Paolo Petroni
A proposito di "Cartagloria"

Cercasi trascendenza

Il nuovo romanzo di Rosa Matteucci segue la linea inaugurata dai precedenti: al ricamo autobiografico si unisce una lingua molto raffinata. All'inseguimento del valore della spiritualità

Già qualcosa ci era stato fatto capire in Lourdes, il romanzo d’esordio di Rosa Matteucci, poi in Cuore di mamma e infine con Tutta mio padre sulla storia della famiglia dell’autrice, che ne trasforma in narrazione e costruzione linguistica il declino economico e la propria impossibile ricerca di un equilibrio e un senso, magari inseguendo un piccolissimo guanto di capretto spaiato. Questo, che torna in quest’ultimo Cartagloria (Adelphi, 154 pagine, 18 Euro), segna direttamente e indirettamente la vita di tutti, dono di una zia al battesimo della bambina, il cui compagno è però andato perso, mentre solo chi li abbia tutti e due e li consegni a un certo notaio acquista il diritto a ereditarne gli innumerevoli beni sparsi per il mondo. Così il padre della narratrice, preda del vizio del gioco, impegna ossessivamente tutto se stesso nella ricerca per la ricostruzione del paio, che dovrebbe riportarlo a una vita più che agiata.

A segnare quella della protagonista è invece l’ossessione per la Prima comunione, nel tentativo di farla comunque, anche contro la distratta indifferenza dei suoi che non la iscrivono a catechismo, e poi, riuscita a averla con determinazione e improntitudine presentandosi a sorpresa tra gli altri bambini davanti al parroco che la somministra, e infine il senso di colpa infinito per aver sputato l’ostia incollata al palato in un cespuglio.

«L’ombra del peccato mortale volteggiava su di me come una poiana pronta a ghermirmi – la metafisica poiana del peccato che mi avrebbe accompagnato per gran parte della mia esistenza». È questo senso di colpa e una continua e sempre vana ricerca di spiritualità l’argomento di questo racconto dell’io narrante, che è l’autrice, visto che tra l’altro ricorda l’aver scritto Lourdes, e assieme non lo è in tanta ossessione narrativa, descrittiva e magmatica costruzione stilistica, che sono proprie di un romanzo, come la fantasia militaresca che apre il libro in cui lei, bambina, è accucciata in una fossa, aspettando metaforiche battaglie ingaggiate dal padre Maresciallo napoleonico e immagina la propria solitaria Prima comunione.

Una sorta di denso, intimo memoire personale, curioso, particolare, quasi imperscrutabile nel suo senso, e che vive della materia della scrittura, costruita ossessivamente, alla ricerca di parole e curiosità, di lingua alta e bassa, di frasi e locuzioni particolari, in un gioco variegato nei toni tra quotidiano e assurdo, tra svilimenti e grottesco, in un pastiche che riflette e materializza i percorsi mentali dell’io narrante, cui è sempre «mancata una frase soltanto: “Ti voglio bene”… in assenza della quale tutto fu perduto e confuso».

Questa bambina «orfana di genitori viventi» verrà portata dopo il disastro economico a Venezia, quindi la ritroveremo studente a Londra e, spinta dal «desiderio del trascendente», poi in India come tanti giovani anni ’70, e via via a Lourdes (da cui il suo primo libro) come alla scoperta del buddismo, la ricerca di un esorcista o messa in mezzo da due presunte maghe. Tutta una serie di esperienze che si rivelano sempre fallimentari e la fanno sentire marginalizzata rispetto a Dio, cui ha anche chiesto inutili spiegazioni attraverso la Madonna.

A creare spaesamento ecco anche le novità della messa in italiano post Concilio e il “colpo di grazia” di cambiamenti persino nel Padre Nostro, che la donna rifiuta, legandosi alla messa tridentina in latino (da cui il titolo Cartagloria – testi di passi di quella celebrazione incorniciati e posti sull’altare) di cui indaga e racconta tutti i particolari sino alla chiusura, alla coscienza che tutti siamo destinati a portare una croce e all’incontro  nel suo percorso mattutino con una statua di gesso, quella della «Vergine Santa, la Ianua coeli, l’Assunta in cielo, eppure così presente nella mia vita».


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

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