Giuseppe Zucco
Ceppo 2022: tre parole-chiave sul racconto /1

Relazione, Potenza, Immaginazione

«Che le relazioni sentimentali abbiano un potere immenso, è una delle cose che ho imparato scrivendo. Il mondo non preesiste alle relazioni sentimentali. Sono le relazioni sentimentali a fare il mondo». La “lecture” che Giuseppe Zucco, vincitore del Premio Ceppo Racconto, ha tenuto a Pistoia

Giuseppe Zucco con il suo I poteri forti (NN Editore) ha vinto il Premio Letterario Internazionale Ceppo dedicato in questa 66° edizione al racconto (www.iltempodelceppo.it), «per aver scritto cinque racconti che catturano sapientemente l’attenzione del lettore, con trame che si muovono tra il reale e il fantastico…» (la motivazione completa: urly.it/3ns98). A Giuseppe Zucco, come agli altri concorrenti al Ceppo 2022, è stato chiesto di scrivere una breve riflessione sul racconto a partire da tre parole chiave da lui stesso individuate. Il 12 giugno lo scrittore sarà invitato a presentare l’opera al Festival Città dei Lettori (diretto da Gabriele Ametrano), introdotto da Paolo Fabrizio Iacuzzi (direttore del Premio Ceppo) e da Luca Ricci (presidente della Giuria Letteraria).

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Relazione
Non ne so nulla dei miei libri fino a quando non li scrivo. Scrivere, per me, è come camminare in una stanza buia, tendendo le mani avanti, completamente ignaro di cosa toccherò e di dove metterò i piedi. Ma l’oscurità che si infittisce intorno a me è sempre rischiarata dalla fede che qualcosa, lungo il cammino, possa accadere, scuotendomi e rendendomi partecipe, nel bene e nel male, di ciò che ancora non conosco. Così, al buio, per amore di avventura e di conoscenza, ho scritto il primo racconto de I poteri forti. Lì ho come fissato le regole del gioco. Da quel momento, avrei scritto altri racconti lunghi, con pochi personaggi, e questi personaggi, un lui e una lei, incontrandosi per fato o per fortuna, avrebbero innescato delle relazioni sentimentali fortissime. Che queste relazioni sentimentali abbiano un potere immenso, è una delle cose che ho imparato scrivendo. A ben guadare, il mondo non preesiste alle relazioni sentimentali. Sono le relazioni sentimentali a fare il mondo. Al pari dei personaggi del mio libro, siamo noi, muovendoci e intrecciando ripetutamente le nostre vite, a far sì che trovino luogo e acquistino senso le stanze, le case, i palazzi, i bar, i ristoranti, le strade, le scuole, gli uffici, i negozi, i parchi, le spiagge, gli ospedali. Come se la realtà si dispiegasse seguendo il vorticare dei nostri desideri. Come se il tempo e lo spazio fossero la conseguenza dei nostri bisogni. Forse non è un caso se anche una certa fisica quantistica, nel tentativo di spiegare il funzionamento generale delle cose, venga definita fisica relazionale. Dentro di noi, intorno a noi, a livello microscopico, nella dimensione dell’infinitamente piccolo, sono le particelle, nel loro continuo sciamare, scontrandosi ripetutamente, a dare luogo alla materia, e quindi al tempo e allo spazio. La realtà dell’universo, così, è determinata non solo dalla probabilità che delle particelle si incontrino, ma dalla inesauribile possibilità che queste particelle, legandosi, intessano una relazione. Probabilmente risiede qui la vertigine che coglie tutti noi quando intrecciamo una relazione sentimentale. Poiché sperimentiamo sulla nostra pelle come funziona il cosmo, percependo, seppure senza saperlo dire, in un continuo rispecchiamento tra la nostra vita e la vita delle particelle, la natura intima dell’universo.

Giuseppe Zucco

Potenza 
A lungo non ho avuto un titolo da assegnare al libro che stavo scrivendo. Solo a metà dell’opera mi sono reso conto che il titolo trovato per un racconto poteva essere anche la porta d’accesso dell’intera raccolta. I poteri forti è arrivato così, improvvisamente, e l’ho accolto con gioia – ma a ben guardare è una strana e ambigua espressione. Nel linguaggio comune designa un’entità che da lontano, in maniera occulta, per fini imperscrutabili, sorveglia e dirige la nostra vita, spingendola in una direzione che quasi mai si accorda al nostro volere. Eppure, a me, da sempre, appare la proiezione esterna di una paura tremenda. Voglio dire, non sarà che questi poteri forti, invece di trovarsi fuori di noi, si trovino dentro di noi? Non sarà che lungo la nostra vita noi facciamo costantemente esperienza di qualcosa che abita e gorgoglia dentro di noi, e che ci condiziona, ci sbatacchia qua e là, ci riconduce lì dove mai vorremmo tornare, terrorizzandoci perfino nei sogni e aprendoci continuamente a esiti impensabili? E cosa sono questi poteri forti, allora? Non saranno per caso le nostre pulsioni, i nostri desideri, i nostri sentimenti di cui abbiamo scarsa coscienza? Messa così, tutti noi siamo proprietari di poteri forti, cioè di una potenza, di un’energia, di una forza che a stento riusciamo a dirigere e con cui, per vivere, dobbiamo scendere a patti. Non siamo noi a disporre di questa potenza. Per molti versi è questa potenza a disporre di noi. Così che, dal primo vagito, siamo una potenza in atto, siamo una possibilità in continua evoluzione, siamo una forza a tratti incontrollabile che produce effetti sul mondo. Va da sé che noi non passiamo la vita in solitudine. La vita è sempre l’arte di incontrare qualcuno sul nostro cammino. E cosa succede quando la nostra potenza in atto incontra un’altra potenza in atto? Seguendo la lezione di Spinoza e Deleuze, succedono due cose di capitale importanza. La gioia o la tristezza. Se ciò che incontriamo sul nostro cammino fa di tutto per svilirci, deriderci, considerarci piccola inutile cosa, ecco che la nostra potenza crolla, e insorge la tristezza, e monta la depressione. Al contrario, se ciò che incontriamo ci ama, ci cura, illumina la nostra strada e riformula il mondo come un luogo in cui niente è dato una volta per tutte, ecco che la nostra potenza si eleva, si espande, moltiplicando la gioia di vivere. Del resto, non c’è niente di meglio della letteratura per restituire la vita come un accordo tra potenze, che in un attimo, ricombinandosi tra loro, possono dar luogo alla tristezza o alla gioia, all’annichilimento del mondo o alla sua completa riapertura. 

Immaginazione
La nostra identità non è data una volta per tutte. Le forme che incasellano la nostra vita, nel momento in cui appaiono più rigide, si sgretolano, lasciando il posto alle nuove. Tutto è instabile, tutto muta, ogni cosa è metamorfosi di se stessa, la vita si riformula costantemente. Dove ora c’è una mano, domani ci sarà una pinna. Dove ora ci sono capelli, domani ci saranno foglioline. Dove ora c’è la pelle, domani ci saranno piume. Mentre il tempo batte le ciglia dei secoli, i dinosauri non si sono estinti, si sono trasformati in oche, gufi e passerotti. Da sempre siamo nipotini di Ovidio, eppure facciamo di tutto per dimenticare questa parentela. Poiché la mutevolezza delle cose può apparire spaventosa, e ognuno, a modo suo, disperatamente, difendendosi come può, costruisce giorno dopo giorno le proprie certezze come piccole gabbie in cui rinchiudersi. Ma se il mondo muta costantemente, se niente è dato una volta per tutte, ciò significa che la vita, la materia, in tutte le forme in cui si dispiega, è immaginazione in atto. Del resto, come altro pensare le piante, gli animali, la terra che abitiamo, e i pianeti, le stelle, i buchi neri, la materia oscura, l’infinita espansione delle galassie, se non come un’immaginazione che aggiorna costantemente se stessa? Come altro pensare la nostra evoluzione di esseri umani, che da piccolissima cellula nel brodo primordiale è cresciuta al punto da fiaccare il mondo con le cannonate, depredando tutte le sue risorse, e dichiarandosi padrone di ogni cosa, se non come un’immaginazione venuta male, poiché tanto altro si poteva immaginare al posto di accumulare bombe atomiche come grano nei granai della morte? Verrebbe da pensare che avesse ragione Anna Maria Ortese quando, in quel bellissimo e poco letto romanzo che è L’Iguana, scrive: «Purtroppo non si tiene conto che il reale è a più strati, e l’intero Creato, quando si è giunti ad analizzare fin l’ultimo strato, non risulta affatto reale, ma pura e profonda immaginazione». Perché di questo siamo parte, di questa pura e profonda immaginazione, in cui la realtà è una delle sue possibili provincie, dove l’avventura non finisce mai e tutto è collegato con tutto e ogni cosa ne richiama un’altra. Che l’immaginazione non sia solo una risorsa della letteratura, ma una risorsa della vita, tra l’altro, lo riscopriamo soprattutto qui, quando le nere pareti di una guerra senza uscita ci accerchiano da ogni lato. Con un verso risplendente, Emily Brontë scrive che l’immaginazione è «speranza più lucente quando speranza dispera». Così che non c’è momento migliore per immaginare porte e vie di fuga mentre la cinta invalicabile di altissime mura sembra ogni giorno di più stringersi e ripiegarsi su di noi.

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