Sergio Buttiglieri
Al Teatro alla Scala di Milano

Falstaff della Padania

Torna in scena, con la direzione di Daniele Gatti, lo splendido allestimento di Giorgio Strehler del "Falstaff" di Verdi. Le scene di Ezio Frigerio trasferiscono Windsor in Val Padana

È in scena in questi giorni, fino al 7 febbraio, al teatro alla Scala di Milano Falstaff, l’ultima opera di Giuseppe Verdi ormai ottantenne, che lui fece debuttare proprio in questo teatro nel febbraio del 1893. Scritta con Arrigo Boito e tratta dal celeberrimo intramontabile testo di Shakespeare Le allegre comari di Windsor. 

Per la prima volta il pubblico scaligero ha assistito ad un’opera in cui la vicenda non termina con le donne coprotagoniste che vengono uccise. Cosa che spesso accade nelle opere liriche precedenti. Loro questa volta, con la loro intelligenza e ironia, si prendono gioco di Falstaff.

La pregevole celeberrima regia di Giorgio Strehler, che la mise per la prima volta in scena alla Scala nel 1980, ci immerge, tramite le magiche scene e i costumi di Ezio Frigerio, in un Falstaff nella bassa padana. Frigerio è sicuramente uno degli scenografi più rappresentativi degli ultimi decenni, presente nei più importanti teatri d’Europa e del mondo. Sicché Frigerio ci immerge nell’interno della taverna della Giarrettiera, come in una cantina piena di grosse botti e il giardino della casa di Alice è un’aia rurale, con un carro di paglia sotto un porticato, e nello sfondo una cascina da film di Bertolucci. A tratti il palcoscenico è inondato da nebbioni tipo quello di Amarcord.

La regia di Strehler è pari alla fama dell’illustre uomo di teatro. Si concentra soprattutto, oltre che sui movimenti d’insieme, sul protagonista e sulla coppia dei giovani innamorati che in vari momenti vediamo ai margini ad amoreggiare nascosti.

La nota vicenda di Falstaff, interpretato dal navigato basso Ambrogio Maestri, è quella di tentare di sedurre le due ricche e piacenti signore del luogo Alice (il soprano Rosa Feola) e Meg (il mezzo soprano Martina Belli) con una lettera amorosa, inviata identica a tutte due, con l’intento di accaparrarsi infine dei loro beni. Ma ambedue, naturalmente, scoprono subito quanto questa missiva sia beceramente strumentale nei loro confronti. E quindi decidono di prendersi gioco di lui invitandolo al famoso momento “dalle due alle tre” ritenuto libero dalla presenza del geloso marito Ford, il bravissimo baritono, pluriapplaudito a scena aperta, Luca Micheletti.

Tutto genera un mirabolante succedersi di imprevisti burleschi fino al lancio nel Tamigi della enorme cesta di vimini colme di lenzuole con nascosto dentro l’impacciato Falstaff per non farsi scoprire dal marito di Alice. Le due smagate donne si prendono gioco di lui, aiutate dalla piacevolissima Quickly che lo invita un’altra volta a una grande festa in maschera per rivedere i suoi strumentali amori. Festa che loro hanno orchestrato assieme a Nannetta, (la simpaticissima quanto brava soprano Rosalia Cid) figlia di Alice, follemente innamorata del giovane dinamicissimo Fenton, il tenore Juan Francisco Gatell, anche se il padre Ford non vuole che si sposino perché privo di adeguati denari, preferendo invece maritarla con il ricco antipatico Don Cajus interpretato egregiamente dal tenore Antonino Siragusa.

Tutti questi inarrestabili accadimenti burleschi vedono in gioco i servitori di Falstaff, prima da lui cacciati e poi riabilitati, Bardolfo (il tenore Christian Collia) e Pistola, il nome è un programma… (il basso Marco Spotti). Quindi il protagonista, nel terzo atto, viene convinto a recarsi a una grande festa mascherata a mezzanotte alla quercia di Heren, nel parco reale travestito da cacciatore nero con due grandi corna di cervo sulla testa. Alice, con tutta la combriccola, orchestra i relativi mascheramenti: Nannetta da regina delle fate, Meg da ninfa, Quickly da Befana e gli altri da spiriti e folletti. Ford pensa così al termine della festa di riuscire a far sposare con i relativi travestimenti Nannetta con Cajus ma alla fine verrà gabbato pure lui perché il vero travestito accanto a Nannetta sarà Fenton. E questa sorpresa si trasforma in una ilarità generale e l’opera si conclude con una grande celeberrima fuga finale: “Tutto nel mondo è burla”!

Falstaff non è solo l’ultima opera di un compositore ormai celeberrimo in tutto il mondo, ma l’originalissimo capolavoro di un Verdi divenuto nella tarda maturità un maestro assoluto nell’arte del teatro musicale. La sorprendente vitalità di Falstaff sarà sempre nel cuore del pubblico, che ogni volta ne apprezza la sua straordinaria inventiva. È una celebrazione della vita che sembra avere in sé l’energia di un giovane.

Falstaff è una commedia sociale, raccontata con l’aiuto del librettista Arrigo Boito, con uno sguardo molto acuto su una parte della società. Però l’intreccio non si limita al gioco delle situazioni tragicomiche, ma arricchisce la buffa vicenda con un grande approfondimento dell’animo umano: pensiamo alla gelosia di Ford, alla malizia delle “comari”, all’innocenza dei giovani, ma anche alla loro astuzia. Tutto questo insieme di cose ce lo ha perfettamente restituito il direttore di fama internazionale Daniele Gatti che ben conosce il Falstaff avendolo diretto negli anni scorsi con la regia di Robert Carsen a Londra a Milano e Amsterdam. Molto ben congegnata anche la direzione del coro di Alberto Malazzi.

Lunghi calorosi applausi finali a tutto il cast.

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