Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

La ladra di Marsiglia

Il nuovo film di Robert Guédiguian, "La gazza ladra", è ancora una volta un atto di fiducia nel genere umano. La storia di una donna che ruba per amore della musica

Ancora Marsiglia, ancora il quartiere popolare dell’Estaque. Ma stavolta non ci sono infermiere e operai che scendono in piazza, ci sono anziani un po’ svaniti assistiti da una badante estremamente efficiente e gentile: uno sta su una sedia a rotelle ed è segretamente innamorato di lei, un’altra ha un vecchio cane che ha paura dei temporali, e c’è una coppia avanti negli anni, lei persa nel ricordo di un ragazzo portato via dai tedeschi, il marito l’accompagna tutti i giorni nella pasticceria dove lei l’ha visto per l’ultima volta.

È una trama fragile come un vecchio merletto. Ma lo spettatore non si fa domande e volentieri entra subito nella pellicola, passeggia in quelle strade sconnesse che si arrampicano verso la collina e vaga in quelle case délabrées che guardano il mare, perché è un set che già conosce, anche le facce degli attori gli sono familiari, è sempre la stessa compagnia di giro che segue il regista da anni come si fa a teatro, raramente succede al cinema.

Avevamo lasciato Robert Guédiguian, settantenne regista e sceneggiatore marsigliese, alle prese con il crollo di due palazzine del vecchio centro portuale della sua città, il titolo del film aveva un tono apparentemente ironico: E la festa continua!, raccontava l’utopia per eccellenza, credere che la politica possa ancora realizzare un mondo migliore. Dopo due anni Guédiguian torna a raccontarci un’altra declinazione di quella utopia, ma stavolta ci presenta con grazia una storia costruita sulla comprensione e la gentilezza che ha sempre per protagonisti, per dirla con le sue parole, “gli oppressi, i poveri, i deboli”.

Si intitola La gazza ladra (“La pie voleuse”) e, come l’omonima opera rossiniana, è una pellicola in crescendo, inizia con “pianissimi”, cioè situazioni che sembrano un po’ banali, e a poco a poco sale di tono, rivela intrecci inattesi, esplode e si risolve per il meglio come ama sempre fare Guédiguian che crede ancora nella bontà della gente, lui crede che il compito degli artisti sia raccontare le vittime, qualcuno lo chiama l’ultimo “compagnon” del cinema francese.

A rappresentare le sue storie sono sempre gli stessi attori: la sua musa e consorte Ariane Ascaride, gli amici di una vita Gérard Meylan e Jacques Boudet e il suo alter ego Jean-Pierre Darroussin, formidabile attore di quasi tutti i suoi film e di molti altri (mi limito a citare Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismäki e l’indimenticabile serie tv Le Bureau des légendes in cui era il capo del controspionaggio francese). Regista e attore inseparabili anche perché nati a un giorno di distanza: il regista il 3 dicembre, l’attore il 4 dicembre 1953.

Fin dalla prima scena si scopre che il filo conduttore del film è la musica: c’è un furto in un negozio di strumenti, “La pie voleuse”, donde il titolo della pellicola ma anche ciò che contraddistingue la protagonista. Perché c’è una gazza ladra al centro della storia ed è la badante che si chiama Maria (Ariane Ascaride), lavora per tre famiglie e sistematicamente arrotonda lo stipendio facendo la cresta alla spesa, ma soprattutto utilizzando gli assegni in cui falsifica la firma dell’uomo per il quale lavora da anni: Robert Moreau, ovvero Darroussin, magnifico nella parte dell’anziano sulla sedia a rotelle che osserva col pudore dell’innamorato agé la donna che lo assiste.

Ben presto scopriamo che Maria ruba agli anziani per una ragione precisa: pagare il noleggio del pianoforte e le lezioni private al nipote Nicolas che frequenta il conservatorio e si prepara a un concorso. Il ragazzino condivide con la nonna la passione per la musica classica ed è anche molto dotato, ma quelle spese non potrebbero essere sostenute da sua figlia Jennifer cassiera in un supermercato e dal genero camionista Kevin.

Ed è l’acconto per il noleggio del pianoforte, effettuato con uno degli assegni contraffatti da Maria e che Robert ovviamente ignora, l’espediente narrativo che mette in moto la storia in cui si intrecciano, come fulminee pennellate di un quadro, i sentimenti che legano i personaggi, i loro sogni, le loro delusioni, la tenerezza di cui sono capaci nonostante le loro vite non siamo andate come speravano. È un mondo corale quello dipinto da Guédiguian: Maria che ama i suoi anziani, le ostriche, la musica classica e soprattutto il nipote; suo marito Bruno che ripara le vecchie motociclette e perde a carte; sua figlia che sogna un’altra vita, il figlio di Robert arrabbiato col padre perché ha lasciato sua madre. Merita sottolineare che il regista non si pone alcun dilemma morale raccontando i furti di Maria e neanche i tradimenti che incroceranno i destini di Robert e Maria.

Altro non dico di una storia che sembra destinata a un esito in linea coi tempi rabbiosi che stiamo vivendo e che invece riserva un finale pieno di grazia e gentilezza che commuove lo spettatore: Robert arranca sulla sua sedia a rotelle verso la gendarmérie per difendere Maria dalle accuse che la porterebbero in galera e per convincere il poliziotto che lui non è un anziano rimbambito e circuito dalla badante, recita a memoria i versi de Les pauvres gens di Victor Hugo. L’agente non capisce perché il derubato si dia tanta pena per salvare la ladra, ma Robert continua imperterrito a declamare con passione.

Ed è Guédiguian che parla attraverso Darroussin, declamando davanti a noi la sua incrollabile fiducia nel genere umano e la fedeltà a quei principi che ispirano da quarant’anni il suo cinema.

Facebooktwitterlinkedin