Oggi a Pienza nella Chiesa S. Carlo Borromeo
Per Giovanni Piccioni
“La parola della Poesia”: nell'ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di Leone Piccioni, omaggio al figlio poeta scomparso un anno fa. All'incontrano partecipano poeti, studiosi e critici letterari
Oggi a Pienza, nell’ambito delle celebrazioni del centenario della nascita di Leone Piccioni, si svolge alle 17,30 nella Chiesa di San Carlo Borromeo (in Piazza San Carlo), l’incontro La parola della poesia – Per Giovanni Piccioni. Vi partecipano: Emanuela Bufacchi, Fabiana Cacciapuoti, Alessandro Ceni, Giuseppe Grattacaso, Fabio Pellegrini, Alfiero Petreni, Daniele Piccini, Loretto Rafanelli, Walter Rossi, Marco Vitale, Silvia Zoppi Garampi. Coordina Giampietro Colombini, introducono il Sindaco di Pienza Manolo Garosi e l’Assessore alla Cultura Angela Vegni. L’incontro è organizzato da Succedeoggi Libri con il Comune di Pienza, la Fondazione Conservatorio San Carlo Borromeo e il Centro Studi Leone Piccioni. Pubblichiamo la testimonianza di Giuseppe Grattacaso.
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Il paesaggio è spesso protagonista delle poesie di Giovanni Piccioni. Il poeta concentra lo sguardo su un luogo che dà ristoro, in cui cercare rifugio dagli avvenimenti della realtà e da se stesso, ma che in fondo ripropone quella che il poeta stesso chiama «incongruenza del mondo». Tra le forme del paesaggio ritroviamo caratteri profondi della personalità di Giovanni, innanzitutto quella sorta di fuggente perseveranza che vuole dare un senso alle mille presenze e alle mille forme, che si sforza di cercare e di scoprire bellezza in uno spazio che è poi sempre teatro della fuggevolezza delle cose e delle vite, e del dolore che da esse non è mai disgiunto. A volte si tratta di un paesaggio marino, quello della Versilia, che ha alle spalle le linee nette e salde delle Apuane, da una parte il movimento e la cedevolezza dell’acqua, dall’altro la stabilità e la cruda concretezza della roccia. Questo e altri panorami non sono luoghi del presente, ma vivono, rivivono, nel ricordo, richiamano alla memoria la pace infantile e, in parte, giovanile, ci parlano di speranze, ma anche di un senso di sicurezza destinato a infrangersi di fronte alla constatazione della fragilità di ogni vita. «La mia lieta e impaurita infanzia / alimentò il tempo a venire / nell’alternarsi di aurore e tramonti» ha inizio una poesia, che ci porta dentro il continuo succedersi di piacere e sofferenza, di luce e buio, di adesione e distanza che fa da sfondo a queste liriche.
Il presente è fatto anche di assenze, di sconfitte, di delusioni, e il poeta, «inadatto alla guerra», cerca nelle figure naturali e negli affetti conforto e soluzione alle avversità. È lì forse che spirito e corpo possono recuperare la strada, reagire al senso di smarrimento che spesso pervade l’esistenza. Turbamento e sconcerto non conducono a una disperazione gridata, ma a un parlare sommesso e malinconico, a una pena velata: «Durante il tragitto / fui invaso dall’ineludibile dolore / della malinconia».
La poesia di Giovanni Piccioni proprio da questo smarrimento di fronte al male che pervade il mondo e le vite degli esseri umani, trova le ragioni della grazia che è caratteristica del suo sguardo e delle sue parole, di quella «scontrosa grazia» potremmo dire con Saba, che sempre attraversa la sua poesia.
La magnolia, le ortensie,
le palme, i gerani
ed altre piante rare
sull’erba appena rasa
erano il preludio alla spiaggia.
In mare, al largo,
bordeggiavano bianche vele,
e, in cerca dell’azzurro del cielo,
si slanciavano nitide le Apuane.
Con la rena giocava un bambino
senza timidezza nudo
mentre guardava avvinto volteggiare un aquilone.
L’incongruenza del mondo non lo sfiorava,
e di nessun ricordo, di nessun incerto domani
portava il peso.
A nord ovest il Tino e la Palmaria liguri
quasi un miraggio in quella luce.
Ed io, inadatto alla guerra,
appagato da quel giorno senza affanni,
sentivo che quanto mi era stato dato
mai l’avrei perduto:
era quella la mia origine.
Giovanni Piccioni


