Al Teatro Due di Parma
Il teatro e il dolore
Paola Donati porta in scena un testo di Margaret Edison dedicato ai rapporti tra una paziente e la sua cura: un testo che problematizza il ruolo della medicina come disciplina complessa
Wit, “Arguzia”, è uno spettacolo teatrale di rara intensità. Lo abbiamo visto al Teatro Due di Parma. La vicenda non è allegra ma coinvolge tutti noi perché ognuno di noi ha avuto un famigliare in ospedale per gravi problemi di salute.
Lei, Vivian Bearing, la protagonista, docente di letteratura inglese, si ritrova ricoverata in ospedale a New York per una serie di cure atte a combattere un cancro alle ovaie in stato avanzato. E il lavoro, curato da Paola Donati, si dipana raccontando il rapporto della protagonista con il team dei medici che la visitano e il rapporto più profondo con l’infermiera.
Noi diventiamo numeri, non più persone, ma statistiche e ogni volta che incrociamo il team ospedaliero incorriamo nelle loro canoniche frasi del “come sta oggi?”.
La cura chemioterapica avanza implacabile con l’elencazione dei dati sanitari che devono corrispondere alle statistiche immagazzinate negli anni dal primario e dal suo assistente. L’infermiera Susie è quella che ha un rapporto più diretto con la paziente e alla fine ribadisce con fermezza che ai medici la volontà della protagonista a non continuare ulteriormente la cura tramite la respirazione forzata e il ricovero nel reparto di rianimazione. Ultima fase della inguaribile malattia che il sistema sanitario vorrebbe monitorare ulteriormente anche senza la speranza che lei guarisca. Ma semplicemente per aggiungere ulteriori dati statistici al suo caso.
La determinazione della paziente risulta spiazzante per questo sistema ospedaliero. E pur scoprendo che lei era stata anche l’insegnante di uno dei medici che l’hanno ora in cura, non smette di essere lucida e determinata nel suo essere indipendente. Anche se inevitabilmente inizia a dubitare dei valori su cui basava la propria esistenza. “Io so tutto sulla vita e la morte”. Lei, interpretata egregiamente da Valentina Banci, che era una eminente studiosa dei Sonetti Sacri di John Donne. A un certo punto il suo dolore si riveste di ironia e indaga la sua lotta contro la malattia.
Questo testo di Margaret Edison, Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1999, ci ricorda la regista Paola Donati, «è un esemplare promemoria per tutti i medici e per tutti i pazienti, che problematizza il ruolo della medicina come disciplina complessa e il rapporto fra il calore dell’empatia umana con il rigore di dati scientifici e di fatti empirici».
Davvero di grande qualità tutto il team in scena, Cristina Cattellani, Laura Cleri, entrambi attrici storiche della Compagnia del Collettivo di Parma, e Davide Gagliardini, Salvo Pappalardo, Massimiliano Sbarsi.
Prodotto dalla Fondazione Teatro Due, da sempre prezioso fiore all’occhiello delle Stagioni teatrali parmensi.
Un testo che Paola Donati aveva letto tanti anni fa e che pensava inizialmente di poco appeal per il pubblico italiano. In realtà, ci ricorda la regista, «l’esperienza di Margaret Edson e con le la protagonista professoressa Vivian Bearing, ci invitano a fare è quella di condividere con lucidità e spietatezza, senza alcuna morbosità e sentimentalismo il dolore che accompagna la ricerca della consapevolezza di sé».
Vivian convoca il teatro, il gioco più serio e potente che gli esseri umani continuano a giocare, per trasmettere con la massima intensità e brevità la sua parabola esistenziale.
Le fotografie dello spettacolo sono di Andrea Morgillo.


