Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Gloria dell’atleta

Nelle piste di Olimpia ci si misura per essere memorabili, per abitare l’eternità. Ecco secondo Pindaro «l’essenza prima che spinge l’uomo a cimentarsi nella competizione sportiva». Così facendo l’umano che pratica sport è simile al poeta: dimostra che la morte non avrà dominio

La poesia di Pindaro celebra al massimo grado la gloria dell’atleta, cogliendo l’essenza prima che spinge l’uomo a cimentarsi nella competizione sportiva: il nostro destino è morire, quindi perché vivere oscuramente, senza tentare un’impresa che ci renda memorabili?
Il mondo greco non conosce una vita ultraterrena, il regno di Ade, dopo la morte, è un cupo e desolato luogo di ombre dolenti e insostanziali. Unico luogo di sopravvivenza, eternità, la memoria. L’uomo può rendere eterna la sua vita attraverso la memoria degli altri: così l’atleta, come il poeta, affronta un’impresa che elevi l’uomo, ogni uomo.
L’umano ha sempre praticato lo sport, ma l’Olimpiade è un’invenzione esclusiva del genio greco: non è pura competizione, istinto che muove anche gli animali (dalle lotte tra i cervi a quelle tra i galli, giustificate dalla conquista di una splendida cerva, o di una meno nobile gallina), ma è una realtà che nasce affratellata e consustanziale a quella del teatro: è una rappresentazione, e non a caso durante le Olimpiadi ogni guerra è sospesa: l’Olimpiade, con le sue gare di lotta, giavellotto, pugilato, corsa, arco, è la sublimazione della guerra: si vince senza uccidere, si supera l’avversario senza fargli male.
È teatro, esorcismo, celebrazione dell’uomo nella sua realtà più nobile e pura: il vincitore non riceve premio venale, ma una corona d’alloro. E la fama. Ha vinto su tutti e vinto l’istinto omicida che muove guerra, come il poeta ha vinto la morte, creando versi immortali.
Nessuno dei due cancella la morte: ma entrambi adombrano che essa non è definitiva e non avrà dominio.

“Se è destino morire, perché trascorrere

dall’inizio alla fine una vita opaca,

per giungere vecchi nell’anonimato,

senza aver conosciuto brividi di bellezza?

Adesso mi si offre una prova, un’occasione:

mi butto e aiutami per la vittoria.”

Così disse, Pelope, non vane parole.

Il dio Posidone lo adornò e gli donò un carro d’oro,

e cavalli dalle ali infaticabili.

Così sconfisse Enomao ed ebbe in sposa la vergine,

che gli avrebbe dato sei principi pieni di ardore.

Ora, sulle rive dell’Alfeo, nelle feste,

dove scorre il sangue delle vittime,

accanto all’altare dove tutti si affollano,

vedi il suo tumulo, venerato, sacro.

E la fama di Pelope rifulge ovunque,

nelle piste di Olimpia dove combattono

velocità, forza e ardimento:

il vincitore ne assapora il miele per sempre,

grazie alle prove affrontate, e vinte.

È il bene supremo per gli umani

la gioia che riassapori per sempre, a ogni risveglio.

Pindaro
Dalla Prima Olimpica, traduzione di Roberto Mussapi

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