Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

Appuntamento a Oslo

Storie d'amore, di scoperte e di ritorni indietro improvvisi sullo sfondo dei fiordi di Oslo: è "Love", nuovo film di Dag Johan Haugerud. Un modo molto "leggero" di parlare di sentimenti

Policlinico universitario di Oslo, reparto di urologia. La dottoressa Marianne incontra i pazienti nel momento più delicato, quando deve comunicare la diagnosi di cancro alla prostata e ciò che li attende: l’intervento, la radioterapia e gli effetti collaterali spiacevoli sulla loro vita sessuale. Alcuni ammutoliscono, altri la travolgono di domande. Lei cerca le parole giuste per rispondere, ma le parole giuste non ci sono. Accanto a lei c’è l’infermiere Tor che ha una forte empatia con quegli uomini, lui conoscerebbe le parole per dire anche ciò che la dottoressa ignora: perché lei è una donna, lui è gay.

È un puzzle in cui si incastrano, in un’estate norvegese che dura solo tre settimane, incontri occasionali e appuntamenti organizzati, personaggi giunti a un bivio che sognano nuovi inizi e chi cerca di fare sesso con sconosciuti. E parole, molte parole che comunicano la fiducia nell’amore, qualunque sia la sua declinazione, e la speranza nel futuro nonostante le difficoltà della vita, una diagnosi scioccante o la solitudine che tutti abbiamo dentro.

Questo è in sintesi Love, il film che appartiene alla trilogia sulle relazioni del regista e sceneggiatore norvegese Dag Johan Haugerud, presentato in anteprima l’anno scorso a Venezia e ora nelle sale italiane. Il capitolo conclusivo della trilogia, Dreams, ha conquistato in febbraio l’Orso d’oro a Berlino, il primo capitolo Sex non è ancora arrivato in Italia. Ma confrontando le due pellicole già uscite nelle sale, non ci sono dubbi: Love ha una leggerezza luminosa e commovente che Dreams non ha.

Scandito dal succedersi dei giorni nell’arco di tre settimane, Love racconta gli incontri che legano tra loro i personaggi del film e ruotano intorno ai due protagonisti, entrambi single e alla ricerca dell’amore: l’urologa Marianne che non vuole sposarsi né avere figli e cerca una relazione stabile senza per questo rinunciare al sesso occasionale con gli uomini; e l’infermiere Tor che lavora con lei nello stesso reparto e ama viaggiare la notte sul traghetto che attraversa il fiordo di Oslo collegandone i sobborghi, alla ricerca di incontri occasionali con uomini sconosciuti. Sarà nel corso di una notte, incontrandosi per caso sulla stessa nave, che la donna e il giovane uomo scopriranno quanto hanno in comune: lo stesso amore e la stessa cura per la “parte bassa” del corpo maschile, il territorio delle contraddizioni e dei divieti, del piacere e del disgusto. Interrogandosi sul significato della parola amore e sulle sue diverse implicazioni e confidandosi ciò che cercano negli incontri casuali favoriti dalle app Tinder e Grindr, la dottoressa e l’infermiere cessano di essere colleghi per diventare complici della stessa visione fluida delle relazioni che vanno oltre le regole della coppia e della famiglia tradizionale.

Ma non tutti la pensano così. Heidi, l’amica di Marianne che lavora nel municipio di Oslo ed è impegnata nelle celebrazioni per il centenario della città, combina l’incontro con un geologo divorziato con due figlie che subito si innamora dell’urologa e la vorrebbe sposare. Nel frattempo Tor conosce sul traghetto uno psicanalista che diventa paziente di Marianne e che dopo l’operazione viene assistito da lui con una dedizione assoluta, perché “la vita è troppo breve per non essere gentili”. I due single cederanno alla tentazione della coppia?

È stato spesso evocato Éric Rohmer per raccontare il cinema di Dag Johan Haugerud, scrittore e regista praticamente sconosciuto fino a un anno fa, quando la trilogia sulle relazioni lo ha portato sotto i riflettori di Venezia e di Berlino. I dialoghi molto argomentati che costituiscono la struttura portante dei suoi film evocano certamente il grande regista francese protagonista della Nouvelle Vague. Ma c’è anche un’essenzialità e un pudore della sceneggiatura e quella quiete nordica che caratterizza le atmosfere, gli interni, la luce, gli sguardi, ma pure i letti e i piumini e le stufe e i pavimenti di legno dove nessuno cammina con le scarpe. Insomma c’è a questo punto una cifra che gli appartiene.

Il regista norvegese sembra perdersi inseguendo le parole che lui stesso ha scritto per i suoi attori che dialogano e vagano, apparentemente senza una meta precisa, lasciandosi trasportare dal traghetto che scivola nella notte tra le luci di Oslo. In realtà le storie che si incrociano in Love, meglio che nel premiato Dreams, hanno una struttura coerente e attraverso punti di vista diversi, che mettono in discussione le nostre convinzioni su ciò che è giusto o non è giusto fare in amore, approdano alla fine al porto sicuro dell’unica certezza possibile: vivere ogni giorno con quella fiducia che ci fa credere nell’esistenza di un passaggio anche nell’ostacolo più difficile.

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