Every beat of my heart
E tu, morte, morrai
Sono i versi che chiudono il sonetto di John Donne. Versi in cui il poeta, da Eliot posto al centro della poesia metafisica, rivendica l’eternità della vita. Versi che hanno ispirato il leggendario «E la morte non avrà dominio» di Dylan Thomas. Anche per Donne, “visione” e “preghiera”…
John Donne, nato a Londra nel 1572, quindi poeta dell’età del dramma elisabettiano, è uno dei massimi di lingua inglese e non solo. Barocco nel senso pieno, cioè marlowiano e caravaggesco del termine, scrive sonetti e inni d’amore e sacri in cui le due dimensioni, erotica e religiosa, si fondono straordinariamente. È celebre, ma Thomas Eliot, rifondando la poesia, nel Novecento, lo pone al centro della poesia metafisica e del «correlativo oggettivo», «pensiero appercepibile dai sensi».
In questo sonetto famoso il poeta respinge l’onnipotenza della morte rivendicando l’eternità della vita: al suo splendido verso finale, «E tu, morte, morrai», si ispirerà quello leggendario con cui Dylan Thomas conclude Visione e preghiera: «And death shall have no dominion». «E la morte non avrà dominio».
Morte, non andar fiera anche se t’anno chiamata
possente e orrenda. Non lo sei.
Coloro che tu pensi rovesciare non muoiono,
povera morte, e non mi puoi uccidere.
Dal riposo e dal sonno, mere immagini
di te, vivo piacere, dunque da te maggiore,
si genera. E più presto se ne vanno con te
i migliori tra noi, pace alle loro ossa,
liberazione all’anima. Tu, schiava
della sorte, del caso, del re, dei disperati,
hai casa col veleno, la malattia, la guerra,
e il papavero e il filtro ci fan dormire anch’essi
meglio del tuo fendente. Perché dunque ti gonfi?
Un breve sonno e ci destiamo eterni.
Non vi sarà più morte. E tu, morte, morrai.
John Donne
Traduzione di Cristina Campo


