Paolo Petroni
Due libri di imprevedibile attualità

Storie di ordinari razzisti

Due saggi storici di Massimiliano Boni e Antonella Meniconi e Guido Neppi Modona ricostruiscono le storie inquietanti di giudici italiani “illustri” e razzisti che riuscirono a nascondere le loro colpe e restare ai vertici dello Stato

Alla Consulta esiste il busto, come di altri ex presidenti della Corte Costituzionale repubblicana, di una personalità esemplare e deprecabile come Gaetano Azzariti (nella foto qui accanto), che quella carica resse dal 1957 alla sua morte ottantenne nel 1961, anche se, dopo varie richieste respinte di rimozione, nel 2015 è sparito misteriosamente in qualche magazzino in nome di un certo imbarazzo storico, che comunque finisce per nascondere una macchia del nostro passato su cui invece credo sarebbe bene non si smetta di riflettere, specie in un luogo come quello. Per questo si dovrebbe cercare di pensare come intervenire sulla cosa senza cancellare, ma nemmeno dimenticare cosa sia stato.

Azzariti infatti, come ben ricostruisce dedicandogli un corposo e documentatissimo saggio Massimiliano Boni, In questi tempi di fervore e di gloria (Bollati Boringhieri, pagine 352, 26 Euro), fu fervente fascista e contribuì sostanzialmente alla definizione del nuovo Codice Civile, macchiandosi poi da legislatore, aderendo al Manifesto della razza, con la collaborazione alla stesura delle Leggi raziali del ’38 e arrivando quindi a presiedere quell’obbrobrio umano e giuridico che fu il Tribunale della razza. Questo, sfuggito con abilità all’epurazione postbellica, è uno degli esempi e dei risultati più negativi della realpolitik di Palmiro Togliatti dopo la Liberazione. Ministro della Giustizia, lo scelse nel giugno 1944 come collaboratore per gestire la ricostruzione amministrativa dello stato, che questi ben conosce, e membro delle due Commissioni per la riorganizzazione dello Stato e sulla riforma dell’amministrazione, nell’ambito del ministero per la Costituente, contribuendo così direttamente all’amnistia del 1946 che chiudeva nel paese ogni conto col passato fascista e di guerra. Dopo gli anni aspri della guerra civile prevale un senso di ripresa e continuità che finì per basarsi sulle istituzioni e gli assetti sociali del passato.

Di questo parla e sottolinea le aberrazioni lo studio di Antonella Meniconi e Guido Neppi Modona L’epurazione mancata – La magistratura tra fascismo e Repubblica (Il Mulino, pagine 344, 32 euro) notando quanto rapidamente l’Italia abbia cercato di vedere il ventennio come una parentesi storica da chiudere, comprendendo tutto, anche le posizioni più gravi di chi aderì alla Rsi e collaborò con i nazisti. Tanti i nomi, ma per rimanere nelle vicinanze di Azzariti, ecco anche le storie di Giuseppe Lampis e Antonio Manca, attivi con lui al Tribunale della razza e poi diventati membri della Corte Costituzionale, eletti dalla Corte di Cassazione. È la necessità e l’uso comunque di una professionalità e competenza che altrimenti, nella nuova Italia, non era facile trovare per il governo repubblicano, ma che non giustifica appunto gli eccessi e la generalizzazione dell’inaccettabile velo pietoso sul passato. Non si tiene conto delle condotte personali, ma ci si rifà solo al loro ruolo recuperandoli come tecnici, come, nel caso dei magistrati, col loro obbligo di far riferimento alle leggi vigenti, pur con la possibilità di interpretarle.

Tornando a Azzariti, dopo aver svolto tutta la sua carriera sotto il regime (direttore dell’ufficio legislativo del Ministero; consigliere di Corte d’Appello; presidente di sezione della Cassazione) e poi essere riuscito a diventare lui stesso a sorpresa Ministro della giustizia nel primo governo Badoglio dopo il 25 luglio 1943, avrà un posto nevralgico nella costruzione della Repubblica, andando in pensione nel 1951 e venendo poi nominato nel 1956 Giudice costituzionale dal presidente Gronchi e un anno dopo assurdamente nominato, come si è detto, persino presidente della Consulta. Conviene allora ricordare, come ci fanno notare i libri citati, che fu proprio lui il relatore della prima, direi non casuale, sentenza del nuovo organo, entrato in attività nel 1956, appunto la n. 1/56 con cui si affermò la competenza della Corte anche sulle leggi anteriori all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana.

Azzariti, cresciuto e diventato magistrato nel regno dell’Italia tardo liberale dove inizia la sua collaborazione alla costruzione dell’ordinamento giuridico del paese (oltre che segretario per la revisione dei Codici delle colonie), che prosegue nel ventennio fascista e riprende nel periodo della nascita della Repubblica, è dunque l’esempio grottesco di quell’idea ottocentesca, quasi militare, di servitore dello stato, che svolge il proprio lavoro ”tecnico”, a prescindere da qualsiasi circostanza etica, ideologica e politica.

Un’idea che solo per certi versi va a coincidere con l’indipendenza della magistratura (e il suo obbligo di far riferimento alle leggi vigenti) che, specie nel passato, la salvò da un eccesso di politicizzazione. Qui allora è bene ricordare, come fa Boni, le parole di Leone Ginzburg: ”Ritengo che la pura tecnica giuridica, al di là dei valori etico politici, esista solo nei gradini più bassi. Più si sale e meno è possibile che l’atto tecnico rimanga puramente tecnico, non si colori di qualcos’altro”. E a dimostrazione, le prese di posizione pubbliche di Azzariti sono eloquenti arrivando all’aberrazione di ” Oggi l’appartenenza a determinate razze è causa di limitazioni della capacità giuridica”, senza dimenticare la retorica di definire ”l’orgoglio di italiani in questi tempi di fervore e di gloria” grazie alla ”libertà dell’Italia fascista guidata dal suo Duce”. Una vicenda apparentemente paradossale, vergognosa e assurda quindi, eppure paradigmatica dei trasformismi e contraddizioni della nostra storia novecentesca e per questo non da occultare, come si è fatto sino ad oggi, ma da studiare, come hanno fatto finalmente una docente di Storia delle istituzioni politiche come Meniconi, uno studioso e vice presidente emerito della Consulta Neppi Modona e un Consigliere della Corte Costituzionale quale Boni che, con questi loro studi frutto di accurate ricerche documentarie (con, per Boni, la sostanziale parte dedicata a Leggi razziali e Tribunale della Razza). Sono letture che invitano a non dimenticare per far sì che ci si liberi finalmente di certi strascichi del passato ancora vivi, rimettendoli nella giusta prospettiva e contesto, ricordando da dove e come nacquero.

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