Lidia Lombardi
Itinerari dal divano

Il romanzo dell’Arte

Ha un plot che si sviluppa lungo quasi 700 pagine, il libro che Claudio Strinati ha dedicato alle meraviglie d’Italia. Il protagonista, un dottorando canadese, approda in Italia e da Milano a Palermo, da Venezia a Orvieto, trova in ogni luogo il Virgilio che lo guida. E noi con lui…

“Io resto a casa” ma intanto posso fare un viaggio in tutto questo Bel Paese chiuso per il decreto sul coronavirus. E lo posso fare non nell’ubriacatura dei messaggi fake, di instagram, dei video via wathsapp, ma leggendo un libro, e pazienza se non posso andare a comprarlo in libreria, posso acquistare l’e-book e cominciare a spostarmi da una città all’altra, come un turista. Il libro si intitola Il giardino dell’arte – Il romanzo di un viaggio fra le meraviglie d’Italia (Salani, 698 pagine, 19,80 euro nell’edizione cartacea) ed è firmato da Claudio Strinati, tra i massimi conoscitori dell’arte italiana, sovrintendente del polo museale romano per lunghi anni. Ma soprattutto instancabile divulgatore, uno che affabula con la parola e che si entusiasma davanti ai misteri artistici dello Stivale (ricordo un fortuito scintillante scambio di opinioni con Vittorio Sgarbi davanti a un dipinto dei Seicento di autore anonimo conservato nella quadreria dl Palazzo Colonna, a Roma).

Ebbene, con il ponderoso volume Strinati ci prende per mano e ci porta da Milano a Palermo, da Venezia a Orvieto. Il bello però è che questa non è una guida. Il “pellegrinaggio” è in forma di romanzo, un romanzo di formazione che vede il protagonista, un canadese dottorando in storia dell’arte, spostarsi da una città all’altra e trovando in ciascuna un mentore, una sorta di Virgilio (talvolta anche una affascinante figura femminile con cui magari vagheggia una liaison) che gli schiude le meraviglie del giardino-Italia. David, il protagonista venuto dall’Università di Halifax, cammina, osserva, pone domande, ascolta discettazioni davanti a un paesaggio urbano, in un museo, in un archivio. E mentre gli si svelano capolavori, anche nei risvolti aneddotici e poco noti, gli si squadernano come in scatole cinesi il momento storico in cui un committente, un principe, un artista si muove e insieme, il contesto culturale, filosofico, di costume. Ma sempre nell’andamento colloquiale della pagina, in un apparentemente casuale sviluppo del plot e della divulgazione.

Ecco allora che David, e il lettore, possono soffermarsi perfino sui significati intrinseci di uno dei romanzi più letti, il Pinocchio di Collodi, ritrovandoci in filigrana la vicenda terrena di Cristo, che si trasfigura, muore, rinasce e ci salva, guidato dalla Fata velata d’azzurro come la Vergine Maria. Ed è storia di trasformazione e rinascita anche quella di Amore e Psiche, scolpita nel marmo da Canova… Il Grand Tour di David è dunque anche il Grand Tour che noi italiani possiamo effettuare nel nostro Paese, restandocene per ora confinati in salotto. Ed è «un atto d’amore verso la nostra terra, verso la nostra casa» dice Strinati.

Si parte da Roma, dove atterra l’aereo del protagonista.“Roma quanta fuit ipsa ruina docet”, scandisce un professore evocando le parole contenute nella guida di Francesco Albertini, rinascimentale studioso di cose antiche. È la città nella quale nel 1510 arriva Lutero e in Vaticano lavorano contemporaneamente Michelangelo e Raffaello, l’uno impegnato nella volta della Cappella Sistina, l’altro nelle Stanze, tra cui quella della Segnatura, con La Scuola d’Atene, summa filosofica. Raffaello non soltanto dipinge, ma si trova anche a diventare, su richiesta del Papa, conservatore delle antichità, sovrintendente insomma. Impegnato a difendere le vestigia del passato e a scoprirne i misteri. Città di leggende, la Capitale. Come quella della Madonna della Neve, che appare ad agosto sul colle Esquilino e indica il punto nel quale erigere una grande chiesa. E città di reliquie, come quella Scala Santa portata da Gerusalemme (la salì Gesù quando lo portarono davanti ai giudici nel Sinedrio) e sistemata in Laterano, in un ambiente totalmente affrescato nel quale spicca la mano di un artista poco nominato, Ferraù Fenzone, che invece Strinati ci addita.

Nella Roma del IX secolo fioriscono cicli musivi che giustificano la leadership europea riconquistata dalla Capitale dopo il disfacimento dell’Impero. Regna papa Pasquale I (817-824), capolavori vengono creati nella Basilica di Santa Prassede, col mirabolante Sacello di San Zenone, e in quella di Santa Cecilia, a Trastevere, dove nell’abside viene rappresentato «un mondo benevolo e incantato, governato dalla figura della Vergine Maria». Un salto di secoli, ed ecco il mistero delle tre opere di Caravaggio in San Luigi dei Francesi, risolto dalle carte notarili conservate nell’Archivio di Stato, dove il contratto stipulato tra committente e artista fornisce la precisa data nella quale furono dipinti. Quei quadri erano da sempre lì, ma non si sapeva quando il Merisi li aveva realizzati. Ritrovare i documenti ha significato collocare in un preciso anno Il martirio di San Matteo, La vocazione di San Matteo e San Matteo e l’angelo. Un accertamento non marginale perché «se vuoi renderti conto di cosa sia l’arte devi sempre sapere chi viene prima e chi viene dopo».

E poi la città barocca, con i suoi miracoli architettonici. Uno su tutti: l’obelisco che Bernini sistema al centro della Fontana dei Quattro Fiumi in piazza Navona: «Sembra appoggiato sul vuoto, perché collocato sopra una specie di passaggio sospeso che unisce le quattro statue sottostanti. E come fa a non precipitare? Potete andare e provare anche voi a svelare l’arcano perché è rimasto come lo ha messo il Bernini. Un mago!».

Dopo Roma la tappa è Firenze. Con il miraggio di Santa Maria Novella «che ti volta le spalle, perché vuole che la si scopra a poco a poco». O con la suggestione della cappella Brancacci, nella chiesa di Santa Maria del Carmine. Campeggia qui La cacciata di Adamo ed Eva che Masaccio dipinge sullo sfondo della città nella quale viveva, la Firenze del primo Quattrocento. Hanno una stranezza, i suoi personaggi: somigliano, «nel realismo magnifico e solenne» ai ritratti di Fayum, le tavole dipinte sui sarcofagi di mummie egizie di età romana. Furono scoperti nel XIX secolo, dunque Masaccio non poteva conoscerli. E però Felice Brancacci, il committente di Masaccio, trafficava con l’Egitto, fa dire Strinati al’«ometto con barba bianca» che David incontra per caso nella cappella e che diventa la sua nuova guida.

Milano ha lo spettacolo dell’Ultima Cena di Leonardo, tanto fragile quanto particolare. Come il suo autore, anticonvenzionale al punto da avere un lunga barba da sapiente orientale mentre «nessuno, all’epoca, la portava». E da realizzare l’affresco di Santa Maria delle Grazie con una tecnica difficile da conservare: un colore steso non con l’acquerello sopra il muro intonacato di fresco (operazione che richiedeva una pittura rapida, da realizzare in una giornata per porzione di parete). Piuttosto, Leonardo, che non era capace di dipingere di getto, usò la tecnica a secco, sull’intonaco asciutto. Per questo dopo appena cinquant’anni, L’Ultima Cena cominciò a sgretolarsi. E negli ultimi tempi il magistrale restauro di Pinin Brambilla non ha però scongiurato il pericolo per l’opera eccelsa, nella quale campeggia un Cristo «impassibile come un Buddha» e si rappresenta «il turbamento delle coscienze».

Da Milano a Venezia, e da qui a Ferrara, dove gli input si susseguono. È stato Cosmè Tura a realizzare le strane e stralunate figure che ci guardano dalle pareti del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia, oppure la mano è pure quella di Francesco del Cossa? Anche qui vengono parzialmente in aiuto i documenti, una lettera che del Cossa scrisse al duca Borso d’Este per lamentarsi del compenso troppo esiguo in cambio dell’impegno per realizzare gli affreschi di luglio, agosto e settembre. L’interrogativo sugli altri artisti impegnati nella decorazione rimane, ma non incrina il fascino del luogo. E come non ritrovare l’armonia della Bellezza attraverso i secoli osservando che lo sfondo delle Muse inquietanti, il più famoso quadro del metafisico Giorgio De Chirico, è appunto il rinascimentale Castello della città estense?

Il viaggio continua fino al sud dello Stivale, con retroscena, interpretazioni critiche, disvelamenti. Ci darà occhi nuovi per guardare le meraviglie d’Italia, quanto torneremo a visitarle di persona.

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