Ultrà e politica
Il saluto
«Giorgio cerca lo sguardo del capo della tifoseria che si trova a pochi metri da loro. Si guardano per pochi secondi. Poi Giorgio gli fa un segno, una smorfia praticamente impercettibile»
Jesper Storgaard Jensen, l’autore di questo racconto, è nato in Danimarca nel 1964. Vive a Roma dal 1997. Lavora come giornalista freelance presso la Stampa Estera di Roma. Autore di diversi libri (ultimamente La Roma invisibile, del 2022, e I giardini storici d’Italia, del 2024) in lingua danese. Attualmente sta portando avanti due progetti: un libro sul True Crime italiano, in danese, e il suo primo romanzo, in italiano. Il racconto che pubblichiamo è stato elaborato nell’ambito della scuola di scrittura di Andrea Carraro.
”Allora, dai dai dai … facciamo questo saluto per Rocco, che il prossimo giovedì esce … finalmente, se lo merita, che dici?”
“Embè, direi di sì … merita eccome”.
“Cazzo, è poco ma sicuro. Sai … penso spesso a Rocco quando vado allo stadio, perché una volta, durante una partita dove stavamo proprio qua, mi disse che, secondo lui, il saluto romano più bello è proprio quello che si fa qui in curva, quando giocano i ragazzi …”
“E magari quando si può menare qualche zecca de merda dopo la partita …”
Giorgio e Django ridacchiano. Hanno l’abbonamento annuale per la Lazio. Stessi posti un paio di volte al mese, hanno la stessa fede e lo stesso odio. Da un anno e mezzo manca la terza componente, Rocco, che, però, presto farà di nuovo parte del terzetto.
“E quand’è che esce? Giovedì?”
“Mercoledì. Esce mercoledì … dopo un anno e mezzo. Cazzo, ti rendi conto … un anno e mezzo. In tutto questo tempo ha tenuto la bocca chiusa. Un anno e mezzo … ma lo sai che se parlava ‘sto deficiente di Pierluigi … anche lui, eh … andava dentro dritto dritto. Al gabbio. Dicono che era lui a guidare e non Rocco, capito? Rocco si è incollato la colpa per salvare il capo”.
“Maddai, sai che non lo sapevo … A quel punto credo che Rocco verrà premiato, no?”
“Ma penso proprio di sì … dopo un anno e mezzo. Tu che dici?”
“Beh, direi di sì, sarebbe naturale. Ma … scusami, non mi ricordo, cos’era successo esattamente?”
“Pierluigi ha beccato il numero due dei calabresi … cioè, con la macchina … è salito sul marciapiede. Così, come se stesse in un cazzo di film. Come si chiamava, lo stronzo? Dunque …. ah sì, Lutazzi … la mano destra del capo dei calabresi. Ha beccato Lutazzi, ‘sto pezzo di merda. Lo conosci, no? È rimasto in coma per tre settimane, poi è schiacciato. Cazzo che goduria. Ma quando Pierluigi e Rocco si sono fermati, lì sul marciapiede con la macchina fracassata e con lo stronzo sotto, gli sbirri sono venuti subito. Non sono potuti scappare. E allora Rocco, per salvare il grande capo, ha fatto finta che fosse lui a guidare, capito? Ma siccome abbiamo un avvocato coi controcazzi, Rocco ha beccato solo un anno e mezzo … cazzo, un piccolo miracolo, eh! Mi raccomando, mercoledì a mezzogiorno si parte in carovana verso Rebibbia, saremo un bel comitato”.
Giorgio cerca lo sguardo del capo della tifoseria che si trova a pochi metri da loro. Si guardano per pochi secondi. Poi Giorgio gli fa un segno, una smorfia praticamente impercettibile. Poco dopo parte l’ordine del capo, poi il silenzio per pochi secondi, e alla fine, come in una coreografia ideologica ben collaudata, di scatto si alzano migliaia di braccia nell’angolo giusto insieme all’urlo “Du-ce, Du-ce”.
“Ahh cazzo, così si fa? Cosìììììì … Non lo trovi liberatorio? Io sì. E poi hai visto che oggi il saluto romano non frega più un cazzo a nessuno, questi vecchi simboli ormai hanno perso il loro valore. Scandalizzarsi richiede un’energia che in pochi sono disposti a mobilizzare. Anzi, guarda un po’ com’è la nostra società. Loro, le zecche, dicono che siamo stupidi, che abbiamo dimenticato la nostra storia. Sai qual è il punto, caro Django? Ci fa comodo che loro ci pensino stupidi. Che ci sottovalutino intellettualmente. Ci fa proprio comodo, e a me personalmente non mi frega un cazzo. E sai perché? Perché ho fatto una scelta”.
“In che senso?”
“Ma sai, sappiamo benissimo qual è la cantilena delle zecche sinistrose. Siamo pochi istruiti, siamo stupidi e ottusi o delle cattive persone senza valori. Lo sai, no? Dicono questo. Ma a me non frega un cazzo, perché ho fatto una scelta. Negri, africani, i finocchi e gli handicappati del cazzo e tutta questa feccia qua mi fanno schifo. E guarda … non perché mi fanno schifo automaticamente, ma perché ho fatto una scelta ponderata. Ho riflettuto e alla fine di questa riflessione ho deciso che tutta questa gente mi fa schifo. Ho fatto una scelta consapevole, di campo, capito? Poi le zecche mi possono chiamare come cazzo vogliono, ma non possono chiamarmi stupido perché la mia scelta è frutto di un’accurata riflessione. Poi, guarda, se io li voglio provocare rispetto alle loro idee del cazzo di politicamente corretto di zecche di merda come sono, basta che gli butti in faccia qualche congiuntivo per confondergli le acque, così sanno chi hanno davanti, cazzo … uno che mastica la materia e che ha fatto una scelta, e se questo non gli basta magari tiro fuori qualche frase di De Felice o del grande Erza”.
“Scusami Giorgio, sai su questi nomi non riesco a seguirti. Poi …”
“Non ti preoccupare, Dai’ … poi magari un’altra volta ti spiego. Ti dico solo che sono nomi che ti servono per difenderti, capito? Oggi abbiamo Giorgia ed è una grande, ma proprio una grande! Però a volte non basta. Sai quando andiamo ad Acca e Predappio ci sono sempre questi giornalisti stronzi … in quel caso … capito? Sono nomi e storie che ti servono”.
Ogni tanto, lì nella curva, partono i cori. Così Giorgio e Django s’intonano. Conoscono tutti i testi. Fanno parte di un rito, un sentimento collettivo, una fede che si articola in due direzioni – con e contro qualcosa e qualcuno. È una fede che conferisce un senso di sicurezza e che sottolinea l’appartenenza ad una grande famiglia.
“Poi dai-dai, mi raccomando, poi quando esce Rocco, lo sai che si riparte alla grande, no? Abbiamo avuto un periodo di fiacca, ma era previsto. Ora non più. Tu e Rocco sarete a San Basilio, ok? Tutti i giorni. Ma già lo sai, no? E mi raccomando porta sempre il ferro, no … la sai che non è una piazza qualsiasi, ok? Lo sai, no?”
“Ma certo, che lo so. Porto il ferro sì. E tu dove starai?”
“Beh, credo a Tor Bella con Maurizio, ma è ancora da definire. Abbiamo avuto un bel po’ di problemi lì, soprattutto a causa dei calabresi. Secondo me sanno benissimo che Rocco sta uscendo e secondo me si stanno cagando sotto, ‘sti stronzi. Bisogna vedere che cosa dice il capo”.
La partita volge verso la fine. Giorgio tocca il braccio di Django dicendogli “dai, facciamo un ultimo saluto. Fai un fischio a come si chiama …. coso?”
Django fa un alto fischio verso il capo tifoseria. Il tizio si gira, fa sì con la testa. Poi fa partire un urlo e dopo pochi secondi centinaia di braccia si alzano … “Du-ce, Du-ce”.
La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.


