Michela Di Renzo
Un racconto inedito

Un giorno perfetto

«Durante il rinfresco la temperatura sotto il pergolato per fortuna si rivelò tollerabile: mentre sua sorella Livia rideva e scherzava con Davide, Anna ogni tanto si alzava e andava a controllare che ai tavoli degli ospiti non mancasse niente...»

Anna si affacciò al balcone e guardò in alto, verso il cielo, dove alcuni nuvoloni grigi si stavano addensando minacciosamente. “Mi sa che stavolta le previsioni del tempo ci hanno azzeccato” pensò. “Probabilmente dopo la cerimonia inizierà a piovere”. Del resto la giornata era eccezionalmente calda per essere una domenica di metà maggio, con temperature simili a quelle estive e un discreto grado di umidità. “Ho fatto bene a insistere per apparecchiare sotto il pergolato e non nel prato come voleva Livia. Speriamo almeno che il detto “sposa bagnata sposa fortunata sia vero” si disse e rientrò dentro la stanza, avvicinandosi a sua sorella che si metteva di profilo per l’ennesima volta davanti allo specchio con indosso il vestito di sangallo bianco. “Paola, mi sembra che il tondo ancora non sia perfetto ma che rizzi leggermente da questo lato” affermò Anna indicando il fianco destro della gonna. La sarta, piegata sulle ginocchia con ago e filo in mano sospirò. “Cara guardalo meglio, a me ora sembra che non faccia nessun difetto ma che sia lungo uguale da entrambe le parti” “Dice?” “Se tua sorella unisse i piedi anziché tenere un ginocchio piegato lo vedresti anche te” sbuffò Paola alzandosi in piedi. “Livia che dici?”. “A me sembrava che andasse bene anche prima ma non sono mai stata una perfezionista come te”.

La sposa sollevò la gonna lunga fino ai piedi, avvicinò le gambe magre una accanto all’altra e abbassò di nuovo il vestito. “Così va meglio?” Anna fece scorrere il suo sguardo lungo il bordo per qualche secondo e poi sentenziò: “Ora ci siamo”. “Grazie a Dio” mormorò la sarta. “Allora possiamo andare” disse Livia entusiasta. “Aspetta, lascia che ti dia un’ultima occhiata prima di uscire” fece Anna avvicinandosi allo specchio dove vide riflessa l’immagine di una ragazza poco più che ventenne fasciata in un abito da sposa aderente che ne sottolineava il vitino di vespa. Un velo di tulle bianco scendeva dai capelli raccolti in uno chignon fino alle spalle facendo da cornice a un viso dall’ovale perfetto col nasino alla francese e la bocca a forma di cuore. “Sei bellissima” disse sospirando. “Grazie” rispose Livia e precipitandosi fuori della porta aggiunse: “Sbrighiamoci, siamo già in ritardo di più di mezz’ora”.

Lo specchio rimandò ad Anna l’immagine di una donna di costituzione robusta, col volto squadrato, su cui spiccava un naso a patata. Dal tailleur glicine che però calzava a pennello spuntavano un paio di polpacci muscolosi. “Avrei dovuto vestirmi di blu anziché dare retta a mia sorella, sarei stata lugubre è vero ma almeno mi avrebbe snellito” pensò storcendo le labbra sottili “Ma ormai è andata così”. Si aggiustò i pendenti di perle che tendevano ad allentarsi, li sistemò in modo che fossero perfettamente simmetrici, prese la borsa e uscì.

Durante il tragitto in macchina verso la chiesa il cielo si era completamente coperto e si era alzato un vento da acqua che faceva oscillare le cime dei cipressi lungo la strada che portava alla pieve romanica. Quando si fermarono davanti al sagrato Davide si stava aggiustando con la mano destra i capelli che si erano scompigliati. Anna riconobbe uno dei suoi gesti abituali e sorrise; sapeva da Livia che la cura di quella chioma folta che gli arrivava fino alla base del collo rappresentava per lui una vera e propria ossessione tanto che aveva litigato con più di un barbiere per via di un taglio sbagliato. Quei capelli lisci, di un castano scuro, come il grano quando è maturo, erano stati anche la prima cosa che aveva attirato l’attenzione di Anna quando una mattina entrando in corsia aveva visto un medico chino su una cartella a copiare gli esami di laboratorio.

“Ciao, io sono lo specializzando di Cardiologia che è venuto qui a fare il tronco comune” si era presentato Davide alzandosi in piedi. Non era molto alto, ma aveva un bel fisico, ben proporzionato. “Che ragazzo educato” aveva commentato Anna dentro di sé allungando immediatamente la mano destra verso di lui. Anche il volto le era piaciuto, con gli occhi marroni dal taglio allungato, il naso diritto e un sorriso franco, cordiale. Quando un giorno, poi, il primario durante la visita aveva chiesto: “Chi di voi ragazzi sa leggere questo elettrocardiogramma?”, e al contrario di Anna che detestava interpretare quei graffiti e si era nascosta dietro un collega, Davide si era fatto avanti dicendo: “Questo professore è un raro caso di sindrome di Brugada”, lei aveva concluso che era anche un ragazzo in gamba e se ne era definitivamente innamorata. Davide sembrava ricambiare la sua simpatia, anche se ci aveva messo dei mesi prima di invitarla ad uscire.

Peccato che quella sera passando a prenderla a casa avesse incrociato sul pianerottolo Livia che stava rientrando dall’università e ci si fosse messo a parlare. Tra i due era scoppiato il colpo di fulmine e per Anna era finita prima ancora di cominciare. “Forse se gli avessi dato appuntamento in cima a Vallerozzi ora ci sarei io al posto suo” pensò aggiustandosi di nuovo gli orecchini prima di aprire lo sportello della macchina.

Livia scese sorridendo, del tutto incurante del vento che le sollevava il velo; Anna le andò rapidamente dietro e glielo sistemò di nuovo sulle spalle. “Ci mancava questo scirocco proprio ora. Tienilo fermo con una mano fintanto che non entri in chiesa o le foto verranno male” le disse. Poi, a braccetto di suo padre, iniziò a salire i gradini che portavano all’ingresso della pieve mentre Davide andava incontro alla sua futura moglie. I due sposi avevano deciso che sarebbero entrati insieme mano nella mano e non con i rispettivi genitori. “Così sentirò meno la mancanza di mamma” aveva detto Livia e Anna aveva annuito. “Ma che avete fatto finora? È tardissimo” sentì lui borbottare e lei rispondere: “Lo sai come è fatta, doveva controllare fino all’ultimo che il vestito fosse perfetto”. Anna si fermò un attimo, si girò e lo redarguì: “Falla poco lunga, hai tutta la vita per starle accanto. Piuttosto appuntati per bene quel fiore all’occhiello perché ti pende da una parte”. Poi accelerò il passo e varcò la soglia della chiesa.

La navata centrale era costeggiata su entrambi i lati da due vialetti simmetrici di rose bianche e rosa mentre dei bouquet di roselline dello stesso colore adorni di fiocchi bianchi erano appoggiati sulle estremità delle panche. Il padre di Anna dopo essersi messo seduto si guardò intorno compiaciuto. “Bello questo addobbo. Si confà perfettamente alle piccole dimensioni della chiesa. Hai fatto un ottimo lavoro” disse poggiando la mano su quella della figlia. “Abbiamo scelto il fioraio migliore di Siena, lo sai. E sono sicura che non ti deluderà nemmeno il rinfresco” “L’hai sostituita nel migliore dei modi. Del resto sono anni che lo fai” “Ho cercato di aiutare Livia nel modo in cui lo avrebbe fatto lei” rispose Anna “Oggi con i suoi orecchini le assomigli ancora più del solito”.

Non era vero, perché era sua sorella quella che aveva ereditato la bellezza e il carattere docile della madre, mentre Anna aveva il fisico squadrato e il naso di suo padre ma non quello era il momento giusto per replicare. Quando vide che gli occhi del babbo si stavano riempendo di lacrime, Anna, con l’intento di fargli una carezza, fece finta di controllare che la rosellina bianca identica a quella dello sposo che aveva all’occhiello della giacca fosse attaccata bene, anche se sapeva già che era a posto perché suo padre era un uomo preciso come lei: non a caso si alzarono entrambi in piedi in perfetta sincronia nel momento in cui l’organo iniziò a suonare e gli sposi entrarono in chiesa.

Quando uscirono dalla pieve dopo la funzione, il vento aveva spazzato via tutte le nuvole e splendeva un sole accecante per cui la temperatura era aumentata ulteriormente. Anna si ritrovò in un batter d’occhio sudata fradicia e avvertì una leggera vertigine. Vedendo sua sorella col volto radioso salire in macchina con Davide non solo non ebbe la prontezza di aggiustarle il vestito che per poco non restò impigliato nello sportello dell’auto ma fu addirittura costretta ad appoggiarsi a una parente per non cadere. “Scusami tanto ma questo caldo eccessivo mi abbassa la pressione” si giustificò asciugandosi il sudore dalla fronte col fazzoletto ricamato a mano che aveva messo in borsa quella mattina.

Durante il rinfresco la temperatura sotto il pergolato per fortuna si rivelò tollerabile: mentre sua sorella Livia rideva e scherzava con Davide, Anna ogni tanto si alzava e andava a controllare che ai tavoli degli ospiti non mancasse niente; con sua grande soddisfazione ricevette solo commenti entusiasti, sia sull’apparecchiatura raffinata, che sulle pietanze che venivano servite, che a detta di tutti erano una meglio dell’altra. “È valsa la pena alzarmi presto stamattina per venire a dare un’ultima occhiata a come avevano sistemato i tavoli. E anche discutere a lungo il menù con il cuoco” pensò. L’unica nota stonata fu la zia di sua madre, una ottantenne con un dozzinale vestito rosa confetto che la faceva sembrare ancora più grassa. L’anziana signora scuotendo il suo volto pieno di rughe e il doppio mento cascante le disse: “Ma non ti dovevi sposare prima tu a regola?”. Anna si morse le labbra per non replicare subito, si aggiustò i pendenti di perle che erano stati di sua madre e cercò di immaginare come avrebbe replicato lei. Sforzandosi di sorridere disse: “Zia, ma noi non siamo mica la famiglia reale d’Inghilterra che deve seguire queste regole” e passò rapidamente al tavolo successivo.

A metà pomeriggio quando il rinfresco era ormai arrivato al caffè e la torta a cinque strati era già stata tagliata, gli amici di Davide tirarono fuori le chitarre e l’atmosfera si fece meno formale. Appena sentì strimpellare la prima canzone Anna, approfittando del fatto che suo padre aveva trovato da parlare di politica con un lontano parente, si unì finalmente al gruppo dei giovani. Cantare le era sempre piaciuto perché aveva una voce da soprano e un ottimo orecchio musicale. “Finalmente mi rilasso” pensò.

Ad un certo punto le prese caldo e si tolse la giacca del tailleur restando con la blusa di seta senza maniche, che nonostante le calzasse morbidamente non riusciva a nascondere il suo seno abbondante. Vuoi quello, vuoi l’espressione del volto che le cambiava diventando sognante mentre intonava canzoni d’amore, notò che diversi amici di Davide le rivolgevano degli sguardi che tradivano sorpresa e ammirazione. Un compagno di specializzazione di Davide in particolare la fissava con uno strano luccichio negli occhi, e ogni tanto indicandola con la testa parlottava con gli altri che gli rispondevano ridacchiando. Persino lo sposo, incurante di Livia seduta al suo fianco, sembrava fissarla come se la vedesse per la prima volta in una luce diversa. “Se alle cene di reparto ci fossimo messi a cantare ora chissà” pensò Anna. “Ma che mi viene in mente?” si disse subito dopo. “A questo tavolo abbiamo bevuto troppo vino” concluse dopo aver contato almeno una decina di bottiglie vuote davanti a sé. Terminata la canzone si alzò e si allontanò. “Dove vai?” le chiese sua sorella. “Torno subito, vado un attimo in bagno”.

Se lo trovò davanti mentre usciva dalla porta. Gli stava dicendo: “Mi pare sia andato tutto bene” quando si sentì prendere per le braccia e spingere dentro. Davide chiuse la porta, girò la chiave e subito dopo iniziò a baciarla. Anna rimase immobile mentre sentiva le sue mani che le sollevavano la gonna e cercavano di abbassarle le mutande. Mentre lui mugugnava: “Che bella voce ha la mia cognatina, chi lo avrebbe mai detto” e le sue labbra le mordicchiavano il collo, Anna affondò istintivamente le mani nella sua folta chioma, un gesto che desiderava compiere dal momento in cui lo aveva conosciuto ma che non si era mai potuta permettere e dal desiderio del corpo di lui sentì contrarsi i muscoli del basso ventre. All’improvviso si vide davanti il volto di sua sorella quando a dieci anni subito dopo il funerale della mamma le aveva buttato le braccia al collo gridando: “Ti occuperai te di me vero?”. Quel giorno Anna si era ritrovata improvvisamente grande e solo allora aveva smesso di detestare quella mocciosa graziosa ma senza personalità che era stata la prediletta dai genitori. Con una spinta allontanò Davide. “Ma che… che cavolo stiamo facendo?” gli disse. Lui rimase immobile, come stordito, e abbassando la testa mormorò: “Scusami”. Anna approfittò di quel momento di incertezza per aprire alla svelta la porta e spingerlo fuori. “Vattene” gli mormorò e si chiuse dentro.  

Si mise seduta sulla tavoletta del water con la testa tra le mani. “Pensa te che cretino, e io che ci ero quasi cascata” continuò a ripetere a bassa voce per una decina di volte mentre la contrattura al basso ventre si attenuava e lasciava il posto al disgusto per lui ma anche per se stessa e per quello che aveva provato mentre la baciava. Sotto alla finestra del bagno sentì la voce di suo padre che stava chiedendo in giro: “Avete visto Anna?”. La aprì, si affacciò e disse: “Sono qui, arrivo”. Alzando lo sguardo vide sua sorella che cercava di volteggiare sul prato, col volto raggiante di felicità, abbracciata a suo marito mentre teneva il vestito sollevato per un lembo in modo da fargli fare la ruota. Le chitarre stavano suonando un valzer e Davide nel tentativo di seguire il ritmo di lei saltellava qua e là e a volte sembrava quasi strattonarla.

Ad Anna si strinse il cuore. “Speriamo che non sia troppo infelice con lui”. Poi si ricompose rapidamente davanti allo specchio e scese di sotto. Doveva avere una strana espressione sul volto perché quando suo padre la vide venirgli incontro le chiese subito: “Va tutto bene?” “Certo” “Sicura?” insisté lui. “Sono dovuta correre in bagno, mi ha fatto male qualcosa che ho mangiato” mentì abbassando la voce. “Ma ora va meglio?” chiese lui preoccupato. “Certo, ora è tutto passato”. “Ma…hai perso un orecchino” proseguì lui dopo una breve pausa. “Cosa?” “Non hai più uno degli orecchini” Anna si toccò entrambi i lobi delle orecchie e constatò che aveva perso uno dei pendenti. “Oddio quelli della mamma” fece Anna mettendosi la mano davanti alla bocca e subito dopo pensò: “Si deve essere staccato quando Davide mi ha abbracciata; da quanto ero stravolta dopo non me ne sono manco accorta” “Hanno sempre avuto la chiusura difettosa, ma sono sicura che lo avevo prima di entrare in bagno” le scappò detto e aggiunse: “Torno sopra a cercarlo”. “Strano” commentò suo padre “non è da te perdere qualcosa”. Anna corse in bagno e si mise a rovistare per terra ma dell’orecchino non c’era traccia. Aprì la finestra e guardò per scrupolo sul davanzale ma non trovò niente. Perlustrò anche gli scalini che dal bagno scendevano al piano terra ma del pendente non c’era traccia. Tornò indietro con la delusione dipinta sul volto. “Non l’ho trovato, quanto mi dispiace” “Ma in bagno lo avresti sentito cadere. Forse lo hai perso durante il pranzo, andiamo a guardare sotto il tavolo” “Può darsi ma… senti babbo, non voglio rovinare la festa di Livia, facciamo finta di niente, mi levo anche l’altro, guarda” disse Anna sfilandosi dal lobo dell’orecchio la perla rimasta appesa. Suo padre la guardò perplesso, poi disse: “Forse hai ragione, è meglio non rovinare la festa” e non insisté ulteriormente.

A distanza di tempo Anna si sarebbe chiesta se avesse intuito qualcosa per comportarsi così: magari aveva incrociato Davide che scendeva dalle scale trafelato oppure aveva letto qualcosa sul volto di sua figlia, perché di quei pendenti nessuno dei due fece più menzione da allora. Quando dopo qualche anno il matrimonio di Livia naufragò tristemente, suo padre si limitò ad accoglierla di nuovo per un paio di mesi in casa prima che trovasse un’altra sistemazione dicendole semplicemente: “Io per le mie figlie ci sarò sempre” senza nemmeno chiedere una spiegazione. Mentre Anna, che dalle malelingue dell’ospedale apprendeva tutte le scappatelle del cognato senza farne mai parola con nessuno, qualche volta si chiedeva se Davide si fosse liberato o no di quella perla che doveva essergli finita in una tasca dei pantaloni o addirittura nelle mutande e che faccia avrebbe fatto in caso contrario sua sorella se un giorno l’avesse trovato per sbaglio in fondo a qualche cassetto.

Ricordava bene quando dopo aver controllato tutte le mosse di Davide per il resto della serata lo aveva finalmente visto dirigersi da solo alla toilette e gli era corsa dietro per le scale. “Senti” gli aveva detto prendendolo delicatamente per un braccio e costringendolo a fermarsi. “Mica per caso prima in bagno…”. Lui non l’aveva fatta proseguire, si era liberato dalla sua stretta, aveva salito di corsa gli ultimi gradini e si era chiuso la porta del bagno alle spalle. Anna aveva bussato un paio di volte finché non aveva visto avvicinarsi la zia della madre, col suo terribile vestito rosa. “Ho visto che bussi, è occupato da tanto?” “Sì ma accomodati pure zia io posso aspettare, entra te quando aprono”. Anna era andata di nuovo al piano di sotto e si era fermata in fondo alle scale. Davide uscendo l’aveva vista e per prendere tempo si era messo a parlare con l’anziana signora che però lo aveva liquidato rapidamente dicendo: “C’è qualcun altro che aspetta”. A quel punto era stato costretto a scendere assumendo un’aria indifferente. Quando era arrivato al penultimo scalino Anna gli si era piazzata davanti in modo che non scappasse. “Prima ho perso un orecchino in bagno” “Mi dispiace ma non l’ho notato per terra” “Non è che per caso ti è finito in una tasca dei pantaloni o dentro la camicia?” “A me?”. Davide aveva sfoderato il suo bel sorriso. “Erano di mia madre, ci tenevo parecchio, potresti controllare?” “Sei stanca Anna, è stata una giornata impegnativa” aveva replicato scuotendo la testa e scansandola si era allontanato per tornare in giardino. Anna aveva sentito di odiarlo; mentre avrebbe potuto dimenticare il suo gesto nel bagno dettato dal vino o da una bravata maschile, non gli avrebbe mai perdonato di non essersi frugato addosso per pochi secondi alla ricerca del pendente.

A fine serata Livia l’aveva salutata prima che tornasse a casa dicendole: “Oggi grazie a te, sorella mia, è stato tutto perfetto”. Subito dopo abbracciandola stretta aveva aggiunto: “Ma dove sono finiti gli orecchini di mamma?” e Anna senza fare una piega aveva replicato: “Me li sono tolti perché dopo tutte queste ore mi facevano male, sono pesanti da portare”. Salendo in macchina aveva provato all’improvviso una grande stanchezza. Durante il tragitto il cielo si era coperto ed era iniziato a piovere, una pioggia torrenziale, come quella degli acquazzoni estivi, che lavava via la polvere dalla strada e ripuliva l’aria. Mentre suo padre che guidava stava rallentando di fronte a una curva, Anna aveva aperto il finestrino e inalando quella frescura aveva detto: “Finalmente si respira”. E ripensando alle parole che aveva pronunciato sua sorella si era detta: “Anche se non è cominciata bene, in qualche modo se la caverà. E chissà se la perfezione da qualche parte esiste davvero”.


Accanto al titolo: Marc Chagall, Compleanno, 1915

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