Michela Di Renzo
Un'avventura inedita

Anna e la fitodiversità

«Durante quella passeggiata a Firenze con Claudio le era tornato in mente il borsello: la capatina dentro alla boutique per ripararlo le era parsa un’ancora di salvezza in quel pomeriggio che sembrava non passare mai...»

“Ti dispiace se entriamo un attimo?” Anna pronunciò la frase davanti alla porta della boutique collocata nell’angolo della piazza rinascimentale dopo aver guardato a lungo la vetrina del negozio, dove sugli scaffali sottili di legno bianco trafilati in oro era esposta l’ultima collezione di borse con la loro foggia a trapezio, leggermente arrotondato verso il basso. “Sono una più bella dell’altra, peccato che siano così care” aveva pensato sin dal primo momento in cui le aveva viste.

Stava leggendo i prezzi sulla targhetta appoggiata al pavimento quando l’aveva distolta la voce stridula di Claudio: “Quei boschi sono eccezionali dal punto di vista della fitodiversità, proprio il posto ideale per il trekking, potremmo andarci insieme domenica prossima”. Anna l’aveva guardato di sfuggita prima di tornare a fissare quelle cifre da gioielleria scritte in caratteri minuscoli. “È proprio di una noia mortale poverino” si era detta. Claudio stava parlando del Casentino da più di un’ora ovvero da quando si erano incontrati, in modo da riempire i lunghi silenzi di lei che cercava di nascondere la marea montante di sbadigli grattandosi ogni tanto la guancia sinistra. Non aveva smesso di chiacchierare nemmeno quando lei aveva accennato all’incanto della piazza in cui erano entrati, sottolineando il fatto che era attratta dai monumenti più che dalle meraviglie della natura.

“Accidenti a quando gli ho detto che oggi non ero di turno” pensò Anna e gli rinnovò l’invito a entrare nel negozio. La faccia sgomenta di lui riflessa nella vetrina le strappò il primo sorriso della giornata. “Se proprio ci tieni” replicò Claudio abbassando gli occhi. Anna annuì compiaciuta. C’aveva visto giusto: anche se il negozio di lusso non gli interessava, era troppo educato per dire di no. Prima di varcare la soglia della boutique dette una rapida occhiata al suo aspetto e concluse che il pantalone sportivo con le tasche sulle cosce e la maglietta a mezze maniche col colletto squadrato nascondevano bene la sua magrezza patologica. Anche la barba che si era fatto crescere nell’ultimo mese gli donava, addolcendo il suo viso spigoloso e nascondendo il profilo irregolare del labbro superiore. “È migliorato rispetto a quando l’ho conosciuto” pensò. “Madonnina quanto è brutto, assomiglia a uno spaventapasseri” si era detta allora vedendo quei pantaloni eleganti con la riga nel mezzo che gli svolazzavano intorno alle gambe e la camicia bianca che gli fasciava il torace lasciando intravedere il profilo delle coste. Ma Michela, una collega con la vocazione della sensale di matrimoni, non le aveva dato pace finché non glielo aveva presentato. “È il migliore amico di mio marito, stareste così bene insieme” le aveva ripetuto un migliaio di volte. “E poi non saresti più sola” aveva ribadito dopo che ad Anna era scappato detto di aver trascorso l’unico fine settimana libero dai turni davanti alla televisione. Peccato che lei proprio sola non fosse, anche se non era ancora giunto il momento di parlarne al lavoro. “Leviamoci questo dente e incontriamo questo Claudio” si era detta di fronte all’ennesimo invito a cena a casa di Michela.

La boutique la accolse in tutta la sua magnificenza. “Buonasera” sussurrò il robusto uomo di colore vestito di scuro in piedi accanto all’ingresso facendole un piccolo inchino. Anna sentì la morbidezza della moquette beige sotto le suole delle scarpe mentre attraversava lentamente l’ampio corridoio dalle pareti di legno chiaro costeggiato da scaffali bianchi identici a quelli in vetrina, in cui sotto i faretti ad incasso troneggiavano le borse. Claudio la seguiva passo dopo passo come un cagnolino. “Finalmente si è zittato”. Dopo aver dato una rapida occhiata ai vari banconi in tinta con le pareti si fermò di fronte a quello dove erano esposti i portafogli da donna. Una voce maschile le chiese gentilmente: “Signora posso aiutarla?” Il suono di quelle parole le fece l’effetto di una carezza sul viso. Alzando lo sguardo dalla vetrinetta vide davanti a sé un giovane di bell’aspetto: sul volto dai lineamenti regolari leggermente abbronzato spiccava una chioma di capelli lisci biondi, tagliati col ciuffo da un lato. “Guarda te come assomiglia a Brad Pitt questo commesso”. Anna indugiò con lo sguardo sul suo torace ben tornito sotto la giacca blu che gli cadeva a pennello. Poi gli rispose: “Certo”. Aprì la sua borsa a secchiello, quella della collezione dell’anno precedente, che si era regalata per Natale con la tredicesima, ed estrasse il borsello.

Quando aveva scartato il pacchetto regalo due mesi prima era rimasta a bocca aperta alla vista di quel portafogli azzurro, con l’inconfondibile triangolino di metallo che sporgeva dalla cerniera della tasca destinata agli spiccioli. Lo aveva aperto più volte per ammirare i numerosi scomparti e aveva fatto scorrere le dita ripetutamente lungo il profilo delle lettere di metallo dorate attaccate sul davanti. “È bellissimo” aveva detto, sollevando lo sguardo fino a incontrare gli occhi di ghiaccio di Alberto. Subito dopo lo aveva abbracciato stretto a sé. “Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto. Ho notato che hai la borsa della stessa marca” aveva detto lui iniziando a baciarla sul collo per poi scendere lungo la schiena. “Te sei capace di intuire ogni mio desiderio” aveva risposto Anna mentre avvertiva un calore al basso ventre, come le capitava ogni volta che veniva a contatto col corpo di lui. Del resto gli era piaciuto sin dal primo momento in cui lo aveva visto, quando era sceso di macchina per aiutarla a cambiare una gomma sulla Siena-Firenze. “Ha bisogno di una mano?” le aveva chiesto con la sua voce virile, da basso. Anna era rimasta subito colpita dal suo aspetto fisico: non molto alto ma ben piazzato, con le spalle larghe e le gambe leggermente arcuate. E sul volto dalla mascella squadrata spiccavano una risata gioviale e un paio di occhi azzurro intenso. Vedendolo darsi da fare con disinvoltura col cric, come se fosse abituato a cambiare ogni giorno una gomma, Anna aveva avuto l’impressione di trovarsi di fronte un uomo in grado di risolvere ogni problema, tanto che quando lui aveva insistito per darle il suo numero di cellulare, “In caso ce ne fosse ancora bisogno”, non era riuscita a dire di no anche se si trattava di un estraneo che si era fermato per caso. Da allora si erano scambiati numerosi sms e c’erano state anche diverse telefonate in cui Alberto le aveva parlato a lungo del suo matrimonio arrivato al capolinea, della moglie che lo trascurava e che molto probabilmente aveva un altro. “Che fortuna che ho avuto a incontrarlo” aveva pensato Anna provando una forte simpatia nei suoi confronti. Generalmente la chiamata di lui arrivava verso le sei del pomeriggio: nel corso di quelle lunghe chiacchierate avevano scoperto di avere molti interessi in comune, tra cui la passione per i romanzi di Philip Roth e più in generale per gli Stati Uniti dove entrambi avevano viaggiato parecchio. “Appena mi separo andiamo una decina di giorni a New York” le aveva promesso.

Il primo fine settimana insieme lo avevano trascorso a Roma, lontano delle loro rispettive città: guardando compiaciuta la camera ultramoderna dell’albergo a cinque stelle che aveva prenotato lui, Anna appena entrata nella stanza gli aveva detto: “Ma lo sai chi ho incontrato nella hall?” e aveva fatto il nome di un noto personaggio televisivo che aveva intravisto alla reception. “È un bel posticino vero? Io ci vengo spesso per lavoro” aveva ribadito lui prima di sdraiarla delicatamente sul letto matrimoniale. Mentre restavano abbracciati sotto le coperte Anna aveva sentito la pioggia tamburellare contro il vetro della finestra, dapprima piano e poi sempre più forte. Quel suono non le era mai sembrato così romantico.

Anna mostrò il portafogli al commesso della boutique. “Due mesi fa mi hanno regalato questo borsello ma dopo un paio di giorni che lo avevo rinnovato si è staccata la catenina”. Il giovane dopo una rapida occhiata lo prese in mano. “Ho provato a riattaccarla da sola ma non ci sono riuscita. Non l’ho persa solo perché mi è caduta in borsa” proseguì Anna mettendosi a frugare dentro al secchiello. Le ci volle un po’ prima di trovare il pezzo mancante. “Queste borse sono belle ma con tutte queste tasche non è facile trovarci qualcosa” disse arrossendo. Il commesso non degnò di uno sguardo né lei né la catenina che teneva in mano ma continuò a fissare intensamente il portafogli.

Quando Anna aveva raccontato per telefono ad Alberto quello che era successo lui era rimasto in silenzio per qualche secondo; poi le aveva detto: “Mi dispiace. La prossima volta che ci vediamo me lo dai e lo riporto al negozio. L’ho comprato in centro a Firenze, nella stessa boutique dove te hai preso la borsa un anno fa. Mi sentiranno”. “Ma no lascia stare, proviamo ad aggiustarlo quando torni a Siena a trovarmi” aveva ribattuto lei, notando il suo tono di voce irritato. “Si è offeso” aveva pensato e aveva cambiato subito argomento. Quando si erano rivisti di nuovo però avevano avuto altro di cui parlare. “Un mio collega affitta dalle mie parti un appartamento di sessanta metri quadri che sarebbe l’ideale per noi due. Per te che vieni da Siena, l’imbocco della Superstrada è a due passi”. Ad Anna che detestava guidare tanto da andare al lavoro con i mezzi pubblici quei cento chilometri che avrebbe dovuto sorbirsi ogni giorno per andare in ospedale parevano un soffio pur di stare con lui. “Quando mi porti a vederlo?” “Ora c’è una coppia a cui scade il contratto tra un paio di mesi. Siccome gli hanno rovinato un paio di mobili il mio collega non glielo vuole rinnovare. Appena è libero ci andiamo”. “Noi non gli sciupiamo niente di sicuro”. “Forse la rete del materasso”. Anna era scoppiata a ridere prima di avvinghiarlo stretto a sé.

Durante quella passeggiata a Firenze con Claudio le era tornato in mente il borsello: la capatina dentro alla boutique per ripararlo le era parsa un’ancora di salvezza in quel pomeriggio che sembrava non passare mai. Il commesso aprì il portafoglio lentamente e se lo rigirò tra le mani. Mentre lo esaminava in lungo e in largo Anna ebbe modo di ammirare meglio il suo volto quasi effemminato, con il naso sottile, le labbra carnose, ben disegnate, la fronte alta, spaziosa, sovrastata dai capelli dorati. “La somiglianza con l’attore è impressionante” pensò appoggiando la catenina dorata sulla vetrinetta. Quando il commesso alzò gli occhi però notò che non erano azzurri come quelli di Brad Pitt e come quelli di Alberto, ma marroni scuro, quasi neri. Anna vi lesse un leggero imbarazzo. “Non avrei dovuto fissarlo così a lungo” si disse. Il giovane posò il portafogli sulla vetrinetta e con una voce metallica, asettica disse: “Signora non posso aiutarla, questo portafogli non è originale ma è un’imitazione”. Anna sentì una vampa di calore salirle alle guance. “Eppure è stato comprato qui” disse stizzita. “È impossibile, questo è un falso di sicuro, fatto bene ma è un falso” replicò il giovane freddamente. Anna provò una leggera vertigine tanto che dovette appoggiarsi al bancone. Sentì dietro di sé la mano di Claudio che le cingeva la vita come a sorreggerla. Quel contatto le riportò alla mente l’abbraccio di Alberto quando aveva scartato il regalo e in particolare il sacchetto di stoffa da cui lo aveva estratto con scritta sopra la marca a caratteri cubitali. “Ci deve essere per forza uno sbaglio” disse, sollevando le spalle e rimettendosi dritta. “Lei da cosa se ne è accorto che non è originale scusi?” chiese guardando a testa alta il commesso il cui volto da bambolotto le sembrò improvvisamente stucchevole. “Glielo faccio vedere subito signora” rispose il giovane senza scomporsi. Tirò fuori da un cassetto un portafogli identico al suo e glielo mise accanto. Poi proseguì. “Vede queste cuciture? Qui non ci sono, mentre in questo che è originale sì. E anche l’interno è leggermente diverso. Ma quello che salta subito all’occhio per noi del mestiere, e io lavoro qui da tre anni, è la A. Questa del suo portafoglio non ha sopra questa specie di ciuffo verso sinistra, quello tipico del nostro brand. La sua A è piatta. Guardi anche la sua borsa se non è convinta”. Anna nonostante sapesse che il commesso aveva ragione girò lo stesso verso di sé la borsa appesa alla sua spalla in modo da leggere il logo che c’era stampato e ebbe la conferma che la A aveva un ciuffo diretto verso sinistra proprio come sosteneva lui. Socchiuse gli occhi e si appoggiò di nuovo al bancone perché le stavano tornando le vertigini mentre il giovane proseguiva: “Sono piccoli particolari, ma sono questi quelli che fanno la differenza”.

Quando li riaprì vide Claudio che dall’alto del suo metro e ottanta si sporgeva in avanti per esaminare anche lui i due borselli. “Ha ragione. Scusi per averle fatto perdere tempo” disse alla svelta, afferrò in fretta il suo portafogli tarocco e si diresse verso la porta del negozio. Mentre percorreva ad ampie falcate il corridoio che sembrava non finire mai, stordita da tutte quelle luci abbaglianti, sentì a malapena le parole del giovane alle sue spalle: “Signora aspetti ha lasciato questa”. Una volta uscita attraversò la strada e si fermò sul marciapiede dall’altro lato, il più lontano possibile dalla porta della boutique. Fece per mettere il portafoglio in borsa ma da quanto le tremavano le mani dalla rabbia non le riuscì subito; dovette spingerlo dentro più volte con forza e solo allora si accorse per la prima volta di quanto fosse rigida la sua pelle rispetto a quella della borsa che invece si lasciava modellare facilmente. “Che stupida che sono stata” disse a voce alta sbuffando. Dopo poco apparve Claudio con la catenina dorata in mano. Anna la prese e se la mise in tasca senza proferire parola. Quindi si incamminò in silenzio verso la stazione dove avevano posteggiato la macchina ma dopo qualche decina di metri si fermò davanti a un marocchino che stava sistemando in bella mostra per terra alcune borse. L’africano ne stava tirando fuori dal borsone proprio una della marca del portafogli poggiandola sopra la busta di stoffa d’accompagnamento con il brand falsificato scritto sopra. “Ecco il negozio dove si è servito Alberto” pensò Anna stringendo i denti furibonda.

Claudio che l’aveva seguita in silenzio la guardò in faccia e le chiese: “Va tutto bene?” “Sì, però ti dispiace se torniamo a casa?” “D’accordo. Ma fermiamoci un attimo a prendere un caffè prima di rientrare” Claudio indicò il tavolino all’aperto di un bar poco distante. Anna annuì e lo seguì fino al locale dove si mise seduta attaccando la borsa allo schienale in modo che le restasse alle spalle, ovvero il più lontano possibile dalla sua vista. “Vado dentro a ordinare. Te cosa vuoi?” “Un succo di frutta”. “Grazie a Dio finora ha avuto il buon gusto di stare zitto. Speriamo non ricominci a parlare ora davanti a un caffè” si disse Anna. La vista della facciata della chiesa rinascimentale che si affacciava sulla piazza con quelle figure geometriche la infastidì tanto che volse altrove lo sguardo ma anche la piazza con la sua forma quadrangolare, i due obelischi uno di fronte all’altro, le arcate sullo sfondo le sembrò soffocante per cui chinò gli occhi a terra. “La vita non è di sicuro lineare come credevano gli architetti di allora”. Mentre guardava il selciato le risuonarono in mente le parole del commesso pronunciate con quella voce asettica: “Sono i piccoli particolari che fanno la differenza”. Le venne in mente all’improvviso quella sera che lei e Alberto avevano trascorso a Roma. “Potremmo cenare in albergo se hanno un ristorante” aveva suggerito lui visto che fuori stava diluviando. Anna aveva accettato con entusiasmo perché le recensioni del locale su tripadvisor erano ottime ma si era avviata da sola perché lui doveva fare un paio di telefonate di lavoro. Una volta seduta a tavola si era accorta di avere le calze smagliate ed era tornata in camera a cambiarsele. Davanti alla porta aveva sentito Alberto al telefono dire affettuosamente: “Ciao buona notte”. Quando era entrata lui non si era scomposto di una virgola. “Ho finito ora di parlare con mia madre, ha avuto la febbre per qualche giorno ed ero preoccupato. Ma oggi sta meglio per fortuna”. A tavola quella sera le aveva tenuto strette le gambe tra le sue tutto il tempo ma era spesso assente, distratto, tanto che quando avevano parlato dell’ultimo romanzo di Roth e lei era entrata nei dettagli della trama lui aveva risposto a monosillabi e aveva sbagliato il titolo. A ripensarci ora era più che probabile che non lo avesse nemmeno mai letto.

Claudio tornò con un piatto di bignoline al cioccolato. “Mentre aspettiamo da bere non ci sta male qualcosa di dolce. Qui hanno della pasticceria buonissima”. Anna aveva già notato che era goloso come lei nonostante fosse magro come un chiodo; senza ringraziarlo allungò una mano, prese una bignolina dall’aspetto invitante e le dette un morso: la crema al cacao le si sciolse lentamente in bocca. “Aveva ragione, non è male” pensò e ne afferrò subito un’altra che le parve ancora meglio della prima. Il cioccolato come le capitava spesso migliorò un po’ il suo tono dell’umore. “Scusa se mi permetto di dirtelo, qua a Firenze non conviene tenere la borsa attaccata dietro alle spalle come fai te, potrebbe passare qualcuno e portartela via” le disse Claudio. “Oggi mi farebbe un piacere immenso guarda” ribatté Anna. “Del portafogli non ti importerà niente perché è un’imitazione ma dei documenti sì. Sarebbe comunque una scocciatura”. Anna lo fulminò con lo sguardo ma subito dopo si mise la borsa a tracolla. “Hai ragione. Ci manca solo di concludere questa giornata in questura” replicò stizzita. Claudio abbassò gli occhi. Anna si piegò leggermente in avanti. “Scusami. Comunque il problema non è se il borsello sia vero o falso, il problema è..” e si interruppe bruscamente. “Ma che sto facendo?” pensò e si ritrasse. Per una frazione di secondo vide davanti a sé Claudio che con la sua voce stridula raccontava quanto lei stava per confessare a Michela, che a sua volta lo avrebbe condiviso con tutto il Reparto. La sorprese la voce di lui che chinandosi verso di lei le diceva: “L’ho capito che non è quella la questione. È che chi te lo ha regalato te lo ha fatto passare per vero e te ci hai creduto. E forse hai creduto anche ad altre cose. Non so se può consolarti però nella vita capita a tutti di prendere delle fregature”. “Non lo so se mi consola. Comunque io sono particolarmente ingenua”. “Di sicuro non è colpa tua” proseguì Claudio guardandola con compassione. “Credimi io ti capisco benissimo”. “Perché?” “Michela non ti ha raccontato niente?” “Ha solo insistito un milione di volte perché ti incontrassi, lo sai com’è”. Claudio sorrise. “Altro che, ha messo in croce anche me. Sarà che suo marito è uno dei miei migliori amici e sa quello che ho passato”. “Che hai passato?” Claudio ebbe un attimo di incertezza prima di iniziare a parlare: “Dopo cinque anni di fidanzamento sono stato lasciato un mese prima del matrimonio. Era già tutto fissato: la data della cerimonia, la chiesa, il ristorante, le bomboniere. Comunque lei dopo tre mesi si è sposata lo stesso. E sai con chi? Col capogruppo con cui facevamo il trekking da anni. Uno di cui appena poteva diceva peste e corna”. “Accidenti” mormorò Anna. “Ce n’ho messo a riprendermi”.

Claudio fece una pausa durante la quale Anna notò il profilo irregolare del suo labbro superiore che si contraeva in una smorfia di dolore. “Da come ne parla non sembrerebbe” pensò. “Comunque solo a uno come me con gli occhi foderati di prosciutto poteva capitare una cosa del genere. Anche se a dire il vero preferisco il dolce al salato”. Claudio allungò una mano e prese una bignolina. “Ora per cambiare argomento potrei ricominciare a parlare del Casentino e della sua fitodiversità” disse mentre la addentava. Anna notò un guizzo di malizia nel suo sguardo. “Almeno ha un po’ di autoironia” pensò. “Il Casentino no per favore, o stasera rischio di suicidarmi. Comunque io al posto tuo col trekking avrei chiuso. A quei boschi li avrei dato fuoco”. “Sono dei posti bellissimi credimi”. “Ho capito ma da questo a parlarne per un’ora di seguito…” “Anche te la prima volta che ti ho incontrato da Michela hai parlato solo di medicina. Meno male ti aveva presentato come una collega particolarmente simpatica. Però sai che? Devo riconoscere che la crostata che avevi cucinato era parecchio buona”. “A essere sinceri è opera soprattutto della mia mamma”. “Allora anche te sei un imbrogliona”. “Dovevo o no in qualche modo abbindolarti? Sennò Michela non si dà pace”. In quel momento arrivarono il caffè e il succo di frutta. Anna insisté per dividere il conto ma Claudio si rifiutò. Mentre lui dava i soldi al cameriere lei finì l’ultima bignolina. “Durante il tragitto in macchina comunque prometto solennemente di stare zitto” disse Claudio alzandosi in piedi e portandosi la mano al petto. Ad Anna fece una tenerezza tremenda quella specie di spaventapasseri con la voce stridula e un velo di malinconia negli occhi che si atteggiava a militare. In quel momento sentì suonare il cellulare: sullo schermo lesse il nome di Alberto. “Strano non sono ancora le sei, si vede che gli fischiavano le orecchie”. Con il pollice premette con rabbia il tasto annulla e subito dopo spense bruscamente il telefono.

Claudio notò il suo gesto ma fece finta di niente. “Ma…” disse Anna con la voce rauca. Poi se la schiarì e prendendo fiato proseguì: “Ma questa fitodiversità che cavolo sarebbe scusa?”. “Te mi provochi allora”. Si incamminarono lentamente uno accanto all’altra in direzione del posteggio. All’altezza della facciata della chiesa Claudio si fermò e si girò indietro. “Questa piazza è splendida, hai ragione te, con questa prospettiva, e lo sguardo che spazia sempre più lontano. Devo riconoscere che regge il confronto col Casentino. Se diventiamo amici almeno imparerò ad apprezzare le bellezze artistiche”. “Perché no?”. Anna lo prese a braccetto e ricominciarono a camminare. Dopo pochi passi sentì un buon odore che proveniva dal corpo di lui; si fermò col naso ritto, ad annusare meglio, e riconobbe l’aroma del cacao. Guardò la sua maglietta per vedere se per caso si fosse macchiato con la bignolina al cioccolato ma era pulita. “Ma che profumo hai?” gli chiese. “È un dopobarba al cacao. È un po’ troppo forte vero? Me ne sono accorto oggi che l’ho usato per la prima volta”. “Ma no, non è per niente sgradevole e poi a me il cioccolato funziona da antidepressivo”. “Anche a me.” Sorrisero entrambi. Anna si sentì improvvisamente più leggera, appoggiata al suo braccio, mentre uno accanto all’altra si dirigevano verso la macchina.


Accanto al titolo, Marc Chagall, La passeggiata, 1918

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