Sante Lancerio
La testa a tavola

Chiamatelo prosecco

Storia (e polemiche) del prosecco, uno dei vini più conosciuti e più venduti al mondo. Proprio per questo, tra i più imitati. Soprattutto in Australia...

Ha fatto registrare 660 milioni di bottiglie vendute nel 2024, per il 2025, Salvini permettendo, si calcola sarà raggiunto il miliardo di bottiglie in circolazione in tutto il mondo. Stiamo parlando del prosecco, la bevanda alcolica e, oggidì anche dealcolata, più venduta e forse la più conosciuta nel mondo insieme allo champagne.

E allora raccontiamo qualche aspetto di questa bevanda il cui nome è talmente famoso che vi sono dei contenziosi internazionali. Ad esempio con l’Australia, che chiama prodotti propri nazionali prosecco. Questo perché fino al 2009 l’uva usata per fare il prosecco, si chiamava appunto prosecco e non glera come definito dal 2009 al fine proprio di tutelare una denominazione che racchiude territori del veneto e del Friuli Venezia Giulia.

E questo che c’entra con l’Australia? C’entra perché nel 2001 il paese sito nel continente australe acquistò delle barbatelle, il tralcio (talea) con le radici, del prosecco. Perché allora si chiamava così. Non è la prima volta che il nostro paese deve fare ricorsi ad accordi commerciali bilaterali per tutelare i propri prodotti, come è toccato alla Francia per lo Champagne. Una volta definito in Europa (fino agli anni ‘80 il nostro metodo classico si chiamava champagne e poi metodo champenoise) che solo il territorio francese dello champagne può usare quella definizione, tant’è che il metodo classico transalpino si chiama cremant, i francesi ingaggiarono battaglia con gli Usa e la nascente Napa Valley a tutela del nome Champagne. L’accordo fu raggiunto ma vale solo per le bottiglie prodotte a partire dal 1994 per chi non avesse avuto produzioni del prodotto per almeno dieci anni a precedere. Uno spartiacque che riduce e limita il problema ma non lo risolve.

Altra caratterizzazione del prosecco è il metodo di produzione, sviluppato in piena rivoluzione industriale: il metodo Martinotti-Charmat.

Siamo a fine 800 e l’enologo Federico Martinotti, direttore della Regia stazione enologica di Asti, decide di cercare un sistema più pratico rispetto al Metodo Classico per spumantizzare i vini. Se infatti la parte iniziale della vinificazione è uguale per entrambi i metodi, la fermentazione avviene in bottiglia per il metodo classico e in autoclave per il metodo Martinotti, divenuto Martinotti-Charmat a seguito delle migliorie tecniche che il francese Eugéne Charmat apportò al sistema rendendolo più facilmente ed economicamente riproducibile.

L’uso dei contenitori pressurizzati, detti appunto autoclavi, viene nel nostro paese chiamato metodo italiano ed ha dato vita a diversi tentativi di ripercorrere il successo del prosecco, come l’esperimento del trabocco spumante abruzzese. Ma non è facile ripercorrere un percorso fatto di molta capacità vitivinicola ma anche imprenditoriale che ha avuto ed ha il supporto delle istituzioni locali e, oggi visti i numeri, nazionali.

Qualche notazione finale. Il prosecco nasce extradry, le versioni meno zuccherine come il brut e l’extrabrut sono di più recente innovazione, come per il rosato, ed è tra le prime realtà che ha avuto il riconoscimento della particella di vigneto di produzione da indicare in etichetta al modo delle crue francesi.


L’immagine della rubrica è di Roberto Cavallini.

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