Al Maggio Fiorentino
Aida a Gaza
Il regista Damiano Michieletto - con la direzione perfetta di Zubin Mehta - aggiorna "Aida" di Giuseppe Verdi inserendo echi inquietanti della nostra tragica attualità
Damiano Michieletto, uno dei rappresentanti più interessanti della nuova generazione dei registi italiani, ci ha piacevolmente stupito anche questa volta mettendo in scena Aida di Giuseppe Verdi al Maggio Musicale di Firenze e donandoci una rappresentazione carica di significati etici che ci ha riportato al nostro tempo con tutti i disastri che punteggiano il mondo attuale. A cominciare dall’eccidio di Gaza a cui noi assistiamo quasi annoiati, troppo presi dal gossip dei social o da Tentaption Island.
Michieletto, ormai ben conosciuto sulla scena internazionale operistica, inaspettatamente ci rappresenta Aida attraverso un enorme stanzone con il soffitto pieno di inquietanti lacerazioni che tanto ci ricordano i bombardamenti per “errore” alle popolazioni civili. A un certo punto la vicenda si evolve con una grande massa di terra che invade lateralmente lo spazio da cui fuoriescono i protagonisti di quest’opera verdiana indimenticabile. Aida, ci racconta il regista, «è una grande storia di guerra al cui interno c’è una piccola storia d’amore, ma nel definire il capolavoro di Verdi, potremmo anche dire il contrario; va solo stabilito dove porre l’accento».
L’amore tra Aida, qui magnificamente impersonata dal soprano ucraino Olga Maslova (che tutti ricordiamo nella indimenticabile Turandot di Puccini andata in scena all’Arena di Verona nel 2024 e che nell’agosto prossimo sarà nuovamente nel ruolo di Aida sempre all’Arena di Verona, giacché Aida è ancora oggi l’opera per eccellenza delle Arene, degli allestimenti grandiosi e spettacolari), e Radames, perfettamente messo in scena dal tenore sudcoreano SeokJong Baek, noto per la sua voce potente e raffinata, conosciuto nei teatri d’opera più autorevoli come la Royal Opera House di Londra e il Metropolitan Opera di New York. Nati da due popoli diversi e nemici, il loro amore genera guerre. Anche il padre di Aida, Amonasro (qui Daniel Luis de Vicente baritono ispano-americano spesso in scena con successo con le opere di Verdi e di Puccini), si mette naturalmente in mezzo per far cambiare idea alla figlia, costringendola a tradire il suo amore e a confessare la strategia militare che l’esercito di Radames sta seguendo per poterlo sconfiggere.
Ma la protagonista sceglie di morire con il suo amore, quasi come avviene con Romeo e Giulietta di Shakespeare, o anche come in Rigoletto di Verdi dove Gilda, nonostante sappia perfettamente ciò che ha fatto il duce di Mantova, sceglie di tornare da lui, assecondando il suo sentimento e andando incontro alla morte.
Indimenticabile la direzione musicale di Zubin Mehta che è stato subissato di applausi alla sua uscita finale sul palcoscenico assieme a tutto il cast e il direttore del coro Lorenzo Fratini. Per l’ottantanovenne Zubin Mehta, Aida rappresenta come un ponte tra Verdi e Wagner perché ritroviamo temi ricorrenti come quello che risuona l’orchestra, fin dal Preludio, quando appare Aida, che richiamano i Leitmotive wagneriani. Il terzo atto, ci fa giustamente notare il direttore, con il suo continuo fluire musicale è molto vicino al concetto wagneriano di melodia infinita. Il dramma di quest’opera viene risolta da Verdi con soluzioni veramente geniali con una tensione assolutamente incandescente.
La grandezza di Verdi, ribadisce Zubin Mehta, «sta nel riuscire a fare “teatro” con questo scontro di sentimenti e mi auguro che il nostro spettacolo riesca a cogliere in pieno questo sottile gioco psicologico» e dobbiamo dire che, aiutato dall’orchestra del Maggio Fiorentino e dal regista, ha saputo farci incantare.
Quindi il regista utilizza questa piccola storia familiare per immergerci nella “grande storia” utilizzando degli strategici “flashback” che ci immergono nei ricordi d’infanzia di Aida e di sua madre. Questi “flashback” immaginari e sognanti ci conducono alla fine della storia dove la protagonista raggiunge Radames nella tomba, quindi il luogo più cupo, più buio, soffocante e inospitale – la morte in pratica – dove entrambi saranno accolti da una vera e propria piramide di cenere. Il regista valorizza questo tragico finale immaginandolo come se il loro amore fosse trionfato. Lei sceglie il suo tragico destino perché vuole coronare il suo sogno d’amore e dunque accanto a loro in questa “morte” abbiamo visto in scena tutti coloro che sono già morti (il padre, la madre di Aida, gli amici) riunirsi in un’immaginaria “festa” dove celebrano la morte e lo fanno celebrando il loro amore.
Sotto, in un palcoscenico diviso in due che invoca il suo grido di “pace, pace” ovvero le ultime famose parole che rimangono di quest’opera e che sono, forse, il messaggio che questa storia, dopo tutta la violenza, dopo tutti i sacrifici e la guerra, dopo tutto il sangue che è stato sparso vuole trasmettere: il desiderio di pace. Non c’è nessun riferimento all’attualità in senso stretto ma dove le immagini sono capaci di parlare da sole.
Il regista ha saputo farci immergere, senza tradire l’opera di Verdi, in certe situazioni che purtroppo sono anche parte della cronaca attuale da molti anni. Questo, ci ribadisce Michieletto, «è senz’altro un aspetto forte dei classici dell’opera; il fatto di poter parlare, in modo trasversale, a livello generazionale e temporale. Questa stessa opera, rappresentata 100 anni fa o rappresentata adesso, grazie alla potenza e alla bellezza della musica di Verdi, ha un messaggio e un impatto emotivo destinato a durare nel tempo».
Questa di Michieletto non è certamente la prima Aida reinterpretata. Ricordiamo tutti con piacere quella di Robert Wilson nel 2002 a Le Monnaie di Bruxelles: un’Aida astratta concepita secondo la sua estetica usuale con fondali di un azzurro freddissimo che cambiavano colore all’improvviso e gesti ieratici derivati dal teatro No. Oppure quella di Hans Neuenfels che la mise in scena a Francoforte con un’impostazione politica di grande effetto, che poi nel 1994 sarà spinta alle estreme conseguenza da Peter Konwitschny a Graz nella sua Aida “da appartamento” con coro fuori scena.
Insomma fa sempre piacere quando i bravi registi riescono a rileggere queste opere di Fine Ottocento per farcele nuovamente ammirare con tutto il loro splendore senza aver bisogno di rimetterle in scena in maniera tradizionalista. E in questo il non ancora cinquantenne Damiano Michieletto è sicuramente un maestro.
Le fotografie dello spettacolo sono di Michele Monasta-Maggio Musicale Fiorentino.