Sergio Buttiglieri
Al Teatro Ivo Chiesa di Genova

Resistenza e ricostruzione

La Resistenza, i partigiani, la Liberazione e la rinascita dell'Italia democratica: omaggio teatrale a un'identità sempre più calpestata. Con Laura Gnocchi e Gad Lerner, Davide Livermore e Giorgina Pi

Dopo i festeggiamenti del 25 aprile occorre una seria riflessione su che cosa sono stati questi 80 anni dopo la liberazione. Lo ha ben ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha visto in anteprima lo spettacolo teatrale andato in scena al Teatro Ivo Chiesa di Genova. D’oro Il Sesto senso Partigiano da un’idea di Laura Gnocchi e Gad Lerner. Mattarella a sala gremita ha ribadito: «È sempre tempo di Resistenza».

Prende a modello Genova (che si liberò da sola prima che intervenissero gli alleati) e la Liguria. E tra i partigiani che giustamente ricorda ci sono anche Luciano Bolis, esponente del Partito d’Azione che, torturato dalle Brigate Nere nel 1945, riposa a Ventotene accanto ad Altiero Spinelli. E Il pensiero di chi ascolta in platea corre alle recenti polemiche che hanno investito gli autori del Manifesto di Ventotene. Ma proprio da quelle battaglie, osserva Mattarella, «l’eguaglianza, l’affermazione dello Stato di diritto, la cooperazione. la stessa libertà e la stessa democrazia sono divenuti beni comuni dei popoli europei da tutelare da parte di tutti i contraenti del patto dell’Unione Europea». In tutte le epoche, ricorda il nostro Presidente della Repubblica, dopo aver citato un simbolo indelebile di Genova come quello di Guido Rossa, operaio e sindacalista ucciso dalle Brigate Rosse nel gennaio 1979: «La democrazia è messa in pericolo: nell’esperienza della Resistenza, ci sono i valori per preservare la libertà».

Tutto questo al cospetto di una marea di persone, molti giovani, protagonisti della rappresentazione teatrale genovese, immaginata e curata dal Direttore del Teatro Nazionale di Genova Davide Livermore e messa in scena con la regia, drammaturgia e video di Giorgina Pi, con le musiche di Valerio Vigliar e Cristiano De Fabritiis, ma soprattutto con la emozionante partecipazione in diretta, sparsi per la platea, degli allievi della Scuola di Recitazione del Teatro Nazionale di Genova che ci hanno declamato a memoria tutti gli articoli della Costituzione Italiana.

In scena i bravissimi Monica Demuru, Valentino Mannias, Francesco Patanè e Aurora Peres, con un coro composto dai giovanissimi Silvia Filza, Pietro Muzzini, Mouhamed Ndiaye, Khadiija Seye, che hanno risposto a una call pubblica in cui si chiedeva simbolicamente «Chi sono per te i nuovi e le nuove partigiane»? Le storie scelte per questo ideale passaggio di testimone, che man mano si sono dipanate perfettamente in questo riuscitissimo spettacolo, sono quelle di Mirella Alloiso, Mario Ghiglione, Aldo Tortorella, Gianna Radiconcini, Maria Candotto, Ivone Trebbi, Gustavo Ottolenghi, Luciana Romoli, Paolo Orlandini, alcuni presenti in sala con altrettanta emozione, che durante la Resistenza erano adolescenti o poco più.

Tutto ciò nasce basato sulle preziose testimonianze raccolte da Laura Gnocchi e Gad Lerner nel libro e nel portale Noi Partigiani. Una serie di commoventi video-interviste ai partigiani liguri ancora in vita che ci restituisce la luminosa memoria di donne e uomini che con una scelta di responsabilità collettiva hanno cambiato il corso della Storia.

Al termine dello spettacolo un bel dialogo fra Gad Lerner, Laura Gnocchi e Giorgina Pi, e lo storico del Novecento e della Resistenza Italiana Giovanni De Luna.

Questo è un lavoro, ci ricorda Gad Lerner, «che va avanti da circa 6 anni, ideato con Laura Gnocchi di Santa Margherita ligure, figlia e nipote di partigiani. che mi ha trascinato in questa impresa che sembrava un po’ assurda: dobbiamo poi intervistarli tutti. Quelli che ci sono ancora. poi c’è stato di mezzo il covid, tantissimi di loro ci hanno commosso. Se lei non mi avesse trascinato e non avesse concordato con sapienza il numero di volontari, che a oggi nell’ottantesimo anniversario, possiamo dire è arrivato a quota mille. Abbiamo mille video testimonianze che si possono andare a rivedere sul nostro sito». «Io, ci ricorda Laura Gnocchi, mi sono commossa infinite volte durante queste interviste. L’Anpi è stata la base per riuscire a realizzare questo immenso lavoro. Volevo rendere un omaggio a queste persone che erano giovani ma che hanno scelto per diversi motivi di diventare partigiani. anziché arruolarsi nella repubblica sociale. È inevitabile che io spenda una parola per le donne. Le donne naturalmente si dice genericamente che non contavano e non votavano. Era molto peggio che non votassero, tanto non votava nessuno. Era proprio una specie di legge razziale nei confronti delle donne. Nel senso che non potevano insegnare. Tanto pagavano di più per studiare. Studiare era una bizzarria che andava passata. Non potevano insegnare storia e filosofia nei licei perché erano più stupide evidentemente. Non potevano diventare presidi. Non si poteva assumere più del 10% di donne perché bisognava lasciare il posto agli uomini. Le donne però non erano inseguite dalla cartolina di arruolamento. Quindi molte di loro hanno per la prima volta capito che contavano qualcosa. E quindi sentivamo nelle interviste che spesso ci dicevano: io non ho fatto nulla! E poi naturalmente si scopriva che questo nulla era passare ai posti di blocco fascisti, nazisti. Mangiarsi i messaggi. ecc. Io questo lavoro lo dedico a tutti quanti i partigiani, e in particolare alle partigiane. È stata una cosa emozionante fatta da una regista donna, e lo dedico a tutte le donne che hanno scelto e voluto rischiare».

Giovanni De Luca ribadisce la sua emozione dopo aver assistito a questo strepitoso spettacolo proprio perché questa serata è tutta all’insegna della sobrietà. (e giù applausi calorosi dal folto pubblico). Davide Livemore, incalza ironicamente lo storico: «è stata di una sobrietà pazzesca». Non è mai andato sopra le righe. Sempre molto consapevole delle cose che diceva. «Quello che mi ha colpito nella scelta delle testimonianze fatte da Giorgina Pi, è la dimensione della lotta armata. Questo bisogna dircelo ragazzi, fare il partigiano voleva dire oltrepassare una linea e entrare in un territorio dove si andava per uccidere o per farsi uccidere. Questa è la lotta armata. E senza la lotta armata tutto questo non avrebbe avuto un significato. Sarebbe stata una testimonianza fine a sé stessa.  Prendere le armi è stato un atto di consapevolezza e di coscienza. Questo è quello che cerco di trasmettere oggi ai miei allievi. Quello di riappropriarsi della propria sovranità individuale. Mi ricordo quello che diceva il genovese Sergio Luzzato: ironizzava sulla pistolina di Primo Levi. Primo Levi con quella pistolina col calcio di madreperla si è sentito uomo. Se voi leggete Fenoglio, lui ripete continuamente: io sono andato a fare il partigiano perché mi sentivo potente più della terra, più del vento. Mi sentivo in grado di raddrizzare le gambe ai cani. Ecco questa dimensione della sovranità individuale recuperata con la scelta dell’8 settembre è quella che avete visto in queste scene di stasera grazie a Giorgina Pi e ai suoi bravissimi ragazzi».

La regista ci svela che lei ha vissuto l’emozione profondamente politica preparando questo progetto. «Dedicando ore, mesi, giorni con le persone meravigliose di questo teatro e dopo della mia compagnia che voglio ringraziare da qui all’eternità per il loro coraggio. Perché rendere la memoria viva è questo. È darle un corpo. È darle una voce, e darle la possibilità di tornare in mezzo ad altri corpi. E quindi di stimolare altre immaginazioni e speranze. In un momento in cui sembra che non si possa pensare di sovvertire l’esistente. Invece l’esistente si può sempre sovvertire da ora in poi. Per me è stato molto, molto importante partendo da queste storie meravigliose, poterle leggere da un altro punto di vista. Che era quello che non mi era mai capitato di conoscere. Che è quello strettamente biografico. E questo avveniva leggendo ma anche potendo vedere i volti in questo straordinario memoriale video. Ascoltare le voci, immaginare dunque che cosa quei corpi potevano essere da giovani. E per riuscire davvero, per tentare di avvicinarmi a quella straordinaria giovinezza ho sentito la necessità di incontrare delle persone giovani, di lavorare con delle persone giovani, che sono sul palco e che ringrazio profondamente. In qualche modo simbolicamente di creare un atto magico per dire: forse siamo circondati da persone giovani, che potrebbero rimettere in atto un cambiamento».

Gad Lerner infine ribadisce che prima «ha conosciuto davvero l’entusiasmo di Davide Livermore. Il modo in cui ci ha coinvolti in questo progetto. E poi ho conosciuto completamente che cos’è la potenza del teatro. Perché veramente ce l’ha fatto rivivere in un’altra dimensione. Ed è quella che diceva Giovanni De Luna. C’è una frase, una citazione del presidente Mattarella di questa mattina che temo che sui giornali passi inosservata. Ma che riguarda l’argomento cruciale e anche scabroso della lotta armata che ha toccato Giovanni De Luna nel suo intervento. Che è la citazione di un grande genovese. Giuseppe Mazzini. “Più che la servità temo la libertà recata in dono“. È la risposta a quelli che ci dicono che tanto la guerra la vincevano gli anglo americani comunque. E che quindi era marginale e non necessario l’apporto di un movimento partigiano in Italia. È stato citato il voto alle donne che è arrivato due mesi dopo la liberazione e poi c’è stato il passaggio dalla monarchia alla repubblica, poi c’è stata l’assemblea costituente, poi c’è stata questa carta fondamentale che il coro dei ragazzi ci ha recitato e commosso». Giovanni De Luna ricorda giustamente come «in tre anni l’Italia si è ricostruita dalle macerie della guerra, una cosa prodigiosa se si pensa che il terremoto del Belice arrivato nel ’68 e le case non ci sono ancora… In tre anni ricostruimmo il paese da zero, grazie proprio a questo soffio che la resistenza aveva soffiato nelle viscere profonde del nostro paese».

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