Alle Officine Fotografiche di Roma
Fotografare un film
Una bella mostra ripropone il lavoro del fotografo Angelo Raffaele Turetta dentro e intorno al cinema. Con una doppia chiave interpretativa: per testimoniarlo o per riprodurlo
Accogliere l’imprevisto, riconoscerlo, soprattutto riconoscerne il potere evocativo o rivelatore d’altro; questa potrebbe essere individuata come la cifra stilistico-fotografica di Angelo Raffaele Turetta. L’elemento che compare nell’inquadratura, all’improvviso, non previsto e che altera le intenzioni del fotografo, ma che egli riconosce come un elemento di verità, di nuova verità, è un continuum ininterrotto nella produzione fotografica di Turetta, che ha esplorato, macchina al collo, sia le durezze delle periferie, come la decadenza de “l’alta società romana” , i riferimenti a George Grosz sono evocati dall’autore stesso, che ha anche dedicato ampia parte della sua attività professionale e artistica al mondo del cinema.
Voler distinguere, riferendoci alla sua attività fotografica legata al cinema, due ambiti separati, uno professionale e l’altro artistico, potrebbe apparire uno schematismo forzato, una semplificazione ingannatrice, ma è lo stesso Turetta, fotografo d’antan e modernissimo al tempo stesso, a confessare di usare, nelle stesse circostanze, qui è bene precisarlo che ci riferiamo all’ambito delle produzioni cinematografiche, sia macchine fotografiche digitali che fotocamere analogiche.
Le prime per il lavoro professionale, quello relativo alle foto di scena, che hanno la funzione di documentare il film, il cui risultato si può controllare immediatamente sul display della fotocamera e le seconde, quelle caricate a pellicola in bianco e nero, per la ricerca personale.
Allora vediamo come, in questa circostanza, un fattore tecnologico influenzi un elemento linguistico-espressivo; infatti la consultazione a posteriori delle fotografie a pellicola in B/N, attraverso l’analisi dei provini a contatto, fa sì che il fotografo, per scegliere l’immagine più significativa prenda in considerazione non solo con “i principi della buona fotografia”, ma si confronti con la propria memoria, col giudizio che a posteriori egli stesso ha dato all’evento. Così può accadere che tra i fattori che il fotografo riconosce come elementi di verità, di nuova verità, ci sia l’errore, cioè tutto ciò che esula dai canoni corretti della fotografia, ovvero una non giusta esposizione, uno sbilanciamento dei pesi nella composizione o più banalmente che si presenti un orizzonte inclinato.
Quello che interessa maggiormente a Turetta, secondo le sue stesse parole, «è cercare nello spazio qualcosa che sfugga dal frame», il pensiero lo riporta al dripping e all’action painting di Pollock, mentre, fotograficamente parlando, egli stesso dichiara di sentirsi più vicino alle trasgressioni di William Klein che ad Henri Cartier-Bresson «col quale comunque – ribadisce e sottolinea – ci devi fare i conti. È imprescindibile».
Turetta nasce ad Ancona nel 1955, dopo la laurea presso l’Università di Belle Arti di Roma, ha iniziato a fotografare il teatro d’avanguardia degli anni ’70 e ’80. Nel 1986 ha iniziato a collaborare con l’agenzia Contrasto, lavorando in particolare a ritratti di scrittori, musicisti e artisti. Ha inoltre affrontato argomenti sociali di rilevanza nazionale e internazionale, concentrandosi sui temi quali l’immigrazione, la prostituzione e, come già accennato, alle feste sul “generone” romano.
È approdato al cinema, quasi fortuitamente, visti anche gli impegni già consolidati con testate internazionali quali Stern e Time magazine, grazie all’invito e alle insistenze di Claudio Camarca. E sempre grazie al lavoro come fotografo di scena per il cinema ha ottenuto il primo premio del World Press Photo (Sezione Arte) ed è stato riconosciuto diverse volte al concorso Cliciak come miglior fotografo di scena.
Lo spazio espositivo di Officine Fotografiche di Roma ci dà la possibilità di godere dell’opera di Angelo Turetta legata al cinema dal titolo Cronache dalla finzione, (dal Lun. al Ven. – 10:00 13:00/ 15:30-19:00, Sabato 10:00 -12:00, in Via G. Libetta 1 – 00154 Roma, dal 17 Aprile al 10 Maggio) una mostra cura di Massimo Siragusa, in collaborazione con il Ragusa FotoFestival.
Quelle che scorrono davanti agli occhi sono fotografie scattate sui set o a latere di essi e riguardano i film di Crialese, di Marco Tullio Giordana e di altri registi, ma sono soprattutto immagini riprese dando, metaforicamente ed in certi casi anche praticamente, le spalle al set. In quelle inquadrature entrano microfoni e oggetti di servizio per le scenografie, perché Turetta racconta certamente la sua storia, ma anche quella che le sue stesse fotografie gli raccontano, come quella dell’immagine “sbagliata” perché accidentalmente sovresposta scattata con una Rolleiflex, in cui una donna vestita di bianco, in una posizione precaria sul bracciolo di una poltrona bianca in una stanza dalle bianche pareti, risulta irriconoscibile per il forte controluce. Turetta, secondo cui (non sempre ovviamente), è «l’errore che genera meraviglia», ha potuto riconoscersi in quella risposta che la pellicola gli ha narrato.
È evidente che il titolo della mostra Cronache dalla finzione si riferisca al cinema come finzione, ma per quanto accennato precedentemente in relazione all’approccio fotografico di Turetta e soprattutto riferendoci alle parole dello stesso possiamo affermare che «è l’interpretazione che può sabotare la realtà». La finzione ultima, in questa catena di finzioni, probabilmente è proprio la fotografia del nostro autore, è proprio il suo modo di vedere.
Ne è riprova il fatto che Marco Tullio Giordana osservando le immagini relative del suo film I cento passi, abbia detto approssimativamente così: «Turetta sta facendo il suo film, nel mio film».


