Al Teatro Regio di Parma
Giovanna in guerra
Emma Dante, con la direzione musicale di Michele Gamba, recupera il misticismo guerresco della "Giovanna d'Arco" di Verdi. Con uno spettacolo ricco di invenzioni registiche
Quest’anno la stagione lirica del Teatro Regio di Parma è stata inaugurata con grande successo con una delle opere giovanili di Giuseppe Verdi, fra le meno conosciute e fra le più enigmatiche del suo repertorio: Giovanna d’Arco andò in scena per la prima volta a Milano alla Scala nel 1845 e da sempre è stata considerata fra le opere meno riuscite di Verdi.
Parma l’ha rimessa in scena con una regista d’eccezione, Emma Dante, che con il suo tocco magistrale, con scene inconsuete e di grande fascino, curate da Carmine Maringola, ci ha immerso in questa nota vicenda in parte derivata dal dramma di Friederich Schiller Die Jungfrau von Orleans del 1801. Ma Verdi non volle seguire troppo da vicino Schiller per dimostrare autonomia d’invenzione e capacità di creare «un dramma affatto originale». Lo scostamento da Schiller c’è, ma in misura inferiore. Certo Verdi sfronda la pletora di personaggi schilleriani, aiutato dal librettista Temistocle Solera, riducendoli alla sola tematica della storia amorosa fra Giovanna e il re Carlo VII. E poi non fa morire la protagonista sul rogo ma in battaglia.
Solera inoltre evidenzia due momenti che Schiller tenne sottotono: il sogno di Carlo, ben interpretato dal tenore Luciano Ganci, e il duetto fra il padre Giacomo, (l’applauditissimo baritono Ariunbaatar Ganbaatar) e la figlia Giovanna, il delizioso soprano Nino Machaidzeche. In questa maniera esplicita il rapporto fra genitore e figlia così caro a Verdi.
Per restituirci quello che il nostro amato autore della bassa padana chiedeva: un’eroina combattente, un respiro di grandiosità, scene di massa non enfatiche, versi alati, squarci dei tormenti dei protagonisti e soprattutto quella presenza del soprannaturale da cui Verdi era tanto attratto e che finirà per esplorare più volte come segnale dell’incomprensibile mistero dell’esistenza.
Il direttore Michele Gamba, di grande esperienza verdiana, ha ben evidenziato come il Verdi giovane non sia un musicista rude e grezzo come si è considerato per molto tempo, ma riveli raffinatezze d’impasti e interesse per il colore armonico. Questa è un’opera che secondo il direttore potremmo definire cameristica. E con tante cose in comune con Donizetti per la condizione psicologica estrema della donna. Come avviene nella Lucia di Lammermoor o nella Linda di Chamounix.
Emma Dante ci ricorda nelle note di regia che Giovanna è una donna che sfida con coraggio le convenzioni sociali fino al sacrificio della vita. E la regista riesce perfettamente a indagare la sua inquietudine interiore, la sua schizofrenia che la porta ad essere angelica e diabolica allo stesso tempo. La sua lotta per liberare la Francia dagli invasori inglesi è solo un pretesto per aprire un varco tra la fiamma del suo misticismo e il fuoco dell’inferno. Anche attraverso improvvisi cambi di scena, come quella magica foresta di querce che cala all’improvviso nel primo atto, dopo l’assolo di Carlo.
Per tutta la sinfonia iniziale Emma fa sfilare un’umanità devastata dalla guerra e dopo che i soldati si strapperanno di dosso la divisa rimanendo a torso nudo, lentamente si accasceranno, attirati dal mucchio di cadaveri, uno sopra l’altro.
Mostrandoci l’ecatombe di soldati che cadono morenti con le spade tutte in verticale. Ad un certo punto ritroviamo una sorta di processione religiosa siciliana con la statua della madonna traforata portata in spalla. Scene di danza spettacolari con vesti tutte rosse, ideate da Vanessa Sannino, che creano fluide figure di grande impatto visivo.
Nel II atto fascinose scene corali, perfettamente dirette dal maestro del coro Martino Faggiani, con una schiera di donne vestite con gonne che formano grandi spettacolari campane. E dopo l’incoronazione di re Carlo, Emma Dante fa scendere una serie di inaspettate colonne collegate ad arco, di dimensioni digradanti, che sembrano ricordare le celeberrime illusioni architettoniche del colonnato di Palazzo Spada a Roma ideato dal Borromini. E poi ci mostra lo stesso colonnato digradante, ma questa volta tutto fatto da fiori multicolori.
Fino a farci vedere una enorme muraglia grigia ossidata con incastonate una infinita serie di volti sconosciuti che tanto ricordano gli eccidi dei nostri giorni che purtroppo abbiamo ormai metabolizzato senza la giusta indignazione che meriterebbero.
Poi ci ritroviamo ingabbiati in un’enorme voliera assieme a Giovanna, che il padre però riuscirà a liberare, rinchiudendosi al suo posto. Infine un enorme finto cavallo bianco, artisticamente mosso da due persone inserite all’interno e una grande nuvola tessile grigia continuamente in movimento da cui alla fine comparirà Giovanna morente.
Nella scena finale lei si adagerà su un enorme manto fiorito che la accoglierà in eterno.
Pubblico entusiasta con lunghi calorosi applausi finali di questa inedita regia che porta aria nuova nel mondo lirico spesso invece non propenso a queste preziose innovazioni.
Le fotografie dello spettacolo sono di Roberto Ricci.


