Alberto Cadioli
A un mese dalla scomparsa

Il marchio di Ferretti

Diresse gli Editori Riuniti aprendo a una letteratura più aperta e innovativa. Studioso dell’editoria italiana contemporanea, autore di numerosi volumi, voleva rimanere nel ricordo per i suoi scritti e tante sue pagine sono già presenti in molte bibliografie

In più occasioni Gian Carlo Ferretti ha ricordato che, nei primi giorni di lavoro della redazione milanese degli Editori Riuniti (da lui avviata nel 1976 e nei primi mesi collocata in una sede provvisoria un po’ periferica), si soffermava a vedere un gattino grigio, che si presentava sul davanzale della finestra. La ripetizione di quel ricordo è forse la spia di una sensibilità per aspetti semplici della natura (chissà se proveniente dall’infanzia e dall’adolescenza: Ferretti, nato a Pisa nel 1930, era stato a lungo a Merano, dove – morta precocemente la madre – la famiglia si era trasferita), che rimaneva nascosta sotto il razionalismo di una vita, da un certo punto in poi tutta “metropolitana”, e condotta in una grande metropoli come Milano. Dopo la laurea all’università di Pisa, nel 1952, infatti, conseguita con una tesi su Vincenzo Monti della quale era relatore Luigi Russo, Ferretti incominciò a lavorare a Milano, nell’ambito del giornalismo comunista, dapprima alla rivista mensile Il calendario del popolo, poi al quotidiano l’Unità. Milano sarà la sua città d’elezione: qui, del resto, più che in altre città italiane, pulsava la vita culturale; qui si accendevano intensi dibattiti intellettuali; qui aveva sede la maggior parte delle case editrici.

Il giornalismo sarà per molti anni il centro dell’attività di Ferretti, ma i suoi interventi più specificamente rivolti alla critica letteraria lo avrebbero portato a stringere comunque rapporti con gli scrittori di quegli anni: Pasolini, prima di tutti, e poi Calvino, Giudici, Volponi, Castellaneta, per citarne solo alcuni. La figlia di Ferretti, Giulia, depositaria di tanti aneddoti, ricorda che Pasolini aveva anche provato a far recitare il giovane e “bellissimo” Ferretti, ma vi aveva presto rinunciato dopo avere constatato che la recitazione non era affatto nelle sue corde. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta Ferretti aveva avviato, a fianco degli studi su singoli autori, varie indagini sul mercato del libro, pubblicandone i risultati sull’Unità, sul Contemporaneo, su Rinascita. Queste inchieste non proponevano ancora un possibile nuovo indirizzo alla critica della letteratura contemporanea, per la quale, per Ferretti, era invece da privilegiare il richiamo alle riflessioni e ai dibattiti sul ruolo della letteratura e dell’intellettuale nella società italiana uscita dal “miracolo economico”. 

In questa direzione – non strettamente contenutistica ma ideologicamente orientata a leggere “politicamente” i testi letterari – vanno i suoi primi volumi, da Letteratura e ideologia (1964) a La letteratura del rifiuto (1968; riproposto nel 1981 con un significativo nuovo titolo: Letteratura del rifiuto e altri scritti sulla crisi e trasformazione dei ruoli intellettuali), a L’autocritica dell’intellettualepamphlet nato sull’onda delle vicende del Sessantotto-Sessantanove (1971). Nel 1969, per altro, Ferretti aveva deciso di svolgere un lavoro giornalistico meno “militante”, divenendo redattore della rivista Tempo medico (edita dalla industria farmaceutica Pierrel): la scelta non era priva di un risvolto ideologico, poiché Ferretti aveva più volte sostenuto la necessità, per gli intellettuali, di un lavoro che si svolgesse dentro una azienda qualsiasi. Questa indicazione assunse un significato particolare quando fu proposto a Ferretti di aprire a Milano una redazione degli Editori Riuniti, casa editrice storicamente “romana” per il suo legame con i vertici del Partito comunista. La sede milanese avrebbe dovuto instaurare rapporti con gli intellettuali e gli scrittori del nord, e a Milano sarebbe stata prodotta la collana di romanzi e racconti I David: la direzione di Ferretti fece passare la narrativa degli Editori Riuniti da un decoroso e forse un po’ attardato realismo a una letteratura che non disdegnava, sia per gli italiani sia per gli stranieri, vie innovative: bastino i nomi di Borges, di Pavel Kohout, di Šukšin, di Trifonov, di Onetti, di Vargas Llosa, di Lezama Lima (per limitarsi a pochi, ma rilevanti, scrittori stranieri). 

Un nuovo quadro si andava dunque disegnando, nell’attività di Gian Carlo Ferretti, e il convergere di interessi di lavoro e di studio sull’attività editoriale lo portava a dare alle stampe un libro che proponeva un innovativo spazio critico: Il mercato delle lettere. Industria culturale e lavoro critico in Italia dagli anni Cinquanta a oggi(1979). Non si trattava più di studiare separatamente l’editoria e la sua produzione, da un lato, i testi letterari, dall’altro, ma di intrecciare le conoscenze (anche economiche) relative al mondo editoriale con la lettura critica delle opere. Le reazioni non mancarono e le polemiche furono numerose. Il nuovo campo di studi era però ormai aperto, e venne ulteriormente indagato con Il best seller all’italiana. Fortune e formule del romanzo “di qualità” (1983), che, anche in questo caso tra varie polemiche, introdusse una formula, “best seller all’italiana”, presto consolidata e ampiamente utilizzata per indicare la ricerca, da parte degli editori, di libri che unissero buona qualità e alte vendite. A partire dalle pubblicazioni appena citate, l’attenzione di Ferretti per i fenomeni della produzione editoriale e del loro rapporto con la letteratura non venne mai meno, anche se, a partire dagli anni Novanta, si intensificò l’interesse per “il libro” in quanto tale: il sottotitolo della nuova edizione del Mercato delle lettere (1994) spostava infatti il discorso, emblematicamente, alla “critica libraria”: «Editoria, informazione e critica libraria in Italia dagli anni cinquanta agli anni novanta». Il passaggio da qui alla storia dell’editoria sarebbe stato breve, come rivela la ricerca di grande respiro sfociata in Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003 (2004).

Anche sul piano più strettamente critico l’attenzione al mondo editoriale aveva introdotto nuove scelte. Chiusa nel 1984 l’esperienza con gli Editori Riuniti, e divenuto docente all’Università di Roma Tre (e, una volta in pensione, docente a contratto all’Università di Parma), Ferretti tenne corsi di letteratura italiana contemporanea, rileggendo la storia degli scrittori novecenteschi in rapporto al sistema editoriale. Pur continuando a proporre studi su singoli autori – per i quali basti qui ricordare Ritratto di Gadda (1987), Le capre di Bikini. Calvino giornalista e saggista (1945-1985) (1989), La morte irridente. Ritratto critico di Luciano Bianciardi uomo giornalista traduttore scrittore(2000), L’infelicità della ragione nella vita e nell’opera di Vitaliano Brancati (2005) – Ferretti moltiplicò dunque le ricerche sugli editori, sul rapporto tra scrittori ed editori, sul lavoro degli scrittori in casa editrice, dando alle stampe una ricca serie di volumi, tra i quali si possono qui ricordare, come esempi di una linea di studi protratta per decenni, L’editore Vittorini (1992), Storia di un editor. Niccolò Gallo(2015), L’editore Cesare Pavese (2017), e la curatela (con lunga introduzione) della raccolta delle lettere di Alberto Mondadori: Lettere di una vita. 1922-1975 (2014).

Potrebbe sembrare che Ferretti avesse affidato il coronamento della sua ampia attività a Il marchio dell’editore. Libri e carte, incontri e casi letterari, pubblicato nel 2019 alla soglia dei novant’anni, ricco di scritti mai raccolti prima. E invece quel libro non era ancora la conclusione di un impegno di studio avviato oltre sessant’anni prima: nel 2021 sarebbe uscito L’altra Italia del «Politecnico» di Vittorini. Attraverso la posta dei lettori, del 2021, e nel 2022 Pasolini personaggio. Un grande autore tra scandalo, persecuzione e successo, due volumi fondati su ricerche del tutto nuove e originali, delle quali Ferretti andava giustamente fiero. Ferretti ha sempre detto di desiderare di rimanere nel ricordo per i suoi scritti: le tante pagine dedicate a Pasolini, quelle su tanti altri autori della letteratura italiana, quelle destinate a ricostruire la storia dell’editoria letteraria e dei suoi protagonisti sono ormai consolidate nelle bibliografie degli studiosi, e non c’è dubbio che queste pagine terranno vivo il suo nome, ancora a lungo, nella cultura italiana.

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