Every beat of my heart
Maria, la rinascita
«Il mio stesso bagliore abbagliava me stesso», dice l’Angelo dell’Annunciazione che, «di fronte alla pietra divelta per sempre», vorrebbe scorgere Maria e avvolgerla nella luce della «gloriosa epifania del risorto»… Ma la Madre è altrove, a rivivere le doglie della Resurrezione. Buona Pasqua con i versi di Roberto Mussapi
È lui che parla, la voce narrante, l’angelo che le aveva portato l’Annunciazione, e che in questa raccolta in versi parla di lei, di Maria. Presenza universale nell’arte figurativa, più rara in poesia. Nel tempo moderno Rilke è il riferimento, poi Maria diventa sempre più presente nella mia opera. Pubblicai Frammenti dall’esistenza di Maria nel 2012, in uno degli elegantissimi volumetti dell’editore Raffaelli. Avvenire presentò l’opera integralmente su “Agorà”, e al Festival di San Miniato divenne un monologo da me recitato e poi spesso ripreso. Poesie dal libro sono uscite qui, in questa rubrica, e oggi una di esse torna. Inserii la raccolta nel volume La piuma del Simogh, uscito nello Specchio Mondadori nel 2017, e la sua vicenda in teatro continua. Come Rilke ho scritto su e di Maria, come Rilke scrivo da tempo sugli angeli, e Wenders non è stato meno importante, per me, del grande poeta di lingua tedesca.
A differenza di Maria, celebrata principalmente nella pittura e scultura, gli angeli sono molto presenti in ogni arte, e particolarmente nel cinema, che è uno dei motori dei miei versi. Qui l’angelo sta narrando del sepolcro, della resurrezione, del radioso e lampante e perenne mistero meraviglioso di Maria.
Buona Pasqua, ne abbiamo davvero bisogno.
***
Il sepolcro
Io smossi la pietra, ero bianco,
e il mio stesso bagliore abbagliava me stesso
perso in quella luce nel non vederla,
lei, l’altra Maria, non Maria Maddalena,
la Maria senza altro nome, senza niente,
lei che mi avevano detto vista piangere
ai piedi della croce, lì, in un angolo,
raccogliendo le lacrime di madre nel calamo
che come allora stava sorgendo.
Lei, timida, che non aveva osato piangere
nella carneficina e nel tumulto
di chi gridava e flagellava, nel sangue sgorgante,
mite, confusa ai pochi che piangevano,
in un angolo, lontana da loro, condannata
a essere già certa e consapevole
mentre il suo cuore sgorgava lacrime
senza sgomento, senza ripulsa,
in muta accettazione del suo stesso pianto.
Lei già prima e già oltre,
felice come le era stato concesso dall’annuncio,
docile come le era stato scritto dagli astri,
ma sanguinante, dentro, dolcemente, come un agnello.
La mia luce apparve di un bianco insostenibile
solo agli astanti, alle povere donne,
fui io a gonfiarla di orgoglio angelico,
e di gloriosa epifania del risorto:
lui, l’invisibile, colui che era presente in quell’assenza,
il buco vuoto nella pietra per sempre.
Ma in me io ebbi pena nel non scorgerla,
che lei non fosse la prima a vedermi e ascoltare
le mie parole sonanti e incancellabili.
Sapevo che già sapeva, dall’origine,
che era oltre, là, nel suo silenzio,
ma ebbi pena che non fosse a ascoltarmi
e avvolta nel mio bagliore fosse presa
in quella visione che ebbero le altre donne.
Non c’era, lei, come non c’era stata
se non nell’attimo in cui lui crollava
agonizzante in un fiotto di sangue.
Ubiqua, la nostra la natura, non compresente:
non ero dove lei era e dove un altro,
un angelo più umile di me, più debole
stava asciugando le sue lacrime e chino
vedeva il suo sorriso compresente.
Avrei voluto essere al suo posto,
lasciare il mio splendore abbagliante
e il grido e la pietra divelta per sempre
per essere accanto a lei, capire il mistero
di quel sorriso e quel pianto che ancora
nutrivano me e tutti gli altri angeli
d’orgoglio per avere dato soccorso
all’uomo fatto fango e nato polvere
bruciante nell’ossessione di risorgere,
mentre lei, non so in quale angolo,
accanto a una madia, in una zona d’ombra
adagio, in silenzio, riviveva
le doglie in cui lo aveva fatto rinascere.
Roberto Mussapi
Da Frammenti dall’esistenza di Maria, Raffaelli editore


