Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Tre gialli di città

La Firenze di Donato Carrisi, la Roma di Walter Veltroni, l'America di Anna Katharine Green: tre storie di ossessioni, furti e omicidi disvelati. All'inseguimento della malattia della metropoli

Ipnosi. Una perturbante storia che si svolge a Firenze. Ancora una volta Donato Carrisi, classe ’73, pugliese che vive a Roma, è all’altezza dei successi conseguiti in questi ultimi anni, a lungo nelle classifiche dei libri più venduti con Il suggeritore, nel ’18 ha vinto il premio David di Donatello con La ragazza nella nebbia. Il protagonista della sua nuova opera, densa di suspense e di raffinatezze psicologiche, La casa delle voci (Longanesi, 397 pg., 22 euro), è lo psicologo Pietro Gerber, specializzato nell’ipnosi, strumento col quale s’addentra nella psiche dei pazienti, esclusivamente bambini e adolescenti. Su suggerimento di una collega straniera prende in cura Hanna Hall. Accetta l’incarico dopo molti dubbi.

Hanna è una trentenne che racconta, a poco a poco, la vita dei suoi genitori e la morte del fratellino Ado, chiuso in una cassetta di legno. Mamma e papà cambiano in continuazione il posto dove vivere, e nascondono comportamenti border-line e luoghi in cui si curano i disturbi psichici. Ma Ado è davvero esistito o è una delle allucinazioni della giovane donna? Gerber non è uno sprovveduto e si cala nei panni del detective, scoprendo verità o simil-verità dure da affrontare. Ma è soprattutto turbato da ciò che Hanna Hall (che sarebbe nata in Australia) gli dice, capovolgendo le parti: «Mi dica, dottore, sente ancora nell’orecchio il solletico della morte mentre nel letto d’ospedale suo padre le sussurra la verità?».

Punizioni. Villa Borghese ha una superficie di 80 ettari e per ciò che di artistico contiene è il luogo verde da primato (prima ci sono Hyde Park di Londra e il Central Park di New York). Fare il commissario di polizia in quel luogo di quiete e bellezza è, scrive l’autore, «come fare il tranviere in un’isola deserta». L’autore in questione è Walter Veltroni che ha appena pubblicato Assassinio a Villa Borghese (Marsilio, 205 pg., 14 euro). Questa oasi romana diventa in un giorno di maggio «la villa degli orrori». Il neo-commissario Buonvino, dopo anni di frustrante attesa, si trova a coordinare sette agenti, non certo brillanti («Uno normale, a vista, non c’era»), a parte una poliziotta bellissima. E poco dopo la nomina si trova davanti a ciò che nessuno vorrebbe   vedere: un bambino senza testa e squartato in sei parti e, poco dopo una testa di un trentenne incartata con pagine di giornali. Le piste: c’è una vaga quanto fantasiosa rivendicazione dei Tùpac Amaru (il primo regnante Inca, il primo alla metà del 1500), la una donna che fa jogging con l’amante: si scoprirà la sua inesistenza anagrafica, e pochissimo altro. Buonvino, malgrado la sua bassa autostima (è stato lasciato, e mortificato, dalla moglie che si è scoperta lesbica: vai a raccontarlo in giro!) e trascorsi poco eroici a Caserta, si muove bene. Se la deve vedere anche con un fotoreporter (ricattatore?) che lo sorprende a bordo della sua Triumph Spitfire, che sa tanto di “dolce vita”. Quel che scoprirà è il fulcro di estremi fanatismi falso-religiosi. Qualcuno dirà: a uno che si chiama Veltroni un editore non può dire di no. Sarà pur vero (i volti famosi si trasformano facilmente in narratori, oltre a quelli fortemente raccomandati: e ce ne sono), sta di fatto che l’ex vice-premier ed ex sindaco di Roma, di buona cultura, dipana sobriamente una trama difficile, per poi addivenire a uno svelamento un po’ frettoloso. Ovviamente ci sono tanti riferimenti cinematografici  (Veltroni è un appassionato), ma non solo quelli. Regge anche un sottile umorismo, malgrado il contesto. Qualche parola romanesca non ha una nota di spiegazione. Consiglio ai lettori: su Google scoprite, per esempio, che significa “picchiapò”.

La ragazza. Una gradevole sorpresa letteraria. L’editore Marsilio pubblica i primi tre casi affrontati da una giovane donna che fa la detective, anche se non ufficialmente. L’autrice è Anna Katharine Green (1846-1935). È stata molto famosa all’estero, invece in Italia è in quel dimenticatoio nel quale forse gli editor dovrebbero infilare le mani. Il suo bestseller è stato Il caso Leavenworth (1878), che ha riscosso il plauso di due presidenti Usa. Della Green si sono interessati anche da Conan Doyle, Agatha Christie e Wilkie Collins, insomma la “créme” del romanzo giallo. Scrive la curatrice Alessandra Calanchi che «le opere della Green non sono semplicemente vicende di indagine, bensì rappresentano uno strumento adatto a comprendere ciò che accade nel mondo e come noi ne facciamo parte». Il libro che la Marsilio pubblica s’intitola Non è un mestiere per uomini (187 pg., 16 euro). Protagonista è l’arguta Violet Strange, questa volta incaricata di scoprire chi ruba oggetti preziosi per poi restituirli poco dopo. Violet, è una “creaturina vivace” che collabora talvolta con un’agenzia di investigazioni, quei gruppi esclusivamente maschili così ben descritti, per esempio, da Ed McBain negli ultimi decenni. Violet, di natura ribelle, è talvolta più svelta e acuta degli uomini ( di qui il significato del titolo). Nel caso in questione, punta il dito su una donna che fa parte di uno strano gruppo. Durante la notte, Violet, che indossa un kimono, rimane sveglia e malgrado la nebbia scorge un’ombra attraversare la finestra del suo balcone, lasciata semiaperta. Il giorno dopo c’è la resa dei conti. Nessuna delle sospettate sapeva che il gioiellino di Violet era intriso di un liquido che diventa macchia che perdura sulle dita della ladra. La Green, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, non è stata una protofemminista. Anzi, si dichiara conservatrice e presbiteriana praticante. Ha vissuto del suo lavoro di scrittrice. Pur essendo di fatto anticonvenzionale, è diffidente verso l’emancipazione delle donne. Ma non assolutamente contraria, tanto è vero che sul New York Times scrive: «Alle donne sono aperte tutte le occupazioni». Le sue perplessità sono tuttavia espresse con decisione: l’equità dei generi è un cambiamento forse troppo radicale in un periodo di stress sociale, con la guerra in corso. La Green, figlia di un ricco avvocato al quale chiede consigli forensi, è comunque una privilegiata avendo scelto uno dei pochi settori in cui, nella sua epoca, è possibile alle donne «contribuire e coesistere con gli uomini».

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