A proposito di "Un pensiero ribelle"
Il romanzo di Marussia
Mirella Armiero racconta la vita avventurosa di Maria Bakunin, alias Marussia, scienziata e intellettuale anticonformista nella Napoli a cavallo tra Ottocento e Novecento
Napoli fin de siècle. Una carrozza sfreccia nell’affollata via Toledo. A bordo una nidiata di bambini. Uno dei cavalli è imbizzarrito, caracolla frenetico, alla cieca. Il veicolo sobbalza, traballa pericolosamente, rischia di catapultarsi sui passanti, di sfasciarsi, fare vittime. Una bimba supera le urla terrorizzate dei compagni, afferra le redini, frena la corsa selvaggia dell’animale, salva i fratelli.
L’ombra della leggenda – quanto ci sarà di vero nell’episodio tramandato tra bagliori d’eroismo e profetica fermezza? – si allunga sulla vita di Maria Bakunin. E come ogni leggenda affonda le radici in un nocciolo di realtà. Marussia, nomignolo domestico, forse non avrà mai arrestato la corsa sciagurata di cavalli ammattiti; a Napoli le leggende hanno un’esca immediata. Ma di certo si è imposta nella vita come una donna decisa, energica, imperiosa fino alla scontrosità.
Maria Bakunin. Chi era costei? Il nome in sé probabilmente dice poco. Al più richiama alla mente un celebre anarchico russo, Mikhail, rampollo di un casato principesco russo. Di cui, ufficialmente, sarebbe stata figlia. Marussia, però, aveva mostrato fin dai primi passi, cavalli o meno, un carattere forte, indipendente. Non per nulla sarà la prima donna In Italia a laurearsi in Chimica, materia che avrebbe insegnato nell’università napoletana.
Ne sarebbe scaturito un cospicuo cursus honorum (fu, tra l’altro, per due volte presidente dell’Accademia delle scienze fisiche e naturali) che si concluse con il conferimento, e ancora una volta Maria Bakunin risultò la prima donna ad ottenerlo, del titolo di socia dell’Accademia nazionale dei Lincei.
A ricostruire, per un più ampio pubblico, l’immagine e le vicende di questa intellettuale pugnace e inflessibile ha provveduto Mirella Armiero, firma del Corriere del Mezzogiorno, con un lavoro che ha spunti e movenze da romanzo sul terreno di una solida documentazione (Un pensiero ribelle. “Maria Bakunin, la Signora di Napoli”. Solferino, pagg. 176, euro 16,50). Nel mettere a fuoco, con una scrittura limpida e incisiva, la figura della protagonista, Armiero restituisce anche, in pochi tratti, il quadro culturale e sociale della Napoli postunitaria, declinante verso un soffocante provincialismo, malgrado la presenza di non pochi personaggi di spicco, come la stessa Marussia, nell’ambiente della cultura e dell’arte.
È nell’ultimo quarto del secolo diciannovesimo, mentre l’Italia celebra una non sempre ben accetta unità, che la famiglia Bakunin raggiunge Napoli. Anche qui realtà e leggenda si intrecciano intorno a quel cognome suggestivo. Molto più anziano della moglie Antonia, Antossia per i familiari, l’anarchico non si era opposto alla relazione della sposa con l’amico Carlo Gambuzzi, un anarchico napoletano, e aveva riconosciuto come suoi i loro figli – Maria, Carlo, Sofia.
Maria, comunque, non volle mai disfarsi di quel nome principesco e fu Bakunin per tutta la vita. E oltre, perché è così che sempre viene presentata nelle storie e nelle enciclopedie. Maria Gambuzzi non è mai esistita. Avvolta in un alone di gloria accademica, di prestigio personale e indomita volontà, si staglia la sagoma della professoressa Bakunin.
Che dell’università fece, in qualche modo, il suo universo. Finì, infatti, per abitarvi, in un appartamento all’interno dell’ateneo, sulla trafficata via Mezzocannone, a ridosso del decumano inferiore, noto come Spaccanapoli. E nell’università trovò quello che sarebbe stato il compagno della vita.
Francesco Giordani era un suo allievo. Li dividevano più di vent’anni. Ma lei, vedova, non era certo donna da farsi condizionare da risibili pregiudizi. Già nel 1916 avevano prodotto insieme un saggio. Partiranno poi per visitare gli Stati Uniti, di cui riporteranno giudizi contrapposti, vivranno nella stessa casa. Affronteranno uniti gli alti e bassi della vita.
Ad una cattedra universitaria approderà un suo geniale nipote, il figlio della sorella Sofia, l’illustre matematico Renato Caccioppoli. E qui, di nuovo, la leggenda si coniuga con la realtà. Si narra, infatti, che una sera, in una birreria, il matematico avrebbe provocato alcuni ufficiali nazisti eseguendo al piano – era anche un provetto pianista – la Marsigliese.
Per un altro si sarebbero aperte, e richiuse forse per sempre, le porte di una prigione. Ma le famiglie erano importanti, influenti. Caccioppoli venne fatto passare per pazzo e trascorse un non lungo periodo in una clinica. Vero o ingegnosamente ricostruito, l’episodio avrebbe fornito lo spunto per la famosa scena di Casablanca, il film di Michael Curtiz, in cui Humphrey Bogart, mentre ufficiali nazisti cantano i loro inni guerrieri, dopo uno sguardo a Ingrid Bergman, ordina al pianista di eseguire l’inno francese.
Il prestigio intellettuale e sociale consentirà a Maria e al suo compagno di attraversare indenni momenti turbolenti. Il fascismo prima. L’epurazione in seguito, che avrebbe potuto colpire Francesco Giordani, che sotto il regime aveva rivestito cariche importanti.
Con una certa leggerezza, Maria definisce l’epurazione una “persecuzione”. Nei fatti si dimostrerà un fuoco di paglia. Come sottolinea Armiero, in questa vicenda “è evidente il sentimento corporativo” della classe intellettuale, che si schiera compatta a difesa di Giordani. Dopo un periodo di patemi e paure, Giordani resta in sella e, anzi, otterrà incarichi di primaria importanza.
Quest’attenta e illuminante rievocazione della vita di Maria Bakunin apre uno squarcio su un aspetto non secondario della storia napoletana postunitaria, e potrebbe ispirare un proficuo filone di ricerca. Nel senso che, quando si parla di cultura, i soggetti chiamati in causa sono con larga prevalenza al maschile. Ma è forse ora che questa voce cominci ad essere declinata anche al femminile; perché le donne, finora relegate ai margini con sporadiche eccezioni, su tutte Matilde Serao, non sono né sono state affatto piccola parte della vita intellettuale della città. E avranno di sicuro molto da raccontarci.


