Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Esordio con prestito

Quando la letteratura era cultura: storia editoriale (e non solo) de “Gli indifferenti” di Alberto Moravia. Benché fosse un’opera prima ebbe subito un imprevedibile successo, tanto che l’autore poté restituire al padre le 5000 lire che erano servite come contributo alla pubblicazione

Uno dei romanzi più significativi del Novecento è Gli indifferenti di Alberto Moravia. La princeps ebbe una curiosa vicenda editoriale, in quanto il testo, composto tra il 1925 e il 1928, fu rifiutato dalle edizioni 900, per il cui periodico eponimo Moravia aveva pubblicato alcuni racconti scritti in francese e italiano. Il responso fu oltremodo spiazzante, visto che il romanzo fu definito «una nebbia di parole». Il vero nome dell’autore, all’epoca poco più che ventenne, era Alberto Pincherle Moravia, costretto ad adoperare il secondo cognome perché i primi testi, firmati Alberto Pincherle, suscitarono le proteste di un omonimo storico delle religioni, indebitamente associato agli stessi. Il padre era architetto mentre la zia era la celebre Amelia Rosselli, scrittrice di libri per l’infanzia e traduttrice di Maeterlinck, nonché madre di Nello e Carlo. Alcuni brani del romanzo, poi espunti, trovarono accoglienza su «L’Interplanetario» di Libero De Libero. Il libro venne accettato dalle Edizioni Alpes, casa editrice milanese di un certo prestigio vicina al regime fascista, che già aveva accolto L’uomo nel labirinto dell’amico Corrado Alvaro. Gli indifferenti uscì dunque per Alpes nel 1929, in 1000 esemplari (ma secondo Lucio Gambetti bisognerebbe conteggiarne per lo meno 300 in più), stampati dalle officine della Federazione Italiana Biblioteche Popolari di Milano; la SATE impresse invece la tiratura di testa, a tutt’oggi introvabile, comprendente 26 esemplari su carta a mano macchina, contrassegnati da lettere e da una copertina priva di illustrazioni. Il formato è in-8° e le pagine sono 358. In copertina figura lo schizzo di un interno borghese, ispirato alla vicenda narrata, realizzato in stile déco da Ubaldo Cosimo Veneziani, con inchiostro a tre colori: grigio, blu e rosso. Il libro fu pubblicato con un contributo dell’autore che ricevette in prestito 5000 lire dal padre, con tanto di ricevuta.

La casa editrice milanese Alpes faceva riferimento al direttore Cesare Giardini, scrittore in proprio e artefice di una pionieristica versione di Gatsby il magnifico di Francis Scott Fitzgerald (Mondadori, 1936), coadiuvato da Arnaldo Mussolini, fratello minore di Benito, il quale si scagliò contro il giovane Moravia, definendolo «negatore di ogni valore umano». Gli indifferenti ebbero un inaspettato successo: il libro fu ristampato a più riprese (altre due edizioni nel 1929, un’ulteriore nel 1930), con caratteristiche grafiche differenti rispetto alla versione originale. Dal 1933 il romanzo passa a Corbaccio, quindi nel 1945 a Darsena per approdare infine, quattro anni più tardi, alla Bompiani, casa editrice a cui Moravia rimase sempre fedele, divenendone una delle figure di rilievo. Nel 1964 uscì la riduzione cinematografica di Francesco Maselli, dopo che Alberto Lattuada desistette dall’impresa.

Lo stesso Moravia precisò: «Scrivevo a letto, incastravo il calamaio tra le lenzuola. Scrivevo con la penna, tenendo il pennino rovesciato, così che mi succedeva di bucare la carta. Ogni tanto l’inchiostro si spandeva sulle coperte e siccome stavo spesso fuori casa, mi facevano pagare le lenzuola macchiate d’inchiostro che portavo indietro a mia madre. Scrivevo appoggiato sul gomito. Oggi non saprei più farlo. Insomma il letto, dopo il sanatorio, era diventato per me come il guscio di una lumaca».

Nella sua Storia della letteratura autoprodotta (Luni Editrice, 2022), Lucio Gambetti afferma: «Nonostante si tratti di un esordio, il libro ha un notevole successo e abbastanza rapidamente Moravia riceve dall’editore le 5000 lire anticipate e le restituisce al padre, senza però ricavarne altri introiti». Secondo una ricerca effettuata dallo stesso studioso si registrerebbero soltanto una trentina di copie nelle biblioteche italiane ICCU. Considerata la qualità scadente della carta adoperata spesso gli esemplari superstiti si trovano in pessime condizioni. Inoltre i capitoli VII e XV sono erroneamente indicati come VI e XIV. Un esemplare della tiratura ordinaria figura in un recente bollettino della Libreria Pontremoli di Milano al prezzo di 2500 euro.

Moravia stesso raccontò che Cesare Giardini lo invitò a portare personalmente il libro a Giuseppe Antonio Borgese, considerato all’epoca il critico militante più autorevole del Corriere della Sera. Quando si trattò di apporre la dedica al volume, l’autore si dimenticò il patronimico dell’autore di Rubè, ricevendo in cambio questa mortificante stoccata: «Lei è così avvenirista da permettersi di ignorare il mio nome?». Tuttavia Borgese si spese non poco per la causa moraviana, recensendo in maniera più che favorevole il romanzo nello stesso 1929 dalle pagine del Corriere e sostenendo sempre il narratore romano. Moravia ammise: «In realtà, devo a Borgese molta gratitudine. Pubblicò un articolo su due colonne, un elzeviro, con il titolo “Gli indifferenti”, che ancora oggi è un bell’articolo e mi fece diventare celebre. A quel tempo Borgese e Pancrazi, altro critico del Corriere della Sera, potevano creare uno scrittore, per quel centinaio di lettori che si interessavano di letteratura. Oggi questo non è più possibile, ci sono più lettori, è vero, ma la letteratura non è più qualche cosa di culturale, è un prodotto industriale come un altro». Non possiamo, ahimè, che sottoscrivere queste parole, nonostante risalgano a oltre trentacinque anni fa.

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