Paolo Ardovino
Al Teatro Massimo di Cagliari

Il rito di Edipo

Debutta «Tragùdia», versione in lingua grecanica del mito di Edipo, messa in scena da Alessandro Serra. Un caleidoscopio di immagini all'inseguimento di un rito che supera il Tempo

È avvolta nel buio e odora di incenso la tragedia secondo Alessandro Serra. Dove il protagonista non è la parola ma il suono. Quello di una lingua sconosciuta, il grecanico usato da pochissimi abitanti della fu Magna Grecia e dell’attuale Puglia e Calabria. Il suono dei cori, che non solo accompagnano ma costruiscono la ritualità della messa in scena di Tragùdia – Il canto di Edipo. Spettacolo con regia, scene, luci, suoni e costumi a cura dell’autore cagliaritano, in tour nazionale e in questi giorni nella sua isola, il 20 gennaio a Sassari e dal 22 al 26 a Cagliari.

Lo storico del teatro Nicola Fano nella sua recente pubblicazione Non è il caso. La vita secondo Edipo (Treccani libri) suggerisce che, se letta secondo l’antinomia destino-volontà, la vita di Edipo non è che uno specchio della vita di ognuno di noi. Alessandro Serra, che nelle note di sala parla di una tragedia che oggi è chiamata a muoversi tra le macerie, propone allora un Edipo che dalle macerie si rialza. Dell’eroe-antieroe tragico per eccellenza vediamo le gesta: la sfinge sconfitta e la corona di Tebe sulla sua testa. Ma vediamo soprattutto l’Edipo sopraffatto dagli eventi che gli piovono addosso, e quindi la tragica scoperta di aver ucciso il padre Laio senza saperlo e di aver procreato insieme a Giocasta che in realtà era sua madre. Edipo brancola nel buio, quel buio che domina la resa scenica di Tragùdia, fino a quando anziano e vicino alla morte è spettatore di una guerra fratricida tra i suoi figli. E fino a farsi esso stesso profeta di speranza. La parola «amore», panacea di tutti i mali, chiude lo spettacolo e campeggia nello schermo dei soprattitoli.

La scelta linguistica è una scommessa vinta da Serra, il grecanico restituisce sentori di antica Grecia (traduzione di Salvino Nucera). L’obiettivo non era raccontare una trama ma raccontare la ritualità ancora possibile di un testo tragico. E sono pochi i momenti in cui abbandonarsi realmente alle emozioni, ma questo fa parte del programma. Serra, infatti, nelle ampie note di sala evidenzia: «Il rito del teatro riaccende il mito, infiamma gli archetipi, sprigiona energie. / La tragedia è mito che si fa teatro: non ci sono i sentimenti ma gli archetipi dei sentimenti. / La forma del sentimento che è sentimento puro».

La riscrittura non si allontana da Sofocle. La prima parte che pesca da Edipo Re accavalla salti temporali con trovate visive suggestive e di effetto, la parte che dà voce a Edipo a Colono avrebbe avuto bisogno di qualche taglio al copione. L’esito è troppo didascalico, che è una novità per la scrittura di Serra, sempre ridotta all’essenziale e improntata sul suggerimento della vicenda, più che alla rappresentazione fedele. Ma la riverenza dell’autore di fronte alle pagine più solenni della vita di Edipo, in fondo, è comprensibile. Tragùdia però vuole essere il manifesto del teatro di Serra, che non è parola ma è suono e movimento. Ed è per questo che viene da dire che l’intento si va a perdere verso il finale. Piuttosto, da maestro dei giochi di luci e ombre, qui l’elemento dominante diventa il buio. Alcune scene sono rischiarate da un fascio flebile di luce – pregevole il frangente in cui, mentre la città di Tebe chiede aiuto a Edipo dalla peste, in scena pendola un bruciatore di incenso – e la tavolozza di colori questa volta è minimalista. Tutto il contrario della magnificenza visiva espressa in La tempesta. Ma è una scelta calcolata, le pene di Edipo si svolgono nella penombra dell’animo umano. Il pannello centrale che per un’ora è un alto muro grigio si abbassa e diventa una piattaforma piana (Strehler docet) su cui si muovono le azioni della redenzione di Edipo, ora illuminate a crepuscolo.

I passaggi migliori sono per mostrare la morte di Giocasta e l’accecamento del figlio-marito pentito, dove viene giù il sipario che lascia captare al pubblico solo le grida del protagonista, e il monologo di Polinice che si dimena invano, coperto da terra rossa. Nota al merito a Jared McNeill, che dà a Edipo intensità e fascino magnetico. L’attore aveva già convinto in La Tempesta di Serra nei panni di Calibano. Tragùdia fa eco a Macbettu, l’opera più celebre di Serra, ma è meno d’impatto. La novità linguistica, far ascoltare alla platea scene incomprensibili, non è più una novità. In quel caso era il sardo. Il grecanico funziona semmai per la sua dolcezza e per la sonorità quando si passa velocemente da episodi a stasimi e viceversa. Senza essere blasfemi, l’effetto raggiunto assomiglia a quello di un musical. Tragùdia convince come proposta di una lettura sacra della tragedia, che mette in mostra in maniera ieratica i sentimenti, senza volerli approfondire. In questa chiave, il lavoro dell’autore cagliaritano permette di tenere in vita il fuoco dei miti e la loro grandezza come paradigmi delle nostre azioni.

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