Flavio Fusi
Diciannove anni dopo

Ricordo dell’11.IX

Bisogna continuare a tornare con la memoria a quel giorno funesto nel quale il mondo cambiò. E ripercorrere uno per uno i volti e i nomi di quelle donne e quegli uomini che gli diedero senso con la vita

L’ho visto, quell’uomo che cade: una figura scura ritagliata sulla parete chiara della torre. O forse l’ho visto nei miei incubi, quel braccio disteso come la mossa di un tuffatore, un anno dopo l’altro per diciannove lunghi anni.  Certo, nei miei incubi ho sentito il colpo sordo di un corpo invisibile che si schianta sul marciapiede rovente. 

Più di duecento – dicono le cronache – scelsero quel giorno di volare verso la morte, rifiutando con un ultimo gesto di dignità l’olocausto del fuoco. Ma le cronache alla fine si riducono a numeri e numeri in fila. Le cronache si disperdono come gli anni che passano, i protagonisti di allora si disfano nella morte o nella dimenticanza. 

Noi stessi testimoni siamo oggi diversi da come eravamo in quei giorni. Siamo umani e fragili: non ricordiamo, dimentichiamo, confondiamo sogno e realtà. Nomi e voci risalgono a volte dal fondo alla superficie della memoria. Come la ragazza Claudia Castano, in cerca del fratello Alejandro, che lavorava nella seconda torre. Claudia urla e piange: «Cercate nel tunnel, tanti sono scesi nei tunnel sotterranei, dopo l’esplosione». 

Ricordo: il giorno dopo l’America vive nel suo luminoso settembre del 2001, lungo la West Side Highway, dove corrono con il lamento delle sirene i camion delle squadre di soccorso e la gente applaude, piange, canta e vorrebbe abbracciare questi uomini schiantati dalla fatica. L’America vive, ma non vive Alejandro Castano, detto Alex, e non vive Steven Morello, di cui resta una foto che stringe il cuore, incollata a una vetrina e già sbiancata dal sole.

La cronaca inganna, ma non inganna la poesia che resta sfolgorante e affilata anche dopo venti anni. Così Wislawa Szymborska – dal suo rifugio europeo lontano migliaia di chilometri – guarda e accompagna con amore i saltatori delle due Torri, quelli che non si rassegnarono al fuoco.

 Saltarono dai piani in fiamme, giù
…uno, due altri ancora
più in alto, più in basso.
Una fotografia li ha colti
mentre erano ancora vivi
e ora li preserva
sopra il suolo, diretti verso il suolo.
Ognuno di loro ancora intatto
con il proprio volto
e il sangue ben nascosto.
C’è ancora tempo
perché i loro capelli siano scompigliati
e perché chiavi e spiccioli
cadano dalle tasche.
Loro si trovano ancora nel reame dell’aria
entro i luoghi
che hanno ancora aperto.
Ci sono soltanto due cose che posso fare per loro:
descrivere questo volo
e non aggiungere una parola finale.

Oggi, dove sorgevano le torri, l’America ha innalzato un memoriale con una colonna lanciata contro il cielo e una vasca orizzontale di acque limpide. Sul parapetto di granito della vasca sono incisi i nomi di 2996 uomini e donne che furono sacrificati a questa follia di guerra e vendetta. Qui ho incontrato Alejandro e Steven, insieme ai loro compagni sconosciuti che «si trovano ancora nel reame dell’aria»

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