Al Teatro Municipale di Piacenza
La favola di Händel
Torna in scena “Giulio Cesare" di Händel con la direzione di Ottavio Dantone e la regia di Chiara Muti. Un'opera che gioca con la storia e con i sentimenti
La stagione lirica del Teatro Municipale di Piacenza ha appena messo in scena, grazie alla lodevole direzione artistica di Cristina Ferrari, il piacevolissimo Giulio Cesare di Händel che il folto pubblico dei melomani piacentini, pur non avendo a che fare con i più consueti e famigliari Verdi o Puccini, ha comunque decisamente apprezzato. Questo dramma musicale del 1724 è una delle opere liriche più amate del XVIII secolo. Debuttò per la prima volta a Londra al King’s Theatre. Il testo è tratto dal Giulio Cesare in Egitto di Giacomo Francesco Bussani da cui ricavò il libretto Nicola Francesco Haym.
La preziosità di questa opera di Händel è che a Piacenza l’abbiamo potuta ascoltare con la direzione musicale del grande Ottavio Dantone, al clavicembalo e che da tanti anni è a capo della prestigiosa Accademia Bizantina. In più la perfetta regia di Chiara Muti – che ha coordinato le scene con Alessandro Camera, ben illuminate da Vincent Longuemare, e con gli accurati costumi di Tommaso Lagattolla – ci ha immerso in un’atmosfera densa di riferimenti culturali a cominciare dall’ambientazione particolarissima con una serie di sculture frammentate, continuamente in movimento, che tanto ci ricordavano le famose sculture dense di inimitabili memorie classiche di Igor Mitoraj.
Ed eccoci proiettati nel racconto di origine shakespeariana musicato da George Friedrich Händel, coevo di Bach, entrambi sassoni, ma in completa consistente e palese contraddizione della storia musicale di quel periodo. Questi due sommi autori della musica europea hanno un gusto totalmente diverso, un diverso linguaggio, una differente estetica, diversi condizionamenti sociali e culturali, pur avendo analoga collocazione geografica e l’identica fede religiosa, essenziale per i due musicisti. A differenza di Bach, Händel si trovò a operare in un clima estremamente aperto alla circolarità delle idee. Mentre Bach operò nelle anguste corti provinciali, le chiese e il servizio liturgico e le scuole dove Bach espresse al meglio la musica “didattica” e speculativa. Formando importanti schiere di allievi. Mentre Händel operava nei teatri, nelle regge, nei palazzi principeschi e nelle accademie ma non nel duro esercizio dell’insegnamento, e sopravvisse a sé stesso e lasciò impronte profonde dopo la morte. E questo Giulio Cesare ne è un lampante esempio.
Alle sperimentazioni del grande inattuale Bach, si oppongono le romanzesche avventure di Händel che seppe scendere a patti e a compromessi col pubblico, conservando la dignità propria del genio. Riuscendo nell’arduo compito di musicare il mito dell’uomo che, più di tutti, rese leggendaria Roma.
Questo pregevole divertentissimo, quanto complesso, Giulio Cesare, non a caso coprodotto dal teatro Alighieri di Ravenna, dal teatro Pavarotti-Freni di Modena, dal teatro Romolo Valli di Reggio Emilia, dal teatro del Giglio di Lucca, dalla Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, oltre che dal teatro Municipale di Piacenza, è un imponente galleria di ritratti. Il protagonista è affidato a voce di controtenore (l’apprezzatissimo Raffaele Pe), perfettamente adatto per sottolineare l’interiorità del personaggio, portato in braccio dalla fortuna, sensibile e insieme astuto, prontissimo e con una traccia di isteria da divismi, secondata nella prima aria da un movimento di danza solenne e gagliardo.
La giovane soprano svizzero Marie Lys ben sostiene la parte di Cleopatra, sorella di Tolomeo, che con tutte le sue fascinazioni, spacciandosi inizialmente per la schiava Lidia, non fa fatica ad affascinare noi spettatori e il nostro condottiero romano giunto in Egitto nel 48/47 a.C. in cerca di Pompeo ma che scoprirà già morto per mano del sovrano d’Egitto Tolomeo, interpretato con giusta ironia, dal controtenore Filippo Mineccia.
Tutti gli altri personaggi in scena (Achilla Davide/ Giangregorio, Cornelia/ Delphine Galou, Sesto/ Federico Fiorio, Nireno/ Andrea Gavagnin e Curio/ Clemente Antonio Daliotti) si sono dimostrati complessivamente di buon livello e hanno reso particolarmente piacevole questa storia ricca di capovolgimenti per poi giungere infine all’unione regale di Cesare e Cleopatra.
Händel, ci ricorda giustamente la regista Chiara Muti, “è poeta! toccante e trascinante, commovente ed elettrizzante! Grazie all’intensità delle sue linee vocali e al dinamismo cromatico orchestrale, perfettamente gestito dal direttore Ottavio Dantone, riscatta la staticità dell’azione e arricchisce di senso i caratteri. Scavando nella materia umana e svelandone la complessità di contrasti, ci offre momenti di tale tensione emotiva da farci dire che raggiunse, con la musica, le vette che Shakespeare toccò con la parola. La regia, avvalorata dalla melodia, si piega dunque alla dimensione simbolica-evocativa!” E noi spettatori dobbiamo ammettere che Chiara Muti ci è perfettamente riuscita e l’abbiamo sommersa di prolungati applausi finali assieme a tutta la compagnia.
Le fotografie dello spettacolo sono di Zani-Casadio.


