Sante Lancerio
La testa a tavola

Che vino è?

Divampa il dibattito (o, meglio, la polemica) intorno al vino senza alcol. Un duello tra chi resta legato alla tradizione e chi vuole soltanto una «bevanda da compagnia»...

«Si tratta di succo d’uva. Il vino è, invece, quella bevanda che si ottiene con la fermentazione alcolica». Così recentemente uno dei massimi esperti di vino, Daniele Cernilli, alias Doc Wine, alla cui conoscenza si deve una delle guide più prestigiose del panorama italiano, commentava l’avvento del vino dealcolato.

Il tema del vino senza alcol ha acceso un dibattito intenso nelle diverse realtà che appartengono al mondo della coltivazione vitivinicola, come della sua produzione e distribuzione. Un dibattito rinfocolato dalla recente decisione del Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare, Lollobrigida, di dare il via libera alla definizione di vino anche per bevande con un tasso alcolico inferiore a 8,5 gradi. Si tratta di vini che vengono fatti fermentare normalmente (da qui la trasformazione dello zucchero presente nell’uva in alcol)  e poi, in un secondo momento, privati della tossina. Procedimento che non sarà possibile per tutti i vini. Ne sono esclusi i bianchi, i rossi e i rosé che posseggano una denominazione certificata – Docg, Dop/Doc,  Igp/Igt. Potranno però essere dealcolati i vini frizzanti di qualità, come spumante e prosecco.

L’Italia si allinea così a una norma in vigore in Europa dal 2013, che paesi come la Francia hanno fatto loro da subito, tant’è che i transalpini sono oggi leader nel settore del vino dealcolato.

Ma qual è il motivo del contendere? È un dibattito che si basa su un risvolto culturale. Vi è evidenza che il mondo del consumo del vino stia cambiando. Il vino-alimento che ha sempre caratterizzato le nostre tavole oggi non c’è più, o è legato a generazioni del secolo scorso. Oggi nel vino si cerca sempre più la capacità del vino stesso di esprimersi, magari attraverso la freschezza di un vino per compagnia, come il prosecco, che di fatto fa numeri da capogiro, superando il miliardo di bottiglie. C’è poi un modernismo che si rifà ad un presunto passato, come il mondo dei cosiddetti vini naturali, o ancestrali, o biodinamici. Ma il dato oggettivo che è alla base di questa discussione, è che solo, on in prevalenza, una questione di marketing. Le nuove generazioni amano i vini più leggeri, meno corposi. Molti produttori di vini importanti, con maturazioni importanti, stanno cercando una via per soddisfare questi consumatori senza stravolgere le scelte che hanno reso questi vini apprezzati e quindi famosi. Il vino dealcolato non fa altro che inserirsi in questo contesto di mercato.

E se la vediamo in questa ottica, il decreto del ministro Lollobrigida fa pari con le novità del codice della strada recentemente varato. E comunque, per quanto possiamo non apprezzarlo personalmente, può essere anche giusto che alcune cantine decidano di assegnare una quota parte della loro produzione ad una bevanda dal sapore di vino con poco alcool.

Quello che non dobbiamo permettere che accada è di travisare il dibattito stesso trasformandolo in un confronto culturale dove la tradizione deve prevalere. Anche perché il vino è il risultato di una lunga evoluzione. Ogni anno di vendemmia chi lo ha coltivato e prodotto ha imparato qualcosa di nuovo. E quel nuovo sapere lo ha fatto comune. Niente può mettere in discussione che il vino sia una bevanda da un elevato valore storico e culturale. Questo non toglie che sia una bevanda alcolica, che l’alcol sia tossico, che sia necessario avvisare il consumatore dei rischi che corre, soprattutto se ne fa un uso smodato. Ma la maggiore consapevolezza può e deve migliorarne l’uso, spingendo per un consumo di qualità, senza però che questo diventi motivo di speculazione. Questo dovrebbe essere un tema di dibattito.


L’immagine della rubrica è di Roberto Cavallini.

Facebooktwitterlinkedin