Roberto Mussapi
Every beat of my life

Per Guido Zolfino

Non un poeta. Un amico del cuore, prematuramente scomparso, che negli ultimi tempi della sua esistenza terrena, «ha scritto versi per sopravvivere e ricordare». Ma a leggerli si riconosce che in essi risuona Poesia. Oggi, a due anni dalla sua scomparsa, Roberto Mussapi lo ricorda così…

Guido Zolfino non è un poeta. Guido Zolfino è stato il mio compagno di banco dalla prima elementare Corso Soleri, Cuneo, all’ultimo giorno di scuola del Liceo Classico. Abbiamo condiviso la stagione formativa e romantica, garibaldina e entusiastica del maestro Minardi alle elementari. E Guido compare nel monologo in versi che alcuni di voi certo conoscono, Lezioni elementari, incluso anche nel mio libro più recente, I nomi e le voci. Accanto al sultano delle Mille e una notte, accanto a Didone, Arianna, Ariel, accanto al tuffatore di Paestum e a Otello, e Penelope, Guido è uno di quei nomi e di quelle voci. Anche uno di quei volti, nella mia memoria vivente. Lo vedete, la foto è sgranata, fatta dalla moglie Alessandra, ma Guido è bello quasi come dal vivo. È una foto non a caso scattata al mare, e al mare ci incontravamo sempre: a Ospedaletti, prima, poi a Antibes. Guido e Alessandra da Cuneo, noi da Milano, dove mi ero trasferito appena possibile.

Guido invece era rimasto a Cuneo, dirigente di un’associazione professionale, un lavoro che richiedeva competenza, serietà e anche capacità di relazione: nel dubbio Guido, amante della poesia e della bellezza fin da bambino, come il suo compagno di banco che ero io, aveva studiato dizione, fonetica, in primisper esaltare la sua voce bassa e vellutata da gattone all’antica, alla Nando Gazzolo, ma ufficialmente, e davvero, per non presentarsi a incontri, meeting, convegni del suo settore, di fronte a colleghi di Roma o della Toscana, parlando con accento piemontese. Viveva sempre a Cuneo, io a Milano. Ci vedevamo sempre al mare. Guido portava sempre champagne, sempre il migliore. Bollicine, la quintessenza della felicità, la promessa di un destino ultraterreno aereo, il talismano antigravitazionale.

Alla sera cenavamo in terrazza, vista mare, e Guido, come me, è l’unico uomo che io conosca che non abbia mai cenato d’estate con gli shorts, a cena pantaloni, cotone o lino, ma non siamo in spiaggia sulla sdraio. E tutto il giorno in spiaggia, al mare. Un tardo pomeriggio, facendo un bagno pigro mentre le mogli erano distese sulla battigia, io e lui entrammo in acqua posseduti da un demone fatale, a trenta metri da riva, con un’occhiata, una parola improvvisa: “nuoto sincronizzato”, gridò uno dei due. Erano i giorni delle Olimpiadi del nuoto. Si vedevano le acrobatiche hawayane danzare nell’acqua emergendo, coreograficamente spettacolari. Io e Guido demmo inizio alla danza, nata in quell’istante: due braccia destre alzate insieme, poi un rovescio e su con due gambe, poi saltammo in aria, alzammo le braccia, con due sorrisi apertissimi, da nuotatrici di Papete. Danzavamo nell’acqua imitando graziosamente danzatrici polinesiane, senza lesinare sorrisi e baci al pubblico in spiaggia, una cosa che neanche Arbore avrebbe pensato… Uscendo, sulla riva, ci fu un applauso dei turisti francesi, e un sussurro unanime e amichevole: “Les italiens!”. Furono ancora estati belle e piene di speranza. 

Appassionato di poesia, dai greci e latini del liceo, amava Lorca, Baudelaire, Proust, Wagner, io gli leggevo Eliot e Luzi, tutti e due concordavamo, poi sempre i nostri Dante, Ariosto, brindando, champagnando con Rolling Stones e Pink Floyd. Nell’anno finale, quando ora stava proprio male male, mi disse che scriveva versi, come forma di meditazione. Non mi insinuò di vederli, e io non glielo chiesi. Ci intendevamo da sempre. Appena lui morì io, a Cuneo, per ricordarlo in chiesa, appena arrivato ebbi subito da Alessandra la cartella di poesie, nessuna spiegazione, lei sapeva che le aspettavo. Una la lessi in chiesa, l’altra la leggete ora.

Da tempo volevo presentare il mio amico Guido in questa rubrica, Evey beat of my heart, titolo di cui mi vanto, Rod Stewart, Mussapi e Zolfino. Stirred, not mixed. Ho avuto un’indicazione precisa: mercoledì scorso, 11 novembre, mettendo in ordine le tante cartelline, mi è venuta a vista quella con la sua foto e le sue poesie. Pensiero fulmineo: sabato (oggi) sarebbe stato il 14 novembre: il giorno della sua morte, due anni dopo. La mia rubrica esce il sabato. Guido si è fatto vivo, per essere letto da voi, tramite il suo amico Roberto, oggi a due anni dalla sua morte terrena.

Vi presento il mio amico Guido che quando ha smesso di nuotare e giocare con me a fare i piciu, guardare le bollicine di champagne ed è caduto nel dolore nero, ha scritto versi per sopravvivere e ricordare. Che Alessandra, avendo capito tutto, ha custodito e mi ha dato, prima del funerale, tra morte e vita, nel passaggio glorioso.

Guido Zolfino non è un poeta. Ma leggiamo questi versi: ne siamo così sicuri? 

Fioritura tardiva

Gli amori nati dal muscolo del cuore

sono fioriti e appassiti in primavera.

Altri sono nati ch’era estate,

caldi, colorati ed orgogliosi.

Alcuni ancora spuntarono d’autunno,

resistendo alla pioggia.

L’amore seminato nella mente

germoglia adagio e nasce quand’è inverno.

Assomiglia ad un secco bastoncino:

chi lo vede un po’ sorride e prova pena.

Non ha orgoglio né colore e non dà frutti,

esiste per sé solo e non ha nome.

Cerca un nome da amare

(gli basterebbe questo per fiorire!)

ma i nomi sono già tutti assegnati

e non sa inventarne un altro

che gli sia più caro della vita.

Resta infisso tra i solchi della Mente

bastoncino invernale innamorato

fino a che lo spezzerà la neve.

Guido Zolfino

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