Letterature diverse
Una poesia migrante
Incontro con Weedhsame, grande protagonista nella nuova poesia del Somaliland: «I nostri versi sono necessari al popolo. Siamo molto legati alla tradizione ma affrontiamo le nuove tragedie del nostro mondo»
Nell’ambito degli appuntamenti sulla letteratura dei paesi africani, in collaborazione con i professori di africanistica dell’Università Orientale di Napoli, nel mese di aprile abbiamo intervistato, il poeta del Somaliland Xasan Daahir Ismaaciil “Weedhsame” che è ampiamente considerato uno dei poeti somali più promettenti della sua generazione. Grazie alla sua stretta relazione con il celebre poeta Maxamed Xaashi Dhamac “Gaarriye”, Weedhsame è immerso nella lunga e complessa tradizione poetica somala ed è impegnato nel proseguirne la tradizione.
Weedhsame è nato a Kalabaydh, a ovest di Hargeysa, nel 1982. All’età di sei anni, lui e la sua famiglia furono costretti a fuggire nel campo profughi di Dul-cad, in Etiopia, a causa della campagna di bombardamenti lanciata dal dittatore somalo Siad Barre. Dopo la caduta del regime di Barre, Weedhsame e la sua famiglia tornarono a casa nel 1992, e lui poté iniziare il suo percorso scolastico, che lo portò a laurearsi in Matematica presso l’Università di Cammuud.
Weedhsame iniziò a comporre poesie all’età di 16 anni. Nel 2001 vinse il primo premio in un concorso poetico organizzato dall’Accademia per la Pace e lo Sviluppo. A oggi, ha composto 67 poesie e 40 canzoni, tutte ampiamente trasmesse dai media somali.
Nel 2000, Weedhsame incontrò per la prima volta Maxamed Xaashi Dhamac “Gaarriye” e tra i due nacque subito un forte legame, tanto che Gaarriye assunse il ruolo di suo mentore e maestro. Gaarriye non solo incoraggiò la poesia di Weedhsame, ma per il giovane poeta quel rapporto si rivelò una preziosa iniziazione alle complesse metriche somale, infatti Gaarriye fu il primo ad analizzarne le strutture.
Oggi Weedhsame è titolare del corso di letteratura che un tempo veniva tenuto da Gaarriye all’Università di Hargeysa e lavora anche presso l’Ufficio Nazionale per gli Esami.
Questa intervista nasce da un dialogo tra il poeta, chi vi scrive e il professore Martin Orwin, professore di Lingua e Letteratura Somala presso l’Università Orientale di Napoli.
Come era la poesia in lingua somala nel passato?
Per capire la poesia somala antica bisogna immaginare un mondo in cui ogni attività veniva svolta con l’aiuto del suono ritmico della poesia. Chi viveva in questo universo poetico aveva orecchio per i suoi suoni della natura e dell’esistenza che rielaborava continuamente in poesia.
Tutte le attività quotidiane della vita dei nomadi stimolavano la creazione poetica. Dalla pastorizia, all’allevamento di cammelli, alla ricerca dell’acqua. Esisteva un genere poetico specifico per ogni attività, ciascuno con il proprio metro unico. Anche l’appartenenza al rispettivo clan era motivo di ispirazione. Si poteva essere spinti da una sola poesia ad andare in guerra, mentre un’altra poteva rovesciare la situazione e costringerli a fare la pace. La storia e gli eventi della vita venivano ricordati attraverso le voci dei poeti. Vi erano poi poesie a sfondo morale e educativo.
Come è mutata la poesia oggi?
Ciò che coinvolge ogni generazione di poeti è principalmente legato alle sfide della vita di tutti i giorni. A esempio, il tema della migrazione di massa non era presente nei poemi dei nostri antenati, semplicemente perché non esisteva. Tuttavia, per la mia generazione, la migrazione irregolare di massa è una tragedia che ci ha toccati profondamente. Abbiamo perso amici, compagni di classe e parenti a causa di essa, i morti in mare sono migliaia. Di conseguenza, la migrazione è un tema centrale per i poeti contemporanei.
La generazione precedente ha vissuto sotto il regime crudele e oppressivo di Siad Barre e un’opinione espressa poteva talvolta portare alla prigione, come è successo a Cabdi Aadan Xaad “Cabdi Qays” e Maxamed Ibraahin Warsame “Hadraawi”.
Altri furono assassinati per le loro critiche esplicite al regime. In risposta a quel sistema politico tirannico, emerse un nuovo tipo di poesia politica, scritta in forma allegorica e quindi interpretabile in modi diversi. I poeti somali contemporanei, invece, ovunque vivano, raramente scrivono questo tipo di poesia, poiché la maggior parte oggi può esprimersi liberamente, come nel mio caso in Somaliland. Di conseguenza, opinioni libere si trovano comunemente nelle nostre opere, in particolare nella poesia politica.
Vi sono altre differenze?
Con la modernità e con la crisi migratoria dovuta alla guerra tra gli anni ‘80 e ‘90, oggi per fortuna terminata in Somaliland, ma che purtroppo in parte persiste ancora in Somalia, paese sconvolto da istabilità e continui attentati, il linguaggio si è semplificato, perdendo complessità culturale. La scuola non riesce a sopperire a questa perdita. L’ho constatato personalmente, insegnando ad Hargeysa. La ricchezza culturale che avevamo, non è più la stessa di oggi. In parte è per l’abbandono dello stile di vita dei nomadi, per le migrazioni a seguito dei conflitti, ma è anche dovuto alla globalizzazione e alle mode esterofile.
Se si osservano le opere del passato, ciò che colpisce immediatamente è la loro ricchezza linguistica. Le generazioni precedenti avevano una padronanza impressionante della propria lingua madre, semplicemente perché avevano esperienza diretta della vita nomade, che è uno dei pilastri caratteristici della nostra poesia. Inoltre, acquisivano la cultura non scritta dalle generazioni più anziane, mentre molti di noi oggi sono cresciuti in “deserti culturali” come i campi profughi o le zone di conflitto, dove il tessuto sociale si è completamente disgregato. Di conseguenza, la trasmissione della cultura nel suo insieme, inclusa la letteratura orale, da una generazione all’altra è stata interrotta.
Cosa rimane della vecchia cultura?
Nonostante queste differenze, ancora molte cose ci accomunano ai poeti del passato. Anzitutto, in quanto poeti dello stesso popolo e con la stessa memoria collettiva, i poeti del passato rimangono una parte inalienabile della nostra cultura. Erano i nostri eroi, che cercavamo di imitare quando eravamo bambini. Sia le loro opere artistiche, sia il loro modo di essere poeti, hanno lasciato un segno indelebile.
Ha avuto come mentore Maxamed Xaashi Dhamac “Gaarriye”, mi parli di lui?
Mi ha insegnato soprattutto la dimensione filosofica della poesia somala. Per lui essere poeta non significava solo scrivere un poema ben strutturato, ma anche essere una voce impegnata per chi non ha voce e per i meno fortunati. Questi principi normativi guida sono l’elemento fondamentale che ci unisce ai nostri predecessori. Mi ha insegnato anche l’importanza nella poesia della moralità, la connessione tra l’uomo e la natura e la contraddittorietà dell’appartenenza ai clan, a una comunità, alla nazione e al mondo. Per fortuna tra le nuove generazione la percezione dell’appartenenza ad un clan si sta attenuando, ma in generale rimane molto forte nella società e questo può creare problemi.
Quale è per lei oggi il ruolo del poeta?
Come per la generazione precedente alla mia, la poesia non è solo un’attività di intrattenimento, ma uno strumento potente di advocacy. Il poeta è un difensore altruista del popolo e a volte conduce una battaglia per il suo benessere anche a costo della propria vita. Accende candele di speranza quando il popolo è nel baratro della disperazione, e le voci ribelli nelle nostre poesie sono il grido inascoltato della nostra gente mentre protesta e cerca di cambiare il panorama socio-politico. In questo senso, la poesia è qualcosa che non può essere separata dal popolo. Dal punto di vista filosofico mi piace interrogarmi sui legami, avvolte ambigui, tra individuo, clan, comunità e nazione. Tento di interrogarmi per superare le divisioni e cercare punti unificanti.
Come diffonde la sua poesia?
Oggi il mondo è globalizzato e connesso, tutto è cambiato, anche i modi di diffondere la poesia orale. Per esempio io uso prevalentemente Youtube e i social media per diffondere la mia poesia. Sono seguitissimo su Facebook, ho più di 300mila persone che mi seguono lì e sono da poco sbarcato su Tik Tok, perché senza non raggiungerei i più giovani. Non amo molto invece X, perché lì invece di scrivere in somalo, si tende a scrivere in inglese e per me è importantissimo non perdere la nostra lingua. Negli altri social per fortuna si usa prevalentemente il somalo. Anche se sempre di più purtroppo si inseriscono parole inglesi. Perfino nella vita reale, in città, vedo sempre più insegne in inglese, cosa che non amo per nulla.
Fa anche recite dal vivo?
Ogni tanto organizzo delle letture in alberghi, la gente le ama molto. Le sale sono sempre affollate, ho tenuto letture di fronte anche a 500 persone.
I giovani amano ancora la poesia?
Sì, assolutamente. Credo che sia parte del codice genetico di ogni somalo. L’influenza della poesia potrebbe essere forse meno centrale di prima, ma ne rimaniamo ossessionati, tanto che insieme alla musica, la poesia è stata al centro delle tematiche delle ultime elezioni politiche. Rimane un tratto fondamentale della nostra cultura.
Ci sono tematiche che condivide con la poesia del passato?
Condividiamo con la generazione precedente temi come la politica e l’amore. Nella poesia politica, esploriamo le stesse tematiche, sebbene in contesti diversi. L’identità della cultura somala, tra clan, comunità aspirazioni nazionali. Come in passato i poeti combattevano contro l’ingiustizia, il nepotismo, la corruzione, l’abuso di potere, il tribalismo, l’ineguaglianza, così anche noi, facciamo poesie sulle stesse tematiche. Non potremmo ignorare tutti i conflitti che hanno riguardato il Somaliland e la Somalia.
Sono nato in uno stato collassato e queste tematiche non possono non essere parte integrante della mia poesia. Per fortuna, al contrario che in Somalia, in Somaliland, nonostante conflitti a volte in alcune regioni, negli ultimi 25 anni non c’è stata guerra, ma ciò non toglie che non vi siano problemi. Per esempio in passato eravamo una società egualitaria, ma oggi, con la società contemporanea, non è più cosi. Inoltre, la nostra poesia politica ha aspirazioni più universali, non è confinata ai territori somali: indipendentemente da razza, religione o regione, attraversa tutti i confini dell’umanità.
Per quanto riguarda l’amore, siamo in perfetto accordo con la generazione precedente. Questa bellissima emozione, che unisce le lacrime della felicità e del dolore, è ampiamente trattata nelle nostre opere. Alcuni di noi scherzano dicendo: “Mostrami un poeta che non si innamora follemente un milione di volte.”
Sono però cambiati i modi si esprimere l’amore. Per esempio un uomo oggi può mostrare sentimenti che prima non avrebbe potuto perché lo avrebbero considerato debole. Oggi si può tranquillamente vedere un uomo piangere per una donna, cosa che prima era impensabile. Anche i matrimoni combinati, per fortuna stanno scomparendo. Un’altra differenza è che adesso anche molte donne scrivono poesie e spesso sono più brave degli uomini. Un tempo le donne creavano poesie solamente su determinate tematiche e in determinati momenti, oggi sono più libere di fare poesia senza tante restrizioni.
In altre culture, il dibattito tra i poeti che rispettano le antiche tradizioni metriche e quelli che invece rivoluzionano tutto e utilizzano i versi liberi è sempre molto acceso, quale è la situazione in Somaliland e Somalia?
Non usiamo i versi liberi, sarebbe del tutto impensabile. La struttura del nostro verso è il legame più forte che unisce le generazioni. I poeti somali sono sempre stati, e continuano a essere, fieri “schiavi” del metro e dell’allitterazione. Se non ci fosse perderemmo la musicalità. Questi due elementi decisivi sono ciò che distingue la poesia dalla prosa. Il verso somalo è allitterativo, con l’eccezione del jacbur, una forma, usata molto raramente, dai maestri poeti, in cui l’allitterazione è omessa deliberatamente, pur mantenendo una struttura metrica. La poesia somala ha un sistema metrico quantitativo, in cui i versi si basano su schemi di vocali lunghe e brevi e consonanti finali di sillaba. Dunque, il numero di vocali e la loro posizione all’interno del verso determinano il gusto e come l’orecchio lo percepisce. Anche quando si vuole aggiungere una melodia musicale, questo ha un’influenza. A differenza dell’allitterazione, l’omissione del metro è impensabile, perché è proprio il metro a definire la poesia.
Il gabay, che un tempo era il metro più comune, oggi è meno frequente, ma la sua posizione prestigiosa nella poesia somala resta indiscussa, e chi lo utilizza è lodato per la sua fedeltà alla tradizione.
C’è stato qualche cambiamento?
I cambiamenti ci sono stati, ma sono più sui temi che sulla struttura. Sia i miei contemporanei, che la generazione immediatamente precedente utilizzano soprattutto il metro jiifto. Per esempio, le celebri catene poetiche Deelley e Siinley, per quanto ne so, erano tutte basate sul metro jiifto, con l’eccezione di una poesia nella Siinley del compianto Xaaji Aadan Af-qallooc, che era basata sul masafo.
Anche se quasi tutti i metri diversi sono ereditati dalla tradizione, questa tendenza verso il jiifto, che ha preso slancio negli anni ’70, mostra chiaramente l’influenza dei nostri predecessori più prossimi.
Cosa sono le catene poetiche?
Nel febbraio 2017, ho scritto una poesia intitolata Mudduci (“Il querelante”), in cui accusavo il governo e i membri del parlamento di corruzione e cattiva gestione dei beni pubblici. Un altro poeta, Abdillahi Xasan Ganey, ha scritto una poesia intitolata Il testimone, che sosteneva il mio punto di vista.
Successivamente, il poeta Daaha Gaas scrisse una poesia intitolata L’imputato, in cui ci accusava di essere traditori. Un altro poeta, Sakriye Awaare, scrisse poi una poesia intitolata Il tribunale, nella quale giungeva a un verdetto che sosteneva il nostro punto di vista. Dopo queste quattro poesie, più di trenta poeti parteciparono a questa catena, in cui alcuni di noi accusavano il governo, mentre altri amici lo difendevano.
Tutte queste poesie erano allitterate con la lettera “m” ed erano composte nel metro jiifto. A differenza della catene in metro Deelley degli anni passati, sotto la dittatura, noi stavamo dibattendo in un ambiente democratico, in cui non temevamo per la nostra incolumità. Inoltre, un numero maggiore di poetesse partecipò rispetto alla Deelley, che vide la presenza di una sola donna, la compianta Saado Cali Warsame.
Ama molto le forme metriche tradizionali, mi aggiunge qualche dettaglio?
Esplorare i collegamenti tra i diversi tipi di metro è uno dei miei esercizi preferiti, e ringrazio i nostri antenati nomadi per aver creato questo mondo musicale. Da loro abbiamo ereditato decine di metri diversi. Sono riuscito a elencarne più di quaranta autoctoni, ma non conosco il numero esatto, perché, man mano che la vita va avanti, continuo a scoprire metri completamente nuovi. Giocare con il mosaico del nostro sistema metrico, indagare le relazioni tra i diversi schemi e risolvere le sue domande misteriose è un’impresa intellettuale, e io sono personalmente ossessionato dal creare nuovi metri a partire da quelli esistenti, aggiungendo determinate vocali alla fine dei versi. Questo modo di creare nuovi metri è una tendenza che sta prendendo piede oggi.
https://www.poetrytranslation.org/poet/xasan-daahir-weedhsame/
https://www.youtube.com/watch?v=9OrL01y0efg
https://www.youtube.com/watch?v=7SIL1ozVKDk


