Silvia Rosati
Un racconto di disagio infantile

La paura

«In classe sono molto brava, mi piace soprattutto italiano. Il primo pensierino che ho scritto era su una visita al giardino zoologico. Io ho parlato di una scimmia, chiusa da sola in gabbia, guardava fuori oltre le sbarre della sua prigione e si vedeva quanto fosse infelice...»

Silvia Rosati, l’autrice di questo racconto, è allieva del corso di scrittura della Scuola Orlando tenuto da Andrea Carraro, Filippo La Porta e Sebastiano Nata. Romana, laureata in Lettere e con un master in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, Silvia Rosati vive e lavora a Roma. È giornalista pubblicista e responsabile della comunicazione interna in un’azienda. Ha pubblicato un racconto nell’antologia Odio l’estate (Giulio Perrone Editore) e il romanzo Era sola quel pomeriggio (Pequod Edizioni).


Mamma oggi fuma seduta al tavolo del tinello, quello con il vetro di cristallo che se mi poggio mi passa tutto il suo freddo nelle braccia. Piange e si tiene la sigaretta tra le dita, la cenere diventa un serpentello lungo che si sfalda dopo pochissimo e cade sul vetro. Allora si riscuote e riprende ad aspirare il fumo, lasciando sul filtro un’impronta rosa confetto. Mi avvicino, ma piano, devo sempre arrivare senza fare troppo rumore, altrimenti lei grida che sono una bambina insopportabile. Deve esserle accaduto qualcosa di grave, ma non chiedo, potrebbe non rispondermi e nemmeno voltare il viso verso di me, succede spesso, soprattutto quando è triste. Se mamma è triste, lo divento subito anche io. Ma non esiste niente di più allegro della sua risata. Quando la sera guardiamo insieme la televisione e la sento ridere, la imito subito, spesso senza sapere il perché. Ma stavolta è lei a voltarsi verso di me e a dirmi a bassa voce che papà l’ha picchiata. Di solito, quando lui rientra la sera tardi stanco, picchia me perché sono stata maleducata durante tutta la giornata. Mamma gli fa una specie di elenco delle mie malefatte che si conclude chiedendogli di fare qualcosa per correggermi. Io mi sono fatta furba, riconosco la voce di papà che cambia, inizia a ripetere come una canzone incantata sulla puntina del mio mangiadischi: èveroèveroèvero? Sarebbe da ridere se non mi mancasse la voce, non riesco proprio più a parlare, come se qualcuno mi stesse strozzando. Lo spavento mi rende però veloce a scappare, mi metto a correre intorno allo stesso tavolo dove ora sta seduta mia madre, correre mi fa sentire i superpoteri addosso. Ma papà riesce sempre a bloccarmi e allora devo resistere alle botte ovunque, quasi mai sulla faccia, perché così non restano segni. Finisce sempre allo stesso modo: io che scappo nella mia stanza, mi butto sul letto e piango per tirare fuori tutto il dolore, a singhiozzi fortissimi e mamma che entra, mi prende dolcemente per mano e mi porta a chiedere scusa a papà. Lo faccio, guardandomi la punta dei piedi, i capelli che si appiccicano sulle guance bagnate di lacrime. Papà mi perdona e torna a volermi bene, qualche volta lo dice anche e allora il mio cuore scoppia di gioia, lo spavento è passato, posso abbracciarlo e stringerlo fortissimo a me. Ci sono giorni in cui mi manca così tanto che stringo tra le mani il suo posacenere, fuma tantissimo e sa proprio del suo odore.

Ora mamma mi sta dicendo che dobbiamo andare via di casa, mi guarda stralunata e puzza di mentolo. Non ha il coraggio di fumare le sigarette vere di papà. Un rumore alla porta ci fa sobbalzare, non ci aspettavamo lui rientrasse così presto. Mamma gli sibila di andarsene, ma io non voglio che lo faccia. Papà mi dice di andare nella mia stanza, me lo dice piano, senza urlare. Io sono gelosa, avrei preferito mandasse via mamma, poi avrebbe picchiato me, ma avremmo fatto pace, gli avrei chiesto scusa come al solito e lui mi avrebbe abbracciata.  Mi sdraio a letto, ho fame, questa sera non si mangia e il silenzio mi spaventa. Fisso il soffitto e il buio tocca le finestre, la mia stanza è invasa dalla notte. La nostra bella casa pare sotto un incantesimo, non vola una mosca. In punta di piedi arrivo davanti alla camera da letto di mamma e papà, è chiusa, non posso entrare. Torno a dormire senza aver cenato.

La mattina dopo, papà viene a svegliarmi. È sempre tutto uguale, mi vesto per andare a scuola e li aspetto, mi accompagnano e parlano tra loro. In classe sono molto brava, mi piace soprattutto italiano. Il primo pensierino che ho scritto era su una visita al giardino zoologico. Io ho parlato di una scimmia, chiusa da sola in gabbia, guardava fuori oltre le sbarre della sua prigione e si vedeva quanto fosse infelice. Non le mancava la libertà, ma una famiglia in cui sentirsi amata. La maestra ha chiamato mamma per complimentarsi. Il mio pensierino ha fatto il giro delle classi, lo hanno letto anche in quinta.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

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