Anna Camaiti Hostert
Cartolina dagli Usa

Il golpe di Trump

In spregio alle regole e alle secolari convenzioni democratiche americane, Trump ha nominato una nuova giudice della Corte Suprema: potrà tornargli utile per impugnare il risultato se dovesse perdere le elezioni. Ma non eravamo noi, quelli che approfittano del caos inventando cavilli?

In una sorta di ingenuo wishful thinking, mi ero illusa (leggi qui l’articolo) che a Donald Trump fosse rimasto un briciolo di decenza e che almeno per una volta riuscisse a rispettare le volontà di un’autorevole persona appena deceduta la quale aveva appunto chiesto che la nomina del suo successore avvenisse dopo l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Ma considerato che a suo tempo Trump iniziò l’eulogia del padre appena morto che giaceva ancora nella bara di fronte a lui parlando di sé, non mi sarei dovuta fare troppe illusioni!

Poi ho capito che aveva una convenienza immediata e diretta (motivo fondamentale di qualsiasi sua scelta) nel nominare la nuova giudice della Corte Suprema. Non è certo perché il suo target sia la legge sull’aborto o la Obamacare che peraltro la scelta di Amy Coney Barrett rischia di mettere in pericolo, essendo ella di stretta osservanza cattolica e avendo a suo tempo criticato aspramente la riforma sanitaria. L’ obiettivo fondamentale di Trump è che, nel caso perda le elezioni a novembre e vinca Joe Biden, la vittoria potrà essere impugnata e portata alla Corte Suprema dove siede un numero schiacciante di giudici nominati dai repubblicani (6 contro 3). Una cosa mai avvenuta nella storia americana, soprattutto alla luce del fatto che i giudici sono sì nominati dai presidenti degli Stati Uniti e dunque in genere rispecchiano le idee di chi li sceglie, ma in realtà per statuto e per lealtà istituzionale dovrebbero avere a cuore il sentiment popolare e non essere guidati da ragioni ideologiche e politiche.

Trump già da tempo va dicendo ormai che le elezioni per posta (non possono infatti avvenire ai seggi a causa del coronavirus) sono “truccate” e che non c’è da fidarsi, forse avvertendo che il suo consenso è in ribasso, irresponsabilmente incita alla rivola nel caso dovesse perdere. Queste affermazioni sono di una gravità senza precedenti non solo per la stabilità dell’ordine pubblico già compromesso di questi tempi dal comportamento razzista della polizia nei confronti dei neri, ma anche in quanto mettono in dubbio la democraticità del processo elettorale e minacciano che il presidente potrebbe non accettare il risultato elettorale. Facendo risuonare nelle nostre orecchie di italiani echi lontani di chi considerava il Parlamento “un bubbone pestifero” e tutte le istituzioni democratiche inutili orpelli.

Sulla situazione del processo elettorale in America ci sono tre considerazioni da fare: le prime due specifiche sul meccanismo elettorale e sulla democrazia di tale processo in America e la terza più generale sul mondo anglosassone attuale.

La prima di carattere istituzionale riguarda il rapporto tra i voti del Collegio elettorale e quelli popolari su cui non è il caso al momento di entrare, essendo troppo complicato spiegarne il meccanismo. Il loro disaccordo si è però verificato per ben due volte: sia nel caso delle elezioni del 2000 tra George W. Bush e Al Gore, sia nel 2016 tra Hillary Clinton e Donald Trump in cui un candidato pur avendo vinto il voto popolare è stato scartato tenuto conto di quello del Collegio elettorale. C’è chi dice che il voto dei collegi elettorali è meno democratico di quello popolare in quanto in quest’ultimo si sommano semplicemente i voti dei cittadini, mentre nell’altro per la sua composizione e i meccanismi di scelta vengono rispettati meno i desiderata degli individui e più invece proporzioni, ormai obsolete, tra il numero degli elettori del collegio elettorale e la grandezza dello stato. Con una conseguente minore rappresentatività democratica della cittadinanza.

La seconda riguarda la specificità di queste elezioni complicate dal coronavirus che rende difficile il voto di persona prestandosi dunque all’accusa di manipolazione da parte chi, come Trump, soffia sulle braci di una possibile rivolta popolare e minaccia di non arrendersi al verdetto elettorale. Come ci fosse un complotto contro di lui. E questa è una situazione mai verificatasi negli Stati Uniti fino ad ora. Durante le elezioni del 2000 Al Gore perse davvero per una manciata di voti, ma non si sognò neanche lontanamente di mettere in dubbio la validità delle procedure elettorali anche se ne avrebbe avuto tutte le ragioni. Cosi come ha fatto Hillary Clinton nel 2016. Perché così funziona negli Stati Uniti da sempre. Anche questo è il valore della sua democrazia.

La terza considerazione a margine di queste due è in generale sul mondo anglosassone a cui sono profondamente legata e che ammiro, in quanto dall’Inghilterra viene l’elaborazione teorica della moderna democrazia come la conosciamo dagli scritti dei grandi teorici dei patto sociale tra cui John Locke e David Hume e dagli Stati Uniti, dopo la ribellione al  colonialismo inglese, una dichiarazione di Indipendenza che fa sognare e una Costituzione ricca e articolata, pilastro di una democrazia senza precedenti.

Devo dire che tuttavia le considerazioni di Boris Johnson – che, forse memore di alcune affermazioni di Winston Churchill (lo statista inglese diceva infatti che se fosse stato italiano avrebbe voluto un capo del governo come Mussolini, come a dire che da inglese, più civile e più libero, invece non l’avrebbe mai tollerato), ha affermato che gli inglesi vivono una crescita esponenziale del coronavirus perché amano la libertà, mentre gli italiani no – mi hanno lasciato più che perplessa. Secondo gli stereotipi anglosassoni, non eravamo noi italiani quelli indisciplinati e incapaci di obbedire alle regole? Quelli che avevano bisogno di un dittatore per convivere pacificamente in una società che a ragione potesse definirsi civile?

L’apertura di pub e ristoranti, che fa aumentare i contagi, è davvero la misura della libertà? Se così è, mi viene da pensare che Johnson abbia davvero perso il senso del valore di questo concetto in nome del quale oggi calpesta il diritto alla salute degli inglesi. Un grazie va al presidente Mattarella che ha ribadito con classe ed eleganza la nostra serietà oltre che il nostro amore sentito per la libertà!

Le affermazioni di Trump inoltre sul fatto che non si arrenderà ai risultati delle consultazioni elettorali mi hanno fatto pensare a come sia caduta in basso la considerazione della democrazia in America. Davvero il partito repubblicano permetterà a Trump di violare i principi che hanno reso famosa la sua Costituzione nel mondo? Non auguro a nessuno di questi due capi di governo: che il prezzo da pagare per la perdita di questi valori sia quello che italiani o tedeschi hanno dovuto versare di fronte al verdetto della storia. E che, come si vede dalle affermazioni di Johnson, ancora oggi ci affliggono a prescindere dal nostro comportamento.

Facebooktwitterlinkedin