Sergio Buttiglieri
Al Teatro Bellini di Napoli

Ritorno a Dario Fo

Antonio Latella ha messo in scena “Morte accidentale di un anarchico” di Dario Fo: «Un modo per riflettere sui nostri errori e cercare di evitarli in futuro»

Antonio Latella ha appena debuttato con successo al Teatro Bellini di Napoli con la rilettura del famoso testo di Dario Fo e Franca Rame Morte accidentale di un anarchico. La scena invade completamente la platea con un’enorme sagoma che evoca quella di un corpo in caduta libera. Il palcoscenico ospita anche gli spettatori assieme agli attori e a una serie di manichini (realizzati dal laboratorio Alovisi attrezzeria) che la compagnia indossa sulle spalle e li fa roteare mentre dialogano fra loro invadendo tutta la platea seguendo il perimetro della sagoma anarchica del ferroviere Giuseppe Pinelli volata fuori dalla finestra del quarto piano della questura di Milano nel 1969. Questo dopo una serie di interrogatori relativi alla strage di Piazza Fontana.

Lo spettacolo inizia con l’attore Daniele Russo che pensosamente percorre tutta la sagoma del cadavere. Si tratta di un caso giudiziario che non è mai stato completamente risolto. E Dario Fo nelle sue note di regia dichiara di essersi ispirato a un fatto accaduto in America nel 1921 dove un altro anarchico italiano, Andrea Salsedo, precipitò dal 14° piano della questura di New York con gli stessi dubbi sulla causa del decesso: suicidio? o eliminazione dell’anarchico dopo l’interrogatorio?

Antonio Latella è uno dei registi più incisivi nel panorama teatrale per la poetica, il rigore e le variazioni che ne arricchiscono il percorso. Fin da giovanissimo ha lavorato come attore con registi del calibro di Luca Ronconi, Elio de Capitani, Walter Pagliaro e Vittorio Gassman. La sua prima regia teatrale è del 1998 con lo Agatha di Marguerite Duras. Con Agata Latella mette in scena tutto quello che ha imparato stando al fianco dei grandi registi, studiando gli autori con improvvisazioni attraverso cui cercare il giusto metodo. Dopo aver affrontato alcuni testi shakespeariani come Otello, Romeo e Giulietta, Macbeth, Riccardo III, La bisbetica domata e la Tempesta, la sua carriera prosegue con le rappresentazione di testi di Genet e Pasolini, per poi tornare al teatro inglese con l’Edoardo II di Marlowe e Aspettando Godot di Beckett.

Anche in questo suo ultimo pregevole lavoro Antonio Latella ci disorienta facendoci divertire lasciando aperte tante finestre su questa vicenda, ma che sicuramente non lascia uscire leggeri, rilassati. D’altronde, Latella da sempre ama far vibrare di interrogativi il suo pubblico, a volte utilizzando il tormentato teatro di parola ma sempre indissolubilmente tramite il corpo dei suoi attori che sanno magnificamente restituire in scena tutta la lacerante tensione intellettuale delle sue regie.

Latella sa immergerci nel caos interpersonale con periodiche distorsioni sonore che percorrono ripetutamente la scena rendendo così inutili le parole. Come inutili sono gli arredi di scena, irreali come i dialoghi tra i personaggi. C’è in questa irriverente rappresentazione dell’irrisolta caduta accidentale dell’anarchico una profonda disincantata analisi della nostra percezione della realtà. Esattamente come nei testi classici, anche oggi abbiamo sempre l’illusione di saper vedere veramente la realtà che ci circonda e di poterla modificare in meglio attraverso i professionisti della parola. Basta leggere i titoli dei media addomesticati di questi giorni sulla tragedia di Gaza per rendersene conto.

E dopo la comparsa in scena della giornalista di turno desiderosa di fare uno scoop, (la bravissima  Caterina Carpio) non a caso uno dei primi attori che appare in scena, Daniele Russo che fin da subito, in maniera straordinaria, recita la parte del matto,  al momento finale dei calorosi applausi del pubblico a sorpresa indossa una maglietta bianca con elencati gli sterminati giorni in cui si sta eseguendo questo orrendo eccidio che purtroppo ai più lascia indifferenti, troppo presi dall’omicidio di Garlasco del 2007 che occupa paginate sui giornali.

«Attraverso questa figura – ci racconta Antonio Latella – si aprono delle possibilità, il matto è sempre credibile perché resta sempre quello che è, pur cambiando ruolo. Il matto può destabilizzare e creare una folle e inaudita cascata di parole ad una velocità tale che si fa fatica a stargli dietro, a seguirlo, quasi come se il testo di Fo e Rame fosse la rappresentazione verbale della caduta stessa. Le parole arrivano ad altezze vertiginose e alla fine l’equilibrio si perde e non si può che cadere, forse giù da quella maledetta finestra di quel maledetto palazzo milanese».

Un meritatissimo bravi a tutti componenti della compagnia (Annibale Pavone, Daniele Russo, Edoardo Sorgente, Emanuele Turetta e Caterina Carpio) che attraverso il testo di Dario Fo ha ripercorso uno degli episodi più controversi della storia italiana del dopoguerra. Dario Fo pochi mesi dopo l’accaduto interroga con la sua opera non solo il caso giudiziario specifico ma parte di un periodo storico ancora oggi difficile da decifrare e consegnare agli archivi. Un testo riscritto più volte in due anni e mezzo che costò a Fo circa quaranta processi in ogni parte d’Italia. Fo, con questo testo, parlava di scandalo. «La sola cosa che vorrei riuscire a fare – aggiunge Latella –, graffiando con una risata da Joker, è quella di non dimenticare cosa e chi siamo stati. Provare a non cambiare la storia, ma tornare sul luogo del delitto non per attaccare coloro che non ci sono più, ma per comprendere e non ripetere gli stessi errori. Si può riuscire con una regia?  Forse no, ma si deve provare». E io penso che anche questa volta il regista ci sia riuscito.

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