Sono solo canzonette?
Chiamale emozioni
Da Orietta Berti a Alberto Matano, “emozioni” è la parola chiave della nuova tv, tra recupero di vecchie glorie della musica e nuova passione per i casi di cronaca
Emozione. È la parola chiave e il contenuto, unico ed assorbente, del senso nella comunicazione televisiva. Proclamata programmaticamente da ogni conduttore come cifra esclusiva di connotazione dei prodotti proposti ai telespettatori. È la regola dello show. E va benissimo quando si tratta di canzonette, intrattenimento pomeridiano costruito intorno a figure dello spettacolo, della musica, e meglio se “ripescati” da un passato nel quale hanno dominato prima di scivolare nell’oblio indotto da nuovi stili di comunicazione e altrettanto nuovi interpreti. Anzi, molto meglio. Perché in questo caso l’agognata emozione si carica di un valore aggiunto di allusiva nostalgia che di per sé muove gli animi. Ovviamente questi personaggi non calano come marziani sui comodi salottini dei pomeriggi dell’intrattenimento televisivo. Ci arrivano inquadrati in modulati format che, inevitabilmente, replicano se stessi. E che corrono in varia direzione narrativa.
Due casi per intenderci. Mal dei Primitives e Orietta Berti. Il primo, passato alla gloria della Siae e della memoria collettiva con il suo Furia cavallo del west, rientra dalla porta di una narrazione scandita da – innocenti, va da sé – retroscena di vita. E via così con le rivelazioni postume su tante fidanzate e fidanzatine mai giunte, all’epoca del successo, sulle copertine dei bulimici rotocalchi. Momento di leggerezza – la si chiama così – delegata agli ospiti del salotto tv (preferenzialmente su Raiuno, rete generalista e specializzata).
Più interessante e significativo il caso di Orietta Berti. La cantante dei buoni e semplici sentimenti in versione belcanto e melodia italiana, vestale – ai tempi del suo successo – dei valori del focolare e della famiglia tradizionale, ritorna al futuro riproponendo quella stessa icona ma in un modello che alleggerisce la “pesantezza” della nostalgia (del resto è assai ridotta la platea di quelli del suo tempo) dell’immagine consolidata, trasformandosi in consapevole parodia di se stessa nelle canzoni-show con il tormentone di qualche anno fa Mille in trio con Fedez e Achille Lauro. Successo di pubblico – nei passaggi tv e di vendite del singolo – e con un chiaro messaggio extra-testuale: la vita corre avanti, la giovinezza se non eterna è certamente senza tempo, l’invecchiamento se c’è viene culturalmente, anzi emotivamente, rimosso, rinviato sine die.
Prodigio dell’emozione! Che per quanto la si voglia leggere, analizzare, studiare nella fenomenologia di sili di vita ai quali occhieggia, resta comunque circoscritta all’ambito dello svago da show. Eppure la ricercata emozione, come motore narrativo, scavalca il recinto dell’alterità mediatica rappresentata dal mero, codificato, spettacolo di intrattenimento per insediare la propria funzione nel campo dell’informazione persino giornalistica, con buona pace dei puristi indomiti e forse anche pedanti che riterrebbero distanti e difesi (giornalismo e intrattenimento) dalla distinzione dei generi del racconto.
L’esempio ormai dilagante è rappresentato dal racconto della cronaca nera, oggetto specifico di trasmissioni che con successo presidiano la fascia oraria della tarda mattinata televisiva e il pre-serale. Una immersione a perdersi nel dettaglio, anche il più insignificante e “inedito” (si fa per dire) con lo scopo di tenere alta la tensione dello spettatore avvinghiandone la percezione di un imminente svolta investigativa, di uno svelamento prossimo alla verità del fatto. In quel racconto, famelici (per obbligo contrattuale) giovani cronisti reggono il patto (non detto ma dagli effetti evidenti) con testimoni pronti a dichiarazioni in favore di telecamera, spinti a manifestare stupore per il caso, brividi, compassione istantanea (e reversibile ad ogni diretta) per la vittima. Stupore e paura – il mix del racconto è quello, replicato in vario modo a seconda della linea editoriale della testata – per generare rabbia, indignazione, paura aumentata. Nel mare magnum dei dettagli è inevitabile smarrire trama, logica e razionalità nel comprendere il fatto. Basta l’emozione. Basta nutrire il serbatoio psicologico del telespettatore per reinvestirlo su altri omologhi fatti e format.
Ciò che abbiamo tratteggiato è una, sottile ed insinuante, altra faccia del cosiddetto infotainment. Altra faccia perché se la categoria specifica postula l’esistenza di un contenitore mediatico nel quale per accumulazione si collocano in sequenza spazi di informazione con quelli più leggeri dello spettacolo attivando un flusso di informazioni che genera, omologa e cancella se stesso nella percezione del telespettatore. È così che nel racconto della cronaca si insinua la torsione dell’intrattenimento nel suo riflesso emozionale.
L’incrocio, negli ultimi anni, si è fatto raffinato e persino strutturale nel tentativo di un ampliamento degli spazi televisivi a vantaggio dell’incremento dei dati Auditel.
L’intreccio, al quale si fa riferimento, genera la presenza professionale di veri e propri leader mediatici che con la loro indubbia capacità professionale vengono essi stessi riconosciuti, a prescindere anche dai contenuti che governano, come il corpo mediatico che tiene uniti i generi guidandone la transizione dall’uno all’altro.
Un nome ben sintetizza questo discorso: Alberto Matano. Alle spalle una lunga, importante ed apprezzata carriera nei media “tradizionali”, un ruolo rilevante al Tg1 del quale è stato un conduttore nelle edizioni strategiche (quelle con il massimo picco di ascolti rispetto alle testate concorrenti del network berlusconiano), poi curatore di speciali e presentatore di serate cult nelle quali i media celebrano e premiano se stessi.
Poi il salto: conduttore (e di fatto direttore/autore) del contenitore della Vita in diretta il cui cuore è rappresentato dalla cronaca nera, per come lo si è in precedenza tratteggiato. Non solo nera, ovviamente, ma anche salotto confortevole di digressione sui temi della cronaca affidato a voci e volti dell’opinionismo televisivo in permanente transito da rete a rete.
Dal tavolo rotondo dello studio della Vita in diretta, Matano passa, mantenendo entrambe le postazioni, al trono nobile del popolarissimo Ballando con le stelle, lo show del sabato sera di Raiuno “governato” da Milly Carlucci. Non è un giudice ma un analista e un dispensatore di fortune per le coppie avendo il potere di decidere l’attribuzione del cosiddetto “tesoretto” (un gruzzolo di voti) alle coppie dei concorrenti che ne ricavano un miglioramento della propria posizione nella classifica della gara.
Presenza attiva e fortemente interattiva nella trama della trasmissione. Da lui – molto più che solo un opinionista – vengono analisi introspettiva dei concorrenti, la sottolineatura del “fattore umano”, una sorta di interpretazione filo-psicologica della vita dei concorrenti per toccarne le corde interiori suscitandone reazioni emozionali in favore dello show. Emozione è ciò che l’esplorazione cerca. Farla emergere, con garbo e sottigliezza, affinché l’emozione valga per lo spettatore. Il gioco delle parti è interessante perché l’umanità emozionale dei concorrenti di cui Matano si propone scopritore, volentieri (forse volutamente) collide con le opinioni della giuria tecnica degli esperti.
Il mantra mataniano è chiaro: dietro la star in pista c’è una umanità; così come dietro l’atrocità della cronaca nera c’è ancora una umanità che vi racconto. In entrambi i casi con e in nome dell’emozione. Fugace e temporanea quanto si vuole. Ma assai salda come filo che tiene insieme il racconto televisivo a varia intensità e format. Consolatoria per il pubblico. Remunerativa negli ascolti. In fondo, è solo televisione.
La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.


