Every beat of my heart
Marianne Ofelia
Una poesia del 2007, dedicata da Roberto Mussapi a Marianne Faithfull, scomparsa nei giorni scorsi. Una frase – «Io sono stata Ofelia» – e a colei che muore per abbandono si assimila lei, che dopo la caduta ritorna, con la sua voce «dolorosamente roca»
Marianne Faithfull, una bella ragazza inglese di famiglia altolocata, esordì come attrice in teatro, a Londra, fu Ofelia, la tragica Ofelia in un un Amleto famoso, Hamlet, di Tony Richardson. Poi conobbe Mike Jagger, di cui divenne la donna, in un periodo di grande caos esistenziale, riguardante i Rolling Stones, in esplosiva ascesa, e con un tenore di vita notoriamente trasgressivo. Da quel mondo di confusione, alcool in eccesso, droghe, la giovane Marianne, che esordì cantando As tears go by, di Jagger, con una voce da giovincella, uscì presto distrutta. Anni anni di cure, ricoveri, per uscire da un tunnel disperato. Quando ne uscì, alla fine degli anni Novanta, era una cantante diversa, matura, straziante, una voce dolorosamente roca che accostavo a Nick Cave o Lou Reed. Una voce straordinaria, addolorata e toccante. In occasione del suo ritorno alla musica, pare avesse dichiarato, in una conferenza stampa: «Io sono stata Ofelia». Immagino sottintendendo il seguito: Ofelia è il più tragico dei personaggi dell’Amleto, muore per abbandono, disperatamente sola, si lascia affogare lentamente nella pozza del castello. Io ho pensato intendesse dire: «Sono stata Ofelia ma non sono affogata, sono riemersa, sono viva».
Da questa mia intuizione, o speranza, nasce questa poesia, che le dedico ancora oggi, come allora.
a Marianne Faithfull
Poi furono sillabe quelle che erano state parole
e versi che mi straziavano la gola,
pezzi, grumi di vocesangue
di ogni immagine che un tempo era stata,
ora persa nel fondo sotto la sabbia vetrata.
E introvabile come chi è muto
di colpo e con la voce il suo sguardo è perduto
per un dolore che puoi solo intuire
in quella cornea all’improvviso vuota,
o come di colpo ai centosessanta in galleria
col piede in ipnosi sull’acceleratore
e io, io lingua franta, io affogata.
Ho recitato Ofelia, conosco la pazzia,
e so che ti colpisce per eccesso d’amore,
quando i tuoi occhi non reggono una sedia
se vedi nella tua paglia le trame d’oro,
e l’aura di quello scranno e la sua luce,
e i beati che si posarono in inconscia preghiera,
se tremi per una persona che si siede
e si avvicina al centro del fango e dei grandi fiumi,
e so che cosa significa eccesso d’amore,
quando colui che ami dilegua e tace,
o non riesce a risponderti, e tu muori,
per estinzione, disidratata in pietra.
Io sono affogata nello stagno e risalita
tra foglie cadute in morte e semprevive
dal fondo melmoso risalenti alla luce,
dal fondo ho ritrovato genesi e amore,
ora che torna mia, in me, la mia voce,
niente da chiedere, risalire adagio
come la linfa dal calamo al fiore
dopo che fu strozzata dall’inverno e dal gelo
tra foglie marcite, e il rito umorale
ascende ai campi e all’oro dei covoni
tra casa e casa, tra le luci e le strade.
Conosco la pazzia e sono affogata,
e adesso so che era soltanto amore.
Roberto Mussapi
Da La stoffa dell’ombra e delle cose, Mondadori, 2007, poi in Le Poesie, Ponte alle Grazie, 2014


