Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Storie di sfide

Fabrice Caro racconta l'inadeguatezza di un innamorato, Valentina Durante insegue il mito di chi vuole cambiare vita, Simone de Beauvoir ripercorre il percorso di vita per diventare figura emblematica dell’emancipazione femminile

La cerimonia. «Sono volontariamente sottomesso». Il quarantenne Adrien, che non ha difficoltà a riconoscersi depresso e bipolare, si sente in gabbia perché non ha avuto abbastanza coraggio nel rifiutare di pronunciare un discorso in occasione del fidanzamento della sorella Sophie. Inoltre ha una grande urgenza: vedere sul suo cellulare la risposta della sua (ex?) fidanzata cui continua a pensare, Sonia. Rimanere a tavola, pressoché muto e per diverse ore, è una tortura. Si ritaglia due pause non offensive: andare alla toilette e, dicendo una bugia, raggiungere la sua auto per fumare una sigaretta, semisdraiato sul cofano. Poco prima la sorella gli aveva chiesto se gli piacessero i peperoni. Non se lo ricorda mai, ma non glielo confessa. Piuttosto, pensa, è da quando avevo otto anni che per i miei compleanni mi regalate enciclopedie: «Le ho ricevute tutte, ossia trentatré, sul sistema solare, sull’universo, sul calcio, sul Medioevo…». Non ne ha aperta nemmeno una. Ma non ha mai mosso obiezioni, così come per due anni in ufficio lo avevano chiamato Aurélien. Adrien non aveva mai rettificato.  L’importante continua a essere l’sms di Sonia che non arriva. Questo soliloquio silenzioso e tormentato, tra ironia e autocommiserazione, è il nucleo del romanzo, affascinante, originale e comico, di Fabrice Caro, intitolato Il discorso e pubblicato da Nottetempo (204 pg., 16 euro).

Ludo, il futuro cognato, continua a parlare di permafrost, di riscaldamento a pavimento e del Taxon di Lazzaro: fa domande perentorie e Adrien torna alla toilette per cercare un punto interrogativo; la madre coglie l’occasione per ripetere il suo mantra: a fare bene sono soprattutto le spremute d’arancia; e non manca l’attimo in cui il padre s’appresta a raccontare lo stesso aneddoto con lo stesso entusiasmo. Adrien pensa alla “pausa di riflessione” chiesta da Sonia. E tra sé e sé: ma che frase è? La si dice in altre occasioni, per esempio quando uno viene a sapere che sua madre ha avuto un ictus, prende il cappotto e se ne va. Ma di cosa sono colpevole, si chiede Adrien? E pensa alla cassetta dei ricordi, dove lui e Sonia riponevano un po’ di tutto: dai versi di Paul Eluard («Vivere di errori e di profumi») a una citazione di Emil Cioran («Una sola cosa conta: imparare a essere perdenti». Intanto le ore passano, tra peperoni, una ciotola di vermicelli e l’attesa di una torta su cui glassa si discetterà per un bel po’, anzi decisamente troppo.

Lontano da sé. Dal 6 febbraio 2013 al 15 marzo 2016 un uomo di circa 40/50 anni cambia completamente vita. Lascia un incarico di estremo prestigio, i viaggi, gli alberghi lussuosi, e si trova un’occupazione di ripiego, molto strana. Trova una sistemazione nella dependance di una villa, a Montebelluna, il lunedì, il martedì e il venerdì lo passa all’ufficio postale dove spedisce plichi e pacchi di altri. Per questo viene remunerato.  Lo stesso incarico lo assorbe al Cup (centro ospedaliero per le accettazioni). Tutti i suoi “clienti” sono anziani, o soltanto pigri. Per arrotondare aiuta il giardiniere della villa e nel grande parco controlla eventuali ladri o coppiette di amanti. Poi torna a casa e in uno dei due locali, che definisce stanza ad uso promiscuo dove di suo c’è soltanto una lunga mensola di legno. Qui sono allineati dieci vasetti di legno. Dopo aver sbirciato alcuni titoli, pone a terra il giornale (del giorno prima) e poi, con precisione millimetrica piazza i vasetti. L’ultima operazione, prima del giro di ispezione, consiste in un autoscatto, ognuno dei quali sarà riversato sullo schermo del computer. Ogni giorno scrive a Enne (si saprà che è una donna) cui racconta le sue giornate. Tutto questo per tre anni. Ma cosa è capitato alla «donna che avrebbe dovuto sposare»? È la domanda cardine di un originalissimo e denso romanzo di Valentina Durante, intitolato Enne (Voland editore,165 pg, 16 euro). Si sa, o si desume che in quel giorno lei uscì di casa senza far più ritorno. Dopo essersi abbrutito con l’alcol, decide per l’“altra vita”, determinato a non avere più legami con nessuno, anche se, soprattutto alle Poste, fa brevi e surreali conversazioni. Nell’ultima missiva a Enne si e gli stesso di tre anni fa…ha un senso? Quale, se non la presa di coscienza della solitudine? Quale, se non il riconoscimento della vastità della propria disperazione? In coda all’ufficio postale una donna col basco, che scrive per ore sul suo taccuino, con una lettera in mano come alibi, magari vuota o indirizzata a se stessa Gli racconta di sé, lui ascolta. Nell’ultima lettera a Enne il lettore potrebbe ipotizzare che Enne sia la donna che voleva sposare) afferma: «Tu non esisti. Io non voglio avere legami… Io voglio conservare lucidità. La lucidità è il mio porto sicuro o il traghetto che mi ci porta… nessun legame nemmeno con me stesso, sia chiaro». Una mattina all’ufficio postale incontra un vecchio col bastone e il numero di chiamata tra le dita. Accennano su chi deve andare per primo allo sportello. L’anziano, o un po’ sordo o comunque preso dallo scorrere luminoso dei numeri, lo ascolta imbambolato. Il factotum, che si scoprirà essere stato dirigente in una multinazionale («eh sì, io che licenziavo gente, ho deciso di licenziare me stesso»), gli dice: «Lei potrebbe obiettare che esiste una letteratura della peste, che è una letteratura della decomposizione dell’individualità. E io, mi creda, sono completamente d’accordo. La peste può in effetti essere vista come un momento di grande confusione panica, durante la quale gli individui, minacciati dalla morte che transita, rinunciano alla propria identità, gettano la maschera e si abbandonano alla grande dissolutezza di chi sa di dover morire». Il vecchio, silente e con gli occhi appiccicati al foglietto di chiamata, mentre l’ex manager accenna a Tucidide, a Lucrezio, a Camus. Si instaura un legame che non esiste, ed è quello che vuole l’uomo che si è fatto recluso, in mezzo alle sue maniacali abitudini e con le sue perfide fantasie.

Due donne. Questo è un lungo racconto di Simone de Beauvoir, inedito, contemporaneamente uscito in Francia e in Italia da Ponte alle Grazie, intitolato Le inseparabili (205 pg., 15 euro). È la narrazione, che la de Beauvoir scrisse nel 1954, senza volerlo divulgare, di una lunga e appassionata corrispondenza tra Simone e Zaza Lacoine, il cui legame fu sempre osteggiato dalla famiglia conservatrice e ultracattolica di quest’ultima. La quale non ce la farà a sottrarsi, e nemmeno a ribellarsi all’ambiente così rigido e oppressivo da triturare la sua individualità. Il testo è una straziante e commovente denuncia contro una società ipocrita e bigotta. Simone si salverà. Fino a diventare la figura emblematica dell’emancipazione femminile del secolo scorso.

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