due o tre cuoricini. E comunque gli amici mi hanno sgridata perché non uso gli emoji. Sembra che senza diventi tutto freddo e formale.

Che stupida, il manuale starà sul sito della Rowenta! Lo trovo: è identico a quello colorato che ho ricevuto.

Proviamo con il libretto “Norme di sicurezza e di uso”. Le prime due facciate sono scritte con un carattere leggibile. Forse per obbligo di legge. Le due successive, quelle che mi interessano, che spiegano quale acqua usare e offrono suggerimenti in caso di problemi, sono in un carattere talmente microscopico che la lente d’ingrandimento non è d’aiuto. Idea: fotografo, ingrandisco e stampo. Riesco a leggere qualcosa, comunque poco chiaro. Alla fine, chiamo il numero verde per chiedere spiegazioni, un essere umano che parla.

Cosa è successo? Siamo in un mondo di analfabeti? È sparito il linguaggio? E la filosofia, la letteratura, cancellate? Con un colpo di spugna sovrastata dalla goccia.  Sono arrabbiata ed esterrefatta. Trecento euro non meritano due parole?

Mi fa così arrabbiare che restituirei lo scatolone indicando come motivazione: assenza di linguaggio verbale. Anche se, per coerenza, non meriterebbero una scritta, ma una figura. Ecco, ma come la dovrei fare? Un geroglifico? Un grande punto interrogativo? Una X?

Come si può rappresentare l’assenza di qualcosa?

Non so perché, ma l’episodio mi ha scossa. Le immagini sono immobili, come statue, non ti permettono di dialogarci, non puoi avere degli interrogativi e sfogliare un manuale per cercare una risposta, come in un dizionario.

Mi torna in mente la serie Netflix Adolescence su un ragazzino assassino di una compagna di scuola. Un punto di svolta dell’indagine è scoprire che alcune emoji apparentemente innocue vengono usate dagli adolescenti come codice segreto, incomprensibile agli adulti, che veicola messaggi violenti. Queste simpatiche emoji scavano un baratro che divide il mondo dei figli da quello dei genitori che pur cercano di comprenderli.

Anche io di fronte al manuale illustrato mi sento separata irrevocabilmente da un mondo che forse non capisco più, che non usa più le parole, ma gesti, graffiti. E anche rattristata, come se, tramite quelle immagini, si stesse compiendo l’omicidio della cultura occidentale.

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