Daniela Matronola
A proposito di “A molti giorni da ieri”

Poesia e memoria

La nuova raccolta poetica di Elena Mearini affronta il grande tema del nostro rapporto con il tempo e con la memoria

«A molti giorni da ieri / mi chiami / – forse stai nell’infanzia / o poco più in là – / vorrei non sentorti / e invece ti ascolto / e assecondo / il patto violento / con il tempo».

Giusto al cuore della più recente raccolta poetica pubblicata da poco da Elena Mearini con l’editore Marco Saya (pagine 74, 12€) battono i versi che danno il titolo all’intero libro e insieme rendono chiaro il suo senso intero e denso. A molti giorni da ieri è un sintagma fortemente evocativo del rapporto di questa poesia con il tempo, e con la memoria: luogo dell’anima lastricato di ricordi e dettagli, luogo dotato di peso che la letteratura lascia riaffiorare dopo che, come è sano, il nostro super-io, svolgendo la sua funzione di archiviazione, in modo prezioso ci alleggerisce la mente e lo spirito, e lascia che tutto si muti in chimica biologica e nutra i sensi il sentimento gli affetti l’emozione l’intelligenza.

Dopotutto è su questa vasta piattaforma ad essere intessuta l’intera raccolta di Mearini, che sul piano della materia esplora, per rievocarlo, un passato di affetti familiari scelti che ormai sono tutti nel passato: in un passato non di per sé meccanicamente favoloso ma denso di legami e interazioni (le relazioni d’affetto) che fatalmente si sono sfilacciate. Se tutto fosse ridondante e automatico in questa rievocazione, piena di devozione e sgomento, allora saremmo nella pura e semplice nostalgia, mentre siamo certamente nel campo della coscienza, della consapevolezza e dell’apprezzamento – anche nel senso di valutazione, spassionata e per quanto possibile oggettiva benché applicata a un oggetto soggettivo (mi si passi l’impiccio di parole).

Sul piano poi dell’invenzione, dunque della formulazione, Mearini si muove secondo due direttrici: la traduzione e gli a-parte. Spiego. La formulazione del discorso poetico anzi del suo strumento elettivo, la parola (come è della poesia in quanto tale: bastevole a sé stessa), traspone di continuo il piano reale su un piano riformulato e rivelatorio in cui gli elementi lessicali e sintattici costruiscono immagini che per sintesi accendono la luce su altrettanti focus di una poesia a suo modo ellittica e aggiungono a questa messa a fuoco la vera rivoluzione della parola scritta: il rovesciamento, che apre nel lettore ripartenze e nuove piste. È il passo ermetico della poesia, il suo favoloso guizzare per immagini in una cavalcata in groppa alla parola, esercizio sfrenato nei poeti dell’ermetismo storico che fece gridare Francesco Flora, il critico formulatore del termine “ermetismo”, a una vera e propria incomprensibilità del testo poetico. Sappiamo che quello fu solo l’impatto perché a leggere meglio gli ermetici non solo capiamo ma “sentiamo” che il loro dettato scatta come una macchina perfetta, come le equazioni algebriche ma senza il pedante apparato delle dimostrazioni.

Tornando a Elena Mearini e al suo A molti giorni da ieri, l’altro lato dell’invenzione sono degli a-parte segnati dai trattini lunghi (hyphens): la voce è circoscritta a brevi interventi che assumono almeno quattro funzioni, sono intermittenze proustiane, o intercalari, veri e propri a-parte come insegna il teatro, oppure battute di controcanto.

Ciò accade in ogni passo del poemetto.

In ognuno di questi passaggi la voce fa un passo indietro o in avanti per dire la sua, per osservare non tanto allo scopo di dare sponda al lettore esterno (dopotutto potrebbe essere un escamotage per coinvolgere chi legge dentro la materia di questo accorato e disarmato poetare) ma soprattutto allo scopo di far affiorare in superficie il sentire più profondo e dolente e rassegnato della voce poetica.

Anche qui dopotutto siamo di fronte a una scomparsa e a una definitiva invisibilità, a un senso di fine analizzato nel suo perpetuo finire senza finire mai – come se poi lasciarsi le mani, dare un taglio agli abbracci, salutarsi e voltarsi ognuno per tornare a passo svelto ciascuno al proprio fato, fosse un moto fisico che si impone con la sua inesorabilità – allora più struggente è l’aggrapparsi che viene naturale e si dimostra anche del tutto inutile, però intanto permette di trattenersi ancora: quel trattenersi ancora un po’, meditando (ecco gli a-parte) che ciò sposta di poco e non cambia il fatto che di fine si tratti, è ciò in cui consiste questo poetare.

Il senso umano di tutto questo, paradossalmente, si coglie meglio in un paio di passaggi in cui il lavorìo di traduzione del reale in verità poetica riesce meno, poiché il linguaggio tradisce una stanchezza che affligge la voce poetica sempre in prima linea per il resto su questa trincea esistenziale oltre che letteraria. Il prodigio è anche che questo paio di spie fa a dovere il vero lavoro cui la letteratura prova a provvedere, e cioè come dicevo il sovvertimento dell’atteso, rovesciare il senso comune, capovolgere il dettato ordinario acceso di nuova luce. Sono due spie che confermano che anche qui Elena Mearini (che è anche romanziera, e a Milano dirige uno spazio, Piccola Accademia di Poesia, dedicato alla sola espressione poetica però in tutto il ventaglio delle risorse che la poesia riesce a sprigionare) si muove in bilico tra la poesia e un filo narrativo che affiora per tutta la raccolta – non solo o non tanto per gli elementi di tempo e memoria che costituiscono l’ordito di questa scrittura quanto per il tentativo strenuo di non lasciare andare anche se la notizia che è al cuore di questo libro è proprio che lasciar andare bisogna.

In questo senso, mi pare che con questa raccolta ci troviamo di fronte a una poesia che proseggia, cioè che poetando si china verso una inclinazione a proseggiare, tenda alla prosa quindi o ad essa occhieggi, piegando genuinamente il dettato a una versificazione che non smantelli la struttura sintattica ma tenda a spezzarla, a parcellizzarla in unità minime di senso, acquistando una qualità prosodica che contempera e integra prosa e poesia.


La fotografia accanto al titolo è di Tiziana Cavallo.

Facebooktwitterlinkedin