Letterature diverse
Il gatto e gli angeli
Nella seconda e ultima parte dell'intervista, il critico e scrittore swahili Farouk Topan parla del rapporto tra arte e religione. A partire da una sua opera teatrale...
Nell’ambito della rubrica con il dipartimento di africanistica dell’Orientale di Napoli, pubblichiamo la seconda parte dell’intervista a Farouk Mohamedhusein Tharia Topan, direttore del Centro Swahili presso l’Università Aga Khan. È uno specialista della lingua e della letteratura del popolo swahili. Ha insegnato all’Università di Dar es Salaam, all’Istituto di Studi Ismailiti e alla Scuola di Studi Orientali e Africani di Londra. Topan è anche scrittore teatrale. Questa rubrica e questa intervista è stata pensata col docente di letteratura swahili e lingue bantu Roberto Gaudioso.
Nei suoi testi, utilizza molto l’ironia. Me ne parla?
Il mio lavoro può essere diviso in due, accademico e opere teatrali. Ho insegnato letteratura Swahili all’università di Dar Es Salaam e di Nairobi. Le opere accademiche dell’epoca erano così innovative che venivano scritte insieme agli studenti. Furono il fondamento della critica letteraria in swahili, sono molto fiero del lavoro di quegli anni. Per quanto riguarda le opere letterarie ho scritto tre opere teatrali e alcune storie brevi. L’ironia è presente specialmente in due opere, Mfalme Juha, “il Re pazzo” e Aliyeonja Pepo, “Chi ha assaggiato il paradiso”. Sono opere molto serie, ma con un lato comico.
Mi parla di Mfalme Juha?
La prima è la storia di un re stanco del fatto che le persone si rechino alla corte per protestare per il costo della vita. Decide così che ogni cosa possa essere venduta pesandola, a un centesimo per chilo. Fosse anche oro. Questo crea una catena di eventi comici. Un uomo sposato che aveva pagato solo una parte della dote che aveva concordato con il padre della moglie, era perseguitato dal suocero, che gli chiedeva sempre il resto dei soldi. Il giorno che venne promulgata la nuova legge, il marito pesòla moglie e scoprì che in realtà, secondo i nuovi parametri, ha pagato troppi soldi e quindi, ribaltando la situazione, chiede lui i soldi indietro al padre. Alla fine della pièce, un esperto di giurisprudenza islamica, disse al Sultano che, se fosse morto in un determinato giorno, sarebbe andato in paradiso. Ascoltando il consiglio, il Sultano decise di morire in quel giorno. Siccome amava la poesia e si era convinto che in paradiso potesse scrivere poemi migliori, optò per la morte nel giorno propizio.
Anche Aliyeonja Pepo parla di morte?
“Chi ha assaggiato il Paradiso” è anche una storia ironica, è il racconto di un abitante di Bagamoyo, una cittadina sulla costa. Era un buon musulmano, molto pio, così quando muore va diretto in paradiso. Un paradiso come quello islamico, molto fisico, con donne e miele. Solo che a un certo punto, in Paradiso si accorgono che si sono sbagliati. Un angelo, per sbaglio, dal libro dei morti del giorno ha girato due pagine che si erano attaccate insieme. Così è morta per sbaglio una persona che doveva morire un anno dopo: il 21 marzo nel giorno di Noruz, il primo giorno di primavera. La persona che doveva morire sul serio aveva solamente le stesse iniziali della persona che hanno preso per sbaglio.
Che succede poi?
Così l’angelo che ha commesso l’errore, viene chiamato al telefono. Sulla scrivania vi sono due telefoni, uno normale e uno rosso. Squilla quello rosso, è il grande capo che lo chiama. Dio vuole avere il codice della persona che avrebbe dovuto morire, perché nella religione islamica, quando muori, due angeli ti interrogano e poi decidono dove andrai. Nell’opera danno un codice con scritto il destino del defunto. Ma il codice non esiste, perché hanno preso per sbaglio un’altra persona. Quando se ne accorgono, lo dicono a Dio, che però non ne vuole sapere di lasciare in paradiso una persona che era destinata a morire un anno dopo e in terra una persona che doveva morire. Così ordina di rimettere le cose a posto.
Che fanno?
Chiamato il pio islamico, gli spiegano che non doveva morire e che deve tornare in terra per un anno. Lui fa presente che essendo un buon islamico, tutta Bagamoyo è venuta a seppellirlo e che ora non può tornare in vita così. Gli angeligli rispondono di non preoccuparsi, che hanno una soluzione. Vogliono prendere l’anima della persona destinata a morire e mettere la sua nel suo corpo. Solo che la persona destinata a morire al suo posto è inglese e fa il bartender, ha un cane ed è sposato con una tedesca.
Come la prende?
Il pio musulmano del villaggio di Bagamoyo, appena comprende che la sua anima sarebbe stata messa, per un anno, nel corpo di un bartender inglese, protesta vivamente e non accetta lo scambio. Alla fine convince gli angeli che non può reincarnarsi nell’inglese, perché lui è socialista mente quello è capitalista. Alla fine gli dicono, che essendo morto per un calcio di un asino in un mercato pieno di gatti, prenderanno l’anima di uno dei gatti e metteranno la sua nel suo corpo.
A un certo punto interviene però il diavolo. Me ne parla?
A quel punto arriva sul palco Iblis, il diavolo, che ne approfitta per dire al pubblico che da quando è stato cacciato da Dio, tutto è andato a scatafascio e fanno un sacco di errori. Vedete, dice, “vi prederanno nel giorno sbagliato” e si diverte un mondo a commentare lo sbaglio dell’angelo. Poi Iblis si ferma a pensare per quale motivo Dio nel momento in cui lo ha cacciato, gli ha dato la possibilità di andare sulla terra e suggerire agli uomini di sbagliare. Dio gli disse però che non poteva far sbagliare i veri credenti. Iblis nel Corano gli risponde che farà questo con il suo permesso e questo è cruciale. Ora nella mia pièce teatrale si mette a pensare sul perché Dio gli ha dato quel permesso. Quasi come fosse un sufi, riflette sul fatto che lui era il primo Angelo, quello più amato e che ha creato l’intero mondo per lui e gli ha chiesto di far peccare gli uomini perché se no gli uomini non avrebbero alcuna scelta, sarebbero tutti angeli. Quindi capisce di essere necessario per la terra e che un giorno Dio lo avrebbe ripreso al suo fianco, finita la sua missione. Quindi alla fine della pièce dice: “O gatti, state attenti perché sto venendo per voi!!!
Nonostante l’opera teatrale faccia molto ridere, il messaggio sulla religione è in realtà profondo, cosa voleva dire?
Scrissi un’introduzione all’opera in cui parlavo del ruolo della religione. La società umana è mandata avanti da tre cose, la politica, l’educazione e la religione. La gente crede nella religione. Mentre la politica e l’educazione nel tempo sono evolute, per esempio in politica esiste la democrazia, le dittature, la religione sembra non evolvere, anzi sempre di più va nella direzione del pensare “io ho ragione e tu hai torto”. Secondo me la religione dovrebbe essere un rapporto personale con Dio, non si dovrebbe invadere lo spazio degli altri.
La chiave quindi è nell’introduzione?
Molte persone che leggono quest’opera teatrale, non leggono l’introduzione, leggono direttamente la pièce perché è divertente, ma nell’introduzione vi è la chiave della pièce. Per me la cosa più importante è l’intelletto umano, perché è l’intelletto umano che ti fa scegliere. Si sceglie in accordo alla propria morale. Metto anche in questione la “fisicità” del Paradiso, sembra quasi che ci chiedano di essere buoni per poter avere donne, miele e bevande in Paradiso.
È religioso?
Ho scritto quest’opera e questa introduzione molti anni fa, ero un ragazzo. Sono musulmano e credo in Dio, ma come tutti, interpreto a modo mio, non credo nella fisicità di cui parlavo prima. Credo che abbiamo un’anima e che questa anima dopo la morte torni da dove sia venuta. Ma non so proprio se sia conscia o non conscia dopo la morte. Ci sono moltissime persone che parlano di esperienze dopo la morte. Io penso che quando si perde una persona a cui si tiene molto, vengano in mente pensieri o sensazioni che sembrano essere messaggi di queste persone. Pensieri che non sarebbero nemmeno descrivibili, perché forse esiste un linguaggio che questi spiriti usano, che non potrei nemmeno descrivere. Direi quello che descrivono i sufi come Rumi, credo in questo tipo di esperienza, che forse solo un poeta sufi può descrivere.
Il gatto è una figura centrale dell’opera teatrale, anche se arriva sul finale. Che rapporto ha con i gatti?
Amo i gatti, ne ho sempre avuti. Solo ora ho smesso perché la bellezza dei gatti è prenderli da cuccioli. I gatti ti amano nel loro modo e chiedono di essere amati a modo loro, lo devi accettare. In Inghilterra dicono che “la gente crede di possedere i gatti, ma in realtà sono i gatti che possiedono le persone”. Ora viaggio troppo e non riuscirei a crescere un cucciolo di gatto come vorrei, ma gli amici continuano a regalarmi libri sui gatti e la mia foto di whatsapp è un gatto.
Il finale dell’opera non ci svela cosa accade al pio musulmano quando si rincarna nel gatto, ha mai pensato di scrivere un sequel?
Molte persone mi chiedono cosa è accaduto al gatto, quando l’anima della persona prende il possesso del suo corpo. Ho quindi deciso di scrivere il sequel, questa volta però non un’opera teatrale, ma un romanzo. Ho già scritto quattro capitoli, anche se non è più a Bagamoio, ma a Zanzibar.
La religione sta eradicando aspetti culturali? Per esempio le frasi sui Kanga, i tradizionali tessuti della Tanzania, sono oggi tutte religiose, mentre vi erano proverbi e modi di dire Swahili. Cosa ne pensa?
Nyerere voleva unire il popolo e temeva il tribalismo e le religioni, perché potevano dividere le presone. Per evitare il tribalismo introdusse il swahili come lingua nazionale. Il swahili era parlato da poche ma diverse persone nella costa e quindi andava bene perché non era un linguaggio tribale. Ha funzionato, mentre per quanto riguarda la religione ha funzionato meno. In un paese in cui vi sono sia islamici, che cristiani e in cui esistono ancora le religioni tradizionali, pensare di poter relegare al privato le religioni è stato un’illusione.
È una questione atavica in molti paesi, che ne pensa?
È una questione che ha sempre toccato la politica della Tanzania, soprattutto ora che i presidenti sono meno forti. Le chiese cristiane hanno un ruolo maggiore, i musulmani si fanno sentire di più e soprattutto si è diffuso il wahabitismo portato da molti studiosi di ritorno dai paesi del Golfo e anche l’islamismo sciita finanziato dall’Iran. Credo che se Nyerere avesse accettato da subito un maggior ruolo delle religioni, sarebbe stato meglio. Perché avrebbe potuto integrarle meglio nella politica, controllandole maggiormente e portandole a concentrarsi più su tematiche nazionali che su simboli religiosi che creano differenze tra i cittadini. Se uno studia le prime monete islamiche, vi sono simboli cristiani, così come nelle poesie sufi si parla del vino. I primi musulmani erano estremamente tolleranti. Nyerere avrebbe potuto orientare la religiosità verso forme più tolleranti, ma negandole un ruolo politico, le ha spinte a forme politiche più intolleranti. Io amo la via sufi.
2. Fine


