A proposito di "Rinascita"
La poesia in bicicletta
In nuovo libro di Claudio Damiani è un prosimetro che, mescolando versi e prose, crea un vademecum letterario per cambiare. Scoprendo sempre nuove avventure
Il recente Rinascita di Claudio Damiani è certamente un prosimetro, combinatoria di prosa e versi il cui antecedente lontano e illustre è di certo, in assoluto, La Vita Nova di Dante Alighieri, che, come esemplare fondativo prescrive, dispone le prose, illustrative rispetto alle parti in versi, in funzione quasi teoretica, e certamente speculativa.
Claudio Damiani, poeta da sempre pubblicato dall’editore romano Fazi, ha dichiarato apertamente di non sentirsi mai a proprio agio nella prosa. C’è da credergli, però qui c’è da ricredersi se si nota che questo libro è perlopiù costituito da prose appunto, brevi narrazioni che, pur lambendo quel genere ibrido e a suo modo unico che è la prosa poetica, qui hanno soprattutto due funzioni: reimmergere il poeta nella prima infanzia, nei suoi primi cinque anni di vita in Puglia a San Giovanni Rotondo in una delle molte sedi di trasferimento di suo padre direttore di miniera, nel caso di specie di una miniera di bauxite; e, rievocando quel periodo, splendente e confuso, ragionare sul ricordo e sulla memoria, su un criterio, spesso, di compilazione occasionale degli oggetti del ricordo, in base a una selezione, capricciosa forse, spesso casuale, per giunta momentanea, e transitoria, quanto a cosa ricordare e cosa scartare, e a cosa andar dietro o a cosa no.
Un posto d’onore è riservato alla bicicletta, sorta di destriero dell’infante Claudio, che, come un cowboy al galoppo in lungo e in largo per sterminate praterie, conquista il territorio pedalando di qua e di là, sempre all’inseguimento di nuove avventure, e dedito all’esplorazione di sempre nuovi spazi. L’intrepido Claudio cinquenne ama il rischio come, in Gomorra, il giovane reporter Roberto Saviano che andava a origliare le trame dei boss di Casal di Principe in sella alla Vespa. Viene naturale pensare anche a un Don Chisciotte in erba, con questo Claudio divìn cinquenne, che non risparmia chilometri al suo ronzinante meccanico pur di non perdersi neanche una delle sue (dis)avventure popolate di allucinazioni e fantasmi.
Tenero e dolente è il posto riservato alle piante e agli animali.
Immensa pena, o pietà commossa ancor più nel ricordo (col rimorso di non aver avuto, a suo tempo, la minima consapevolezza della triste sorte delle creature ora rispuntate alla memoria) è dedicata alle galline che forse sforavano in giardino, e al giardino stesso che nel sopralluogo fatto oggi è trasformato in un campo arato, alla cana femmina Tamara che lo fissava con sguardo da cane e suscita il ricordo di pagine di Raffaele La Capria e di Curzio Malaparte, i verdoni abbattuti a cilpi di fionda, e i cavalli, ora solo fantasmi e corpi inutili nelle stalle dismesse da cui ancora sembrano provenire suoni sinistri e puzzo di letame, quasi che siano tuttora lì, lasciati a languire: i cavalli, sfruttati nella miniera, nelle profondità della terra, metri e metri sotto, tenuti in condizioni terribili pur essendo animali da lavoro, come minimo da mantenere perché utili, dunque, e poi, sostituiti da mezzi meccanici, abbandonati a sé stessi.
Si affaccia Lemuel Gulliver: l’insensibilità di ClaudioD a cinque anni verso l’aria lucente e i sassi lungo le strade, e verso la natura da cui pure era circondato e attratto, non solo è motivo di grande rammarico, ora, ma, di più, è la spinta verso l’assurda speranza di rinascere per rimediare, per rivivere tutto con un’altra compassione, col senno di oggi, nel desiderio di non lasciare più niente e nessuno indietro.
Si diceva di Gulliver: leggendo questo Rinascita si ripensa all’ultimo libro dell’utopia distopica di Swift – Lemuel Gulliver si vergogna di appartenere alla genia degli Yahoo, umani in stato di degrado, e trasloca nelle stalle sperando di diventare un cavallo, di poter appartenere alla loro schiatta, nobile e dignitosa, mite e regale benché ottusamente maltrattata dagli umani.
L’eroe controverso e a suo modo pieno di grazia di questo film rievocativo, il ClaudioD cinquenne in sella alla sua bici, per il resto della vita non ha fatto che guarire aalla sua insensibilità di quando era pusillo, forse spinto dal senso di colpa, certamente straziato e anche protetto dalla cattiva memoria, che è tale non solo perché lascia riaffiorare tutto il male fatto con crudeltà innocente ma anche perché, quasi a volerlo cancellare, porta ricordi confusi, incompleti: il super–io che regola la funzione della memorizzazione pare aver velato ciò che è troppo forte, lasciando affiorare le colpe grandi a intermittenza.
Riprendendo le parole pronunciate dallo stesso autore nel primo incontro pubblico sul libro, chi è in fondo questo ClaudioD piccolino, crudele e cieco, ottuso e implacabile, che solo dopo ha compreso la colpa di non aver saputo dosare la propria inesorabilità? Una specie di Grendel spietato per natura?
È un punto importante, questo. Perché, come direbbe Di Consoli, l’autobiografia non è il centro della questione. Anzi autobiografia proprio non si dà, visto che l’autoanalisi è solo strumento di ricostruzione e ricapitolazione per un’apertura a una dimensione più ampia, che includa tutto l’umano; e neppure si dà autobiografismo, che sarebbe poi addirittura distorsione della stessa esperienza autobiografica.
Qui abbiamo un archetipo: lo sostiene lo stesso Claudio Damiani anche per comprendere in prima persona e sulla propria pelle la funzione di questa rinascita almeno letteraria, dunque credibile, attendibile, vera, o coem preciserebbe qui Sonia Gentili, poeta e filosofa, veritativa. L’archetipo è, risalendo per il fanciullino pascoliano, il piccolo, saettante, ingovernabile Eros, bimbo impertinente e innocente nella sua crudeltà di fatto, dio prepotente, autore di innocenti cattiverie, perché è proprio più forte di lui dominare divertendosi, incurante delle conseguenze: ora ClaudioD non farebbe male a una mosca, ma allora, a cinque anni, in sella alla sua bici, era un dio potente e capriccioso.
Come sono strutturate queste prose poetiche, che sono la coscienza oramai dominante rispetto alle pagine in versi (in questo volume, spesso, riproposizioni di testi già pubblicati dentro raccolte già apparse)? Come “funzionano”?
Si aprono a partire da un dettaglio o da una postura, e si squadernano argomentando. Ecco dunque che il dettaglio, la postura, la relazione che li lega o li aggancia ad altri particolari, a volte lievi e svagati, altre volte scabrosi o imbarazzanti, sono posti e indagati come tormenti mai sopiti: si tratta di rovelli richiamati all’ appello e messi in fila uno dopo l’altro, anzi uno tira l’altro, uno attorcigliato all’altro, in un abbraccio fatale che non si scioglie finché l’inquietudine di cui sono mezzi e oggetti non si risolva o alleggerisca per magia. È un escamotage salvifico, oltre che chiara dimostrazione di una fisiologia della memoria, consistente in una funzione digestiva utile a non addensare soltanto in cumuli enormi e statici i ricordi di tutto ciò che facciamo (se questo non accade si delinea una patologia che ha una sua diagnosi precisa) ma via via sfoltisce, e riaggrega anche – anche per questo spesso la memoria non è poi così affidabile come noi ci ostiniamo a credere, e anzi a volte con imbronciata serietà giuriamo.
Il fatto poi che quasi tutte le pagine in versi inserite con criterio nella sequenza delle prose poetiche, in ogni caso in misura molto inferiore, provengano perlopiù da raccolte già edite fa sì che si stabilisca una sorta di alternanza di chiari (le poesie) e scuri (le prose poetiche), con un deciso capovolgimento stavolta: le prose balzano in primo piano cioè portano sotto una lente grande i retroscena biografici, mentre le pagine in versi scivolano sullo sfondo però traguardano. La risultante è una cartografia inversa, la cronaca spassionata di un’infanzia: del poeta, dell’umanità e del mondo – si riattiva la traccia che ricongiunge questo racconto evocativo ad Aristotele e alla Poetica, e a Omero coi suoi cicli eroici, entrambi, ci dice Damiani, fautori del profilo basso, e della cronaca dei fatti accurata, lenta e puntuale, “seguìta passo passo”.
Rinascere allora è rivivere, con la stessa strana torsione per cui il chiudere di Pasolini (chiudere tutte le scuole, tuonava) voleva dire in realtà cambiare: dunque, un cambio di marcia, un capovolgimento della prospettiva in cui reinquadrare il mondo la vita gli altri, e questo è dopotutto indice di grande mitezza. E l’archetipo, Eros dio potente e squilibrato, può manifestare il sintomo o la certificazione della regressione infantile che oggi colpisce l’umanità cosiddetta evoluta: cieca egoista avara spietata, docile e agile a seguire a naso il desiderio incosciente, la libido del consumo, istinti voraci e rapaci peraltro naturali. Idealmente gli anni Sessanta del racconto si saldano a questi anni Venti del Terzo Millennio: sul filo della pur funzionale memoria, certo, ma anche in affannosa segnalazione dell’urgenza del recupero di un minimo di Coscienza.
La fotografia accanto al titolo è di Tiziana Cavallo.


