Tina Pane
Viaggio nell'estremo Occidente

Pellegrinaggio a Lisbona

A passeggio per Lisbona, si fa fatica a immaginare che questa gente discreta e riservata sia la discendenza di quella che ha solcato i mari e dominato per secoli pezzi di mondo, controllando il commercio e la navigazione

Se c’è una parola che aleggia nel cielo sopra Lisbona, questa parola è obrigado, grazie. Pronunciata veloce e con la b non calcata, ricorre nelle succinte conversazioni di servizio non solo come chiusura di una transazione ma anche come saluto. E rispecchia l’indole di questa gente che parla a bassa voce, non è incline ad arrabbiarsi ma neppure a fare moine, e che si muove con sicurezza in una città pulita e ordinata, servita da un trasporto pubblico molto efficiente. Sembrano gentili, i lisbonesi, come gentili e ariose risultano le facciate degli edifici, che quando non sono protette dagli azulejos, sfoggiano colori pastello non sbiaditi, ringhiere verdi o bordeaux che sembrano ricami, portoncini blu come su un’isola greca.

Si fa fatica a immaginare che questa gente discreta e riservata sia la discendenza di quella che ha solcato i mari e dominato per secoli pezzi di mondo, controllando il commercio e la navigazione, la stessa gente che si è rialzata sotto la guida del Marchese di Pombal dopo il devastante terremoto del 1755, sorta di spartiacque nella storia urbanistica della città.

Parlano al cellulare con la cuffia e salgono e scendono dai bus con la carta dell’abbonamento,  quasi mai col singolo biglietto; hanno san Vincenzo come Patrono ma sono assai devoti del lisbonese sant’Antonio e anche se il baccalà è il loro piatto tradizionale, hanno elevato le sardine a patrimonio nazionale, e oltre a venderle nelle Conserveiras (accattivanti negozi per turisti) e nei supermercati, le propongono ai tavoli dei ristoranti come antipasto di default e nei menù. Nei negozi di  souvenir, poi, le sardine sono il principale elemento decorativo di tazze e tovagliette, sottopentola, borse e calamite, un simbolo di abbondanza per una città che si dipana sull’estuario di un fiume, il Tago, talmente largo che all’orizzonte sembra mare.

Un vero e proprio pellegrinaggio sposta ogni giorno centinaia di turisti verso il Monastero dos Jerónimos e la Torre de Belém, a ovest del centro storico, ben oltre l’ardito Ponte del 25 Aprile, data della Rivoluzione dei Garofani, che nel 1974 segnò la fine della dittatura di Salazar. Qui, una città più tranquilla e forse provinciale, che abita case più modeste ma non degradate, guarda scorrere distratta le fiumane di visitatori che in treno, in bus o in tram vanno a rendere omaggio ai due avamposti della passata grandezza del paese e alla tomba del suo figlio più famoso, il navigatore Vasco da Gama.

Ma prima di adempiere al dovere di visitare i due siti Patrimonio Unesco, è preferibile andare in Praça de Luís de Camões. Qui, sotto la statua del sommo poeta cinquecentesco, il Dante della lingua portoghese, c’è il cuore di Lisbona, la mescolanza di generi e di gente, i bianchi e i neri, i ricchi e i mendicanti, gli studenti, gli anziani, i commercianti.

Qui, all’incrocio tra i quartieri del Barrio Alto (popolare) e del Chiado (borghese) ci sono chiese e musei, miradouros e teatri, mercati, negozi dalle insegne liberty o soltanto antiche, e tanta vita notturna fatta di baretti dove si beve con poco fino a tardi: uno sciortino di Ginja 1 euro, un boccale di birra 2 euro, un cocktail “XL” 5 euro.

Tra i volti della città c’è quello della periferia est, dove intorno al Parco delle Nazioni, riuscita e vissuta trasformazione del sito dell’Esposizione universale del 1998, sono nati grandi edifici residenziali, scuole, supermercati (che mancano completamente in centro) e ci vivono tante famiglie giovani, dall’aria indaffarata, moderna. Oppure quello un po’ snob, sicuramente molto benestante, della zona intorno all’Avenida da Liberdade, coi suoi grandi alberghi, i negozi di lusso e gli uffici che all’ora di spacco espellono colletti bianchi e donne in tailleur.

Ma i due luoghi più famosi di Lisbona continuano a essere la Praça do Comércio e il tram 28, e su entrambi si incontrano tanti turisti, soprattutto giapponesi, che si mescolano agli abitanti sia nell’enorme, piatta spianata della piazza spesso battuta da un vento salmastro che nell’accidentata topografia del lunghissimo percorso dell’Electrico per eccellenza, che in un impervio saliscendi rappresenta il modo migliore e più economico per fare un giro della città, incontrando gli abitanti con le buste della spesa, le mamme che accompagnano a scuola i bambini, gli anziani a cui gli altri passeggeri cedono sempre il posto.

Al Lisboa Story Centre, uno dei musei più recenti e innovativi di Lisbona, ci si può immergere nella storia secolare della città, dai Fenici ai giorni nostri. Ma il racconto, che indugia sulle conquiste, la navigazione e il commercio, salta i quasi 50 anni di dittatura, approdando direttamente alla Rivoluzione dei Garofani e alla nascita della repubblica. Eppure quello che accadde il 25 aprile 1974 fu un colpo di stato incruento, che pose fine alla dittatura e alla guerra nelle colonie, operato dai militari e con l’immediato appoggio della popolazione. Quella stessa gente che offrì garofani ai soldati, forse dicendogli obrigado, grazie.

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