Sante Lancerio
La testa a tavola

Cercasi tradizione (culinaria)

Artusi non parla né di amatriciana né di gricia, ma già i romani mangiavano il foie gras (prima ancora che nascesse la Francia...). Storie di tradizioni culinarie inesistenti

L’altro giorno sono incappato in un articolo che riprendeva un tema affrontato in un saggio edito da Mondadori dal titolo: La cucina italiana non esiste. Sottotitolo: “Bugie e falsi miti sui prodotti e i piatti cosiddetti tipici”, scritto da Alberto Grandi, storico dell’alimentazione e professore di storia economica all’Università di Parma e da Daniele Soffiati, suo sodale nel celeberrimo podcast DOI – Denominazione di Origine Inventata (come descritto nel sito dell’IBS Ndr).

L’articolo spiegava, come da noi già fato in questa rubrica, che la carbonara è frutto di una necessità nata alla fine della seconda guerra mondiale, che l’abitudine di usare la passata di pomodoro per condire la pizza è nata negli States dagli immigrati italiani, perché nel nostro paese si usava il pomodoro fresco. Quello che mi ha più colpito dell’articolo sono state le reazioni che queste pubblicazioni provocano nei cosiddetti tradizionalisti, quelli che la carbonara si è fatta sempre così, e il guanciale e non la pancetta. Tradizionalisti che non hanno alcuna conoscenza dell’evoluzione storica, sociale, di costume e usi delle popolazioni nel corso degli anni.

Se soltanto facciamo un passo indietro, diciamo poco più di un secolo, e andiamo a leggere la prima edizione del Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, uscito in prima edizione nel 1891 con ben 476 ricette, non contempla, non solo la carbonara, ma neanche l’amatriciana, né la gricia. C’è il risotto alla milanese. Eppure stiamo parlando di bisnonni, non dell’antichità.

Perché se guardiamo ancora più indietro scopriamo che il mondo della alimentazione italiana e europea ha avuto un forte cambiamento dopo la scoperta dell’America. Noi siamo il paese del pomodoro, ci facciamo l’arrabbiata, il ragù bolognese, la pizza, l’amatriciana, appunto, ma questo frutto nel nostro paese non era conosciuto prima che fosse stato importato dalle Americhe. Come le patate peraltro. Il caffè, il cioccolato, alimenti di cui siamo orgogliosi. Ma non per la tradizione, ma per la capacità di averli saputi trasformare e rendere “Made in Italy”. Da questo punto di vista è estremamente interessante il saggio/ricettario storico A tavola nel medioevo realizzato da Odile Redon, Françoise Sabban e Silvano Serventi che ci portano a conoscere come e cosa si mangiava nel medioevo, in Italia e in Francia, prima appunto che il pomodoro condizionasse la nostra e la patata quella d’oltralpe.

E che dire degli spaghetti che leggenda vuole furono portati a conoscenza della popolazione italica da Marco Polo. Leggenda che non ha nulla a che fare con la realtà. Già i greci e i romani impastavano la farina e facevano uso di pasta fresca. Nel medioevo si impastava col formaggio prima di metterla a cuocere nell’acqua calda e poi negli anni vi è lo sviluppo del condimento. Ma la pasta secca è messa a punto dagli Arabi, come ci spiega l’Accademia dei Georgofili, che la portano in Sicilia, dove nel 1154 il geografo Muhammad al-Idrisi (1099 circa – 1165) scrive che nell’abitato di Trabia tra Termini e Palermo si produce pasta che è esportata in tutto il Mediterraneo. Nel 1279 la pasta secca è presente a Genova dove un notaio, nel compilare l’inventario dei beni lasciati da un milite di nome Ponzio Bastone, annota “Una barisella plena de maccaroni”. È la prima volta che compare questa parola, sedici anni prima che Marco Polo faccia ritorno dalla Cina (1295).

E visto che abbiamo citato i romani, possiamo andarci a deliziare sul cibo dei nostri antenati con il bel lavoro di Claudia Cerchia Manodori Sagredo e Laura Di Renzo, la prima archeologa e storica dell’arte romana, la seconda Professore associato di scienze e tecniche dietetiche applicate all’università di Tor Vergata a Roma. E in questo loro lavoro, Quanto erano nutrienti i banchetti dei romani antichi? Edizione «L’Erna» di Bretschneider, scopriamo che il foie gras era sulle tavole dei romani ben prima che su quelle dei francesi: «Particolarmente apprezzato era il fegato delle oche ingrassate», almeno quanto la polpa di Murena «presa ancora gravida», spiega il ricco Nasidieno ai suoi ospiti, «perché una volta deposte le uova la sua carne sarebbe stata meno buona».


L’immagine della rubrica è di Roberto Cavallini.

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