Roberto Mussapi
Every beat of my life

La fucina di Heaney

Luzi, Bonnefoy e l’autore irlandese in un libro di Roberto Mussapi. Che nei versi tratti da “Una porta sul buio”, dove si narra di un fabbro-poeta intento a forgiare la materia, legge una moderna discesa agli inferi che è «discesa all'origine della vita e… accesso alla forza radiante degli elementi»

È uscito un mio libro di saggi, Compassione e mistero. Heaney, Luzi, Bonnefoy, il sottotitolo, che indica i tre poeti a cui è dedicato. È curato da Silvia Granata, un caso non frequente di curatore vero che ausculta il respiro del libro e lo aiuta a farsi leggere, cioè a trovare la sua strada nel mondo, appena nato. Sfogliando il volume, pubblicato dall’eccellente editore siciliano Algra, che è poi l’amico Alfio Grasso, nella collana di saggistica diretta dal poeta Emilio Zucchi, ripercorro voci, colori, parole dei tre poeti.
Una porta sul buio, uno dei libri di Heaney che ho curato e tradotto, apre un nuovo, moderno viaggio agli inferi: non vuoto, un buio generante, di fuoco. In questa poesia, La fucina, la figura del fabbro, fisicamente identica a tutti i fabbri che ho visto e conosciuto  davvero, neri, caliginosi, peli, mani fortissime e occhi come abituati ai bagliori di fiamma, è quella del custode della soglia tra due regni. Questo fabbro di un villaggio d’Irlanda, identico a quelli che ho conosciuto, ormai in pensione, è il mio antenato: il fabbro è mitologicamente il poeta che con il fuoco fonde e forgia il metallo, conferisce forma al minerale duro informe. Con il fuoco e con le sue mani.
Una porta sul buio. Chi appariva dietro quella porta? Un cavallo morto, un uomo che impagliava i tetti, poi, letteralmente dal buio della sua fucina un fabbro, sporco, sudato, come la poesia di Heaney, rude e raffinatissimo come tanti uomini dai polsi grossi e pelosi e dal cesello infallibile.
La fucina che ci rivela il fabbro, poeta e uomo forgiatore, in aspro e amoroso conflitto con la materia, con la fusione, col fuoco, è la scena che appare all’apertura della porta. Ma il buio non è vuoto, è animato dalla forza costruttrice e resistente dell’uomo.
La poesia di Heaney è scavo sotto la superficie della terra, racconto di una ricerca che nel mondo fossile rivela la vita del passato, i legami tra i vivi e i morti, tra gli antenati e i  presenti. La sua discesa agli inferi è, modernamente, discesa paleontologica all’origine della specie e della vita, ma anche, secondo un modulo antico, accesso alla forza radiante degli elementi, al loro nudo magnetismo, al lucore del fango, alla lucentezza della pietra, alla sofficità dell’argilla, allo splendore del buio.

La fucina

Tutto ciò che conosco è una porta sul buio.

Fuori vecchie assi e cerchi di ferro arrugginiti,

dentro il timbro acuto dell’incudine martellata,

l’improvvisa sventagliata di scintille

o il fischio di un nuovo ferro che si forgia nel’acqua.

L’incudine deve essere da qualche parte al centro,

cornuta come un unicorno, quadrata

da una parte e inamovibile: un altare

dove lui si consuma, in forma e musica.

A volte, col grembiule di cuoio, i peli nel naso,

appare allo stipite, riscopre il rumore

di zoccoli in movimento, tumultuoso,

poi sbuffa e rientra, sbatte e schiocca,

per tirar fuori con forza il vero ferro, lavorare ai mantici.

Seamus Heaney

Da Seamus Heaney, Una porta sul buio, Guanda 1996, traduzione di Roberto Mussapi

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