Michela Di Renzo
Una storia di dissimulazioni

Tordelli’s

«"Venite a New York, nel mio locale si mangia bene, facciamo la cucina tipica italiana, anzi toscana; lo sapete come si chiama?”. E con accento americano disse: “Tordelli’s”. “Ma te non ti chiamavi Mari?”»

Nel bar delle Terme c’era un tepore piacevole e rilassante. Anna si aprì la giacca azzurra della tuta di pile chiedendosi se fosse il caso di levarsela e restare in maglietta a mezze maniche. “Meglio non rischiare, in fondo siamo sempre a marzo” concluse dopo aver dato un’occhiata alle finestre enormi. Mentre si accertava che fossero chiuse per bene, fu distratta dal panorama che in quella giornata limpida spaziava dalle piscine calde sottostanti, con le loro nuvolette bianche di vapore, fino alle crete senesi e il loro dolce susseguirsi di curve. “Che vista incantevole, ho fatto proprio bene ad accettare l’invito di Susanna” pensò tornando a guardare l’amica che seduta davanti a lei in accappatoio bianco e infradito le stava raccontando della sua ultima conquista maschile, un architetto di Milano conosciuto in barca alle Egadi. “Non ti dico quante volte mi ha invitato a trascorrere un fine settimana con lui a Madonna di Campiglio dove ha la casa ma io per ora ho sempre rimandato” stava dicendo Susi sorseggiando il suo prosecco. “E come mai non hai accettato? A te piace tanto sciare” replicò Anna soffiando sulla sua tisana al finocchio. “Non lo so, non sono tanto convinta, ha cinque anni meno di me, a volte mi è sembrato un po’ infantile”.  

Quando la sera prima Anna aveva ricevuto dopo mesi di silenzio la telefonata di Susanna non era rimasta sorpresa più di tanto: sapeva bene che l’amica era capace di sparire per diverso tempo poi rifarsi viva all’improvviso parlandole come se si fossero sentite il giorno prima. “Ciao senti domani ho un giorno di ferie, mica avresti voglia di venire alle Terme con me?” le aveva chiesto senza preamboli con quella voce leggermente roca per le molte sigarette che fumava da quando era adolescente. Anna aveva avuto un attimo di incertezza: un cliente aveva appena annullato un appuntamento per il giorno dopo e l’unico impegno del pomeriggio successivo sarebbe stata la spesa settimanale per sua madre che poteva facilmente anticipare. “Ma non farà troppo freddo per fare il bagno?” aveva chiesto timidamente. Per un attimo le si era affacciato alla mente lo spettro di una sinusite o di un’otite che avrebbe potuto infastidirla per settimane. “Ma che dici? L’acqua è bollente. E comunque domani è prevista una giornata primaverile, proprio come oggi, andiamo dai, staremo benissimo” aveva replicato Susanna con quell’entusiasmo che la caratterizzava sin da quando si erano conosciute adolescenti sulla spiaggia del Bagno Balena. “Hai ragione, c’è un bel sole fuori” aveva convenuto Anna scostando le tende della finestra del suo studio. “E poi ho da raccontarti un sacco di cose” aveva insistito Susi. “Va bene, mi hai convinto”. Anna aveva sorriso prima di riattaccare e di chinare di nuovo la testa sulle carte accumulate sulla sua scrivania. “Domani almeno non sentirò parlare di udienze e di tribunali” aveva pensato riprendendo a sfogliare il codice di procedura civile.

Mentre stavano sedute una di fronte all’altra, Anna fissò di nuovo l’amica. “In questi vent’anni è invecchiata proprio bene, anzi non è invecchiata per niente” pensò ammirando i suoi grandi occhi azzurri, dall’espressione languida, la massa di capelli biondi ondulati, il naso diritto, la bocca carnosa con i denti bianchi regolari. Susanna aprì ulteriormente lo scollo dell’accappatoio da dove si intravedeva il seno abbondante. “Che caldo mi mettono queste Terme, ma te come fai a stare tutta coperta?” le chiese. “Io sono sempre stata freddolosa lo sai” rispose Anna. In quel mentre passò accanto a loro un uomo in accappatoio e ciabatte che dopo aver gettato una rapida occhiata verso il tavolino dove erano sedute si fermò accanto a una delle finestre e la aprì appoggiandosi coi gomiti agli infissi in modo da vedere meglio il panorama. Mentre Susanna raccontava con dovizia di particolari della serata trascorsa nella cuccetta della barca con l’architetto dopo una cena a base di polpo appena pescato e champagne, Anna avvertì uno spiffero freddo lungo la schiena e si tirò su la cerniera della tuta. “Speriamo che questo tizio se ne vada alla svelta, altrimenti prendo una polmonite” pensò guardando verso la finestra aperta.

Vedendolo di spalle Anna notò la sua folta chioma striata di biondo e un paio di gambe muscolose e ben tornite che spuntavano da sotto l’accappatoio. L’uomo retrasse i gomiti ma non si spostò finché attirato dalla voce di Susanna guardò verso il tavolino; Anna si girò raggomitolandosi dentro alla tuta e si scaldò le braccia passandoci sopra le mani. Sperava che l’uomo si rendesse conto di quanto la infastidiva quella corrente d’aria ma lui la ignorò completamente, mentre fissò a lungo Susi. “È sempre la stessa storia” pensò Anna “gli uomini notano lei, mica me”.

Era così anche sulla spiaggia di Viareggio: mentre le rispettive madri, vicine di ombrellone, si scambiavano ricette o commentavano il prezzo del pesce al mercato, lei e l’amica sdraiate sul bagnasciuga prendevano il sole; capitava spesso che qualche rappresentante del sesso maschile che passeggiava lungo la spiaggia rallentasse e buttasse là un’occhiata o se era giovane si fermasse per attaccare bottone. Solo quando Anna era da sola tiravano tutti dritto. “Con questo seno appena accennato e il sedere piatto come il mare quando non soffia un alito di vento, chi vuoi che mi noti?” si sfogava con sua madre. Del resto al mare la chiamavano tutti “pesciolino”: era un soprannome che le aveva affibbiato il bagnino perché passava le giornate a nuotare avanti e indietro fino alla boa, ma si confaceva anche al suo fisico senza curve e senza stacco di vita, come quello di una bambina. “È una fortuna sembrare più giovane, invecchierai meglio, a quarant’anni ne dimostrerai trenta” le diceva sua madre per consolarla. “Ma chi se ne frega di quello che succederà quando sarò vecchia” replicava Anna. “Quello che conta è ora, lo vuoi capire o no?”. E comunque le previsioni materne non si erano manco avverate perché Susanna seduta lì davanti a lei mentre si gustava il prosecco facendo tintinnare i tre o quattro braccialetti che le si avvinghiavano intorno al polso era ancora in splendida forma.

All’improvviso una nuvola coprì il sole e la temperatura all’interno del locale si abbassò improvvisamente perché dalla finestra aperta entrò una folata di aria fredda. Persino Susanna smise di parlare, si chiuse per bene l’accappatoio e si girò nella direzione da dove proveniva la corrente incrociando lo sguardo dell’uomo. Un secondo dopo era in piedi e gli andava incontro sfoderando il suo sorriso migliore. “Ma te sei Marco” gli disse e gli gettò le braccia al collo. Lui ricambiò la stretta stringendola in vita. “Ciao carissima, ti avevo visto ma non ero sicuro che fossi proprio te” “Quanto tempo è passato” “Davvero” “Ma lo sai che non sei cambiato per niente?” “Nemmeno te più di tanto” Anna ne approfittò per alzarsi anche lei avvicinandosi a entrambi. “Io chiuderei la finestra scusate” disse timidamente “Ma certo fai pure” le rispose Marco e la guardò in faccia. Anna notò che era meno giovane di quanto le era sembrato vedendolo di spalle perché aveva il viso segnato, soprattutto intorno agli occhi che erano sormontati da due sopracciglia folte e nere come la pece che quasi si toccavano alla radice del naso. “Che contrasto con i capelli biondi”, pensò mentre girava con forza la maniglia della finestra, “l’unica spiegazione possibile è che se li tinga”. “Marco vuoi accomodarti qui con noi?” chiese Susi allentandosi di nuovo l’accappatoio. “Volentieri” rispose lui gettando un’occhiata al suo scollo. Anna notò che aveva un bel fisico asciutto. Susanna li presentò: “Lei è una mia carissima amica nonché un avvocato di successo” Anna che si era appoggiata bella rilassata allo schienale della sedia, ora che la temperatura era diventata di nuovo gradevole si rimise subito dritta: “Susi non esageriamo” precisò con un tono di rimprovero: detestava essere presentata così agli uomini perché aveva l’impressione che venissero subito intimoriti. “Ma se sei stata la migliore del tuo corso di laurea?” ribatté Susanna. Marco la fissò incuriosito e sollevò le sopracciglia. “Complimenti” disse. “E lui lo sai chi è?” proseguì Susi “È un amico del mio primo fidanzato Andrea, quello di cui ti ho parlato spesso, te lo ricordi vero?”. “Come no” fece Anna e le vennero in mente tutte le volte in cui Susi le aveva raccontato di Andrea, il suo primo ragazzo, di qualche anno più grande di lei, che la tempestava di telefonate e si presentava davanti casa sua a tutte le ore del giorno e della notte. “La mia mamma quando lo vede dalla finestra dice: ‘Rieccolo’ e scuote leggermente la testa. Però sotto sotto gli piace perché viene da una delle famiglie più ricche del paese”.

La storia, tra tira e molla, era durata un paio di anni finché Susi con grande disappunto della mamma non lo aveva lasciato per mettersi con un altro, uno che aveva conosciuto a Scienze Politiche. “A dire il vero, io Andrea non l’ho mai incontrato di persona, ma ne ho sentito tanto parlare” disse Anna. “Non ti sei persa un granché” fece Marco. “Non dire così dai” intervenne Susi sollevando le spalle “era un tipo particolare, come dire… il classico intellettuale”. Anna si ricordava bene che studiava Lettere e sognava di fare lo scrittore; a Susanna aveva dedicato anche qualche poesia. “Mah… ora per campare si è messo a fare il vino, tant’è che alla sua cantina ci rifornisco il mio ristorante, anzi ci vado proprio stasera ad ordinarlo” fece lui. “Ma te hai un locale da queste parti?” gli chiese Susi. “Io ho un ristorante italiano a New York dove vivo da dieci anni” “A New York? Ci sono stata nell’estate del 2018 con il mio fidanzato di allora. Abbiamo trascorso dieci giorni da sogno, anche se al ritorno ci siamo lasciati” “Mi pare di capire che non ti sei ancora sposata” “Ancora no, sono una single impenitente. E te?” disse Susi sbattendo le lunghe ciglia. “Io invece mi sto separando. Dopo nove anni di matrimonio”. Marco fece una pausa guardando verso la finestra. Poi proseguì: “Ma cambiamo argomento ché è meglio. Perché non vieni a trovarmi in America, anzi perché non porti anche la tua amica?” Marco rivolse uno sguardo seducente a Anna che arrossendo rispose timidamente: “Perché no?” “Ma sì dai Anna andiamoci per Pasqua”. “Nel mio locale poi si mangia bene, facciamo la cucina tipica italiana, anzi toscana; lo sapete come si chiama?” e con accento americano disse: “Tordelli’s”. “Ma te non ti chiamavi Mari?” chiese Susi perplessa. Anna intervenne: “Ma sarà riferito ai tordelli che si mangiano dalle nostre parti, non è mica un cognome” e scoppiò a ridere. “Preciso” ribadì Marco e sorrise anche lui annuendo verso di lei con complicità. Anna notò che aveva un bel sorriso, aperto, e la fossetta sul mento, un particolare che sulla faccia degli uomini le era sempre piaciuto. “Anche il contrasto tra il capello biondo e le sopracciglia non è poi così male” pensò. Ridendo le era preso un gran caldo e si levò la giacca di pile della tuta. “Tra l’altro mi ricordo di quella volta che ci invitasti a cena a casa tua a me e Andrea e li cucinò tua madre. Li faceva benissimo i tordelli” disse Marco rivolgendosi a Susi. “Lo confermo anche io” ribadì Anna che li aveva mangiati anche lei ospite a casa di Susanna: “Sua mamma era ed è tuttora un’ottima cuoca” “Allora dovete assolutamente venire a New York e fare il confronto con i miei”, Marco si soffermò con lo sguardo soprattutto su Anna, ed in particolare sul suo seno da adolescente che sporgeva appena sotto la maglietta. Anna abbassò gli occhi lusingata. “Un viaggio in America sarebbe proprio una bella boccata di ossigeno dopo questi mesi di lavoro” pensò e “e questo Marco non è niente male”.

In quel mentre si avvicinò alle spalle di Susanna un signore di mezza età, calvo e con una bella pancetta: indossava una tuta rossa fuoco con la riga bianca ai lati, un paio di scarpe da ginnastica e aveva sulla spalla destra un borsone. “Ecco dov’eri finito” disse rivolgendosi a Marco. “Lui è Gianni, il mio socio, un altro toscano come me” fece Marco alzandosi in piedi. Gianni proseguì: “Hi girls” guardando Susi e il suo scollo procace “scusate se ve lo rubo ma noi dobbiamo andare, abbiamo un appuntamento di lavoro e siamo già in ritardo.” Anna provò un’antipatia istintiva verso di lui e quella orrenda tuta in acetato. Marco si alzò ma non prima di aver detto ad entrambe: “Allora vi aspetto nella grande mela. Voi ci siete su facebook?” “Ma certo” rispose Susi che ogni giorno postava qualche foto. “E te?” chiese ad Anna. “Io no” rispose lei. “Allora potrei darti il mio numero di cellulare, così prima che parta ci sentiamo.” “Accidenti, è rimasto entusiasta” pensò Anna. “Non ho il telefono dietro purtroppo” fu costretta a rispondere: per non essere disturbata dai clienti mentre si stava rilassando alla Terme lo aveva lasciato nell’armadietto dello spogliatoio. “Lo memorizzo io” intervenne a quel punto Susi tirando fuori dalla tasca dell’accappatoio il cellulare da cui non si separava mai. Marco dettò rapidamente a Susanna il suo numero continuando a fissare Anna. Durante i saluti il socio disse un rapido “Bye”, mentre Marco le abbracciò e le baciò entrambe prima di andarsene. “A proposito salutami Andrea” fece Susanna prima che i due uomini uscissero dal bar. “Di sicuro, tanto tra poco lo vedo” rispose lui.

“È simpatico questo tipo, e fisicamente non è per niente male” disse Anna appena se ne fu andato. “È sempre stato socievole, ce lo vedo proprio a intrattenere gli ospiti nel suo ristorante. E, sbaglio o gli sei piaciuta?” “Ma no” si schermì Anna. “Guarda che io lo chiamo e a New York ci andiamo davvero. Sai che? Lo cerco domani e magari prima che parta ci rivediamo” “Susi fammici pensare” “Ma che pensare e pensare? Organizzo io una cena. Da quando ti sei lasciata con Davide non fai altro che lavorare.” “Hai ragione ma…ma sì dai domani chiamalo” disse Anna ripensando al suo bel sorriso. “A meno che…quanto ci scommetti che mi telefona quando sono da Andrea? Gli parlerà di me e lui sarà curioso di rivedermi dopo tutti questi anni. E chissà…a volte ritornano” disse Susi enfatizzando l’ultima frase. “Quindi l’avvocato di Milano è già archiviato mi pare” Anna ridacchiò. “Chissà. Intanto andiamo a farci una bella doccia. Poi vediamo se c’ho indovinato” “Susi, io la doccia preferisco farmela a casa dove ho tutte le mie comodità” “Io no. Mica ti scoccia aspettarmi?” “Nemmeno per sogno. Intanto vado alla reception a prendere quella brochure sui trattamenti estetici. La prossima volta che torniamo alle Terme potrei farmi fare un massaggio.” “A tra poco allora.”

Prima di uscire dal bar Anna si fermò a guardare fuori dalla finestra nello stesso punto in cui si era fermato Marco: si era alzato un po’ di vento e delle nuvole si rincorrevano nel cielo proiettando le loro ombre mobili lungo le crete. “Che posto incantevole è questo. Ed è stato proprio un pomeriggio piacevole” pensò ripensando all’amico di Susi e al modo in cui l’aveva guardata. “New York deve essere un posto molto romantico” e si immaginò mentre camminava insieme a lui a Central Park, un’immagine che aveva visto più volte al cinema.

Aveva appena svoltato la curva del corridoio che si apriva nell’atrio quando lo riconobbe in fila insieme al suo socio per riconsegnare la chiave degli armadietti. Erano davanti al bancone ma le davano le spalle e c’erano alcune persone tra lei e loro. Sentì il socio chiedere a voce alta: “Ma come mai quella rizzacazzi con quelle big boobies ti ha detto di salutare Andrea?” Anna arretrò istintivamente di mezzo passo in modo da nascondersi dietro a un uomo robusto davanti a lei: in questo modo era improbabile che loro la vedessero mentre lei riusciva a sentire le loro voci. Marco rispose: “Perché c’è stato un periodo, anni fa, che Andrea se l’è ripassata. E lei c’aveva perso il capo. La sua mamma sperava che la sposasse perché lui stava bene a quei tempi, prima che la ditta di suo padre fallisse. Tra i soldi e la storia delle poesie allora ne intortava parecchie” “Hai fatto bene a invitarla a New York. Ci potrebbe scappare una good fuck. Speriamo non si porti dietro la sua amica che sembra uscita ora dalle scuole elementari. La guardavo mentre la salutavi, è piatta sia davanti che dietro come una sogliola. Come mai ci facevi il cretino?” “Perché quello sgorbio è un avvocato e mi potrebbe dare una mano per la mia separazione, lo sai che la mia ex mi vuole spennare”. Anna sentì una vampata di calore salirle al viso. In un millisecondo si girò e tornò verso il bar a passi celeri. Quando entrò nel locale era tutta sudata e le tremavano le mani dalla rabbia. Si mise seduta al solito tavolino di prima. “Che razza di cafoni quei due a parlare così di me e di Susi” pensò “Col cavolo che mi rivedono quel Marco e i suoi capelli color della stoppa”.  Il sudore nel frattempo le si era freddato lungo la schiena; si rimise la tuta tirando su la cerniera fino in cima e per scaldarsi ordinò un cappuccino. Mentre aspettava guardò di nuovo fuori dalla finestra: le nuvole erano aumentate coprendo del tutto il sole e tra il cielo grigio scuro, le spirali di fumo e le crete grigie sullo sfondo il panorama sembrava lunare, tanto da trasmettere un senso di angoscia. “Però io la storia con Andrea la sapevo diversa” rifletté. Quando si chinò verso la tazza sul tavolino davanti a lei si accorse che la schiuma del cappuccino si era tutta sgonfiata trasformandolo in un beverone marroncino. Anna si sforzò di berlo ma dopo una sorsata fu costretta a smettere. In quel momento arrivò Susi e guardò schifata la tazza. “Ma cosa hai ordinato?” “Un cappuccino venuto male” Anna notò che l’amica si era truccata un po’ troppo: la riga spessa di eyeliner nero sugli occhi le appesantiva le palpebre superiori e il rossetto rosa confetto evidenziava alcune rughette agli angoli della bocca. “È cambiata anche lei dai tempi del Bagno Balena” pensò. “Allora sei pronta per New York?” le chiese Susanna aggiustandosi sulle spalle il cappotto che era fatto di un tessuto leopardato giallo e nero rifinito da un collo di volpe argentata degli stessi colori. “Ma che New York e New York, New York è lontana, lasciamola perdere. E poi ci ripensavo. Quel Marco non mi piace mica tanto sai, secondo me si tinge i capelli, sono troppo chiari rispetto alle sopracciglia nere come la pece” “Anna ma stai sempre a guardare il pelo nell’uovo. Lo facevi anche quando eravamo più giovani, figuriamoci ora” “Davvero te mi conosci bene, da una vita” replicò Anna sospirando. “Proprio per questo ti dico che non puoi continuare a vivere di ricordi a trentacinque anni” disse Susi.

Alla parola ricordi Anna avvertì una fitta al cuore: lei e Davide, il suo ex, si erano conosciuti all’università e dopo anni di fidanzamento si erano lasciati perché si volevano bene come fratello e sorella; ma quello che c’era stato prima era così prezioso che lei non lo aveva mai raccontato a nessuno. Susi la guardò stupita mentre ad Anna si inumidivano gli occhi. “Mica ti sarai offesa?” “Ma no, di te non mi offendo di niente” disse Anna sbattendo le palpebre. “Comunque anche senza andare in America ci sono tante altre cose da fare” disse Susanna prendendola a braccetto e dirigendosi verso la reception per riconsegnare le chiavi degli armadietti. Lungo il corridoio iniziò a starnutire. Anna si fermò a guardarla “Guardiamo se hai preso freddo con quell’accappatoio addosso bagnato e tutto aperto per fare la spiritosa” “Non penso proprio e comunque in un giorno mi passa” replicò Susi asciugandosi il naso che le colava. Anna ebbe un moto improvviso di affetto verso l’amica e le si avvicinò abbottonandole stretto il collo di volpe. “Chiuditi questo cappotto leopardato prima di uscire, il tempo è cambiato. È bello ma leggerino”. Poi si sigillò fino in cima il suo giaccone pesante e tirò fuori dalla borsa il cappello di lana calcandoselo bene in testa. Era una specie di basco blu cobalto che valorizzava la sua pelle chiara. Si guardò un attimo allo specchio a parete davanti all’uscita e vide una ragazzina dal volto minuto, triangolare, che i nuovi clienti entrando nello studio scambiavano spesso per una praticante perché sembrava molto più giovane. Ripensò al suo ex, Davide, che nell’intimità stringendola forte a sé la diceva “quanto bene ti voglio pesciolino”. E sorrise.

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